Che ne sarebbe del nostro pianeta con un Sole differente

Stars exchange

Fra milioni di stelle così disordinatamente sparse per il cielo, abbiamo scelto proprio te: gialla e tonda (perché addirittura quello, non era affatto garantito) calda e grossa, esattamente il giusto. Se il tuo contenuto d’idrogeno fosse stato lievemente maggiore, se la tua corona solamente un po’ più turbolenta, se il velo ionico della magnetosfera non riuscisse tanto bene nel fermare quelle radiazioni attanaglianti… La vita sulla Terra, per come la conosciamo, non esisterebbe affatto. Eppure? C’è chi porta un simile ragionamento alle sue estreme conseguenze. Avete mai sentito l’espressione: “Se l’orbita del nostro pianeta fosse stata di appena 2 (quattro, sei…) Metri più ampia, saremmo tutti congelati nel vuoto cosmico dell’oblio; nel caso esattamente contrario, il fuoco purificatore ci avrebbe cotto in due minuti al massimo… (Eh no, salire sopra una scaletta non è AFFATTO la stessa cosa!)” Ecco, benché tale idea sia piuttosto diffusa nel senso comune ed apparentemente priva di connotazioni problematiche, si tratta di una presa di posizione estremamente ben schierata. Significa, a conti fatti, voler credere che siamo pressoché soli nell’Universo, e che l’umanità sia il frutto di una condizione sacra e irripetibile, monotipica e monoteista. Quando invece per chi ha voglia di guardare, là sopra l’orizzonte c’è davvero spazio per chiunque: basta puntare un comune telescopio verso l’alto, in una notte senza troppa Luna, riflettori o fuochi d’artificio, per scrutare in lontananza tanti e tali grandi padri, ciascuno frutto di un miracolo diverso. Grandi e luminosi, oppure piccoli ed appena definiti, gialli, azzurri, nebulosi. Milioni di scintille sopra il mare di velluto nero, ciascuna potenziale conduttrice di un antico sentimento, la religione e il culto d’inimmaginabili consorzi dei viventi. L’abbiamo visto succedere, persino qui da noi: gli Aztechi che uccidevano il gran sacerdote per il sopraggiungere di un eclisse; i servi del faraone che lo seguivano fin dentro la sua tomba, poiché egli era il figlio di Ra, personificazione di quel colossale fuoco. Difficile non adorarlo fino alla follia, un tale oggetto sconfinato. Il più vasto ed influente che sia posto a meno di un paio d’anni luce dal nostro lungo esperimento di diversa civilizzazione. Si, ma diversa da cosa?
Così un giorno, quello lì ha inventato il telescopio. Scoprendo gradualmente, assieme ai suoi immediati successori, che non siamo speciali. Che di Soli come questo, ce ne sono due milioni di migliaia e di miliardi ancora, esattamente uguali e non è neanche questo il peggio: una buona parte di essi, tanto spesso, è addirittura più imponente e luminosa. Siamo, per così dire, nella media. Prigionieri della nostra convinzione, dunque tanto eternamente affetti da un complesso della solitudine per scelta. Non puoi uscire dalla media ed aspettarti di continuare indisturbato, come niente fosse, sulla stessa strada pre-esistente. A dimostrarcelo, in codesto pregno caso, sopraggiunge un video del canale russo Телестудия Роскосмоса, che ha tanto gentilmente provveduto a sostituire alla mega-palla tanto amata, in una serie di sequenze, alcune delle stelle più famose del distinto firmamento: Alpha Centauri, Sirio, Arturo e quella grossa prima donna, detta dagli amici la Polare. Il risultato è filosoficamente rilevante, il che è strano, soprattutto vista la semplicità dell’idea di partenza. Ma il risultato è pure…Preoccupante.

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Il graffito che si muove per il beneficio dei marziani

Insa

Così giunse a figurarsi all’improvviso tale sorprendente giustapposizione di un intero molo variopinto, tanti cuori e un vagheggiare di contrasti viola e gialli sotto l’ombra della statua, il Redentore. Cristo posto in cima al monte Corcovado, 700 metri sopra Rio di Brazil, braccia aperte verso il mare. La ragione dell’aggiunta? Semplicissma, persino chiara: una pubblicità. Chi l’avrebbe mai detto, graffitaro, bevitore del fragrante whisky Ballantine’s…
Se lo stato di eccitazione chimica degli elettroni è motivato dall’assorbimento accidentale di un fotone, così è l’uomo, grazie all’arte. Esistono costanti che trascendono la mera metereologia; concetti e stati imprescindibili della folgorazione, validi da Samarcanda alle profondità metalliche di Giove, dal mare denso delle idee intangibili fino all’idrogeno cocente di Alpha Centauri e delle stelle, tanto limpide, così attraenti. L’immagine di Adamo ed Eva sulla sonda Voyager, le tesi del ragionamento matematico, la progressione musicale degli accordi principali o regolati, sulle corde di strumenti teorici ed immateriali. Cose tanto luminose, nell’intento conclusivo dell’apposizione, da essere descitte  o dimostrate in accurati grafici, oppure nelle frequenze di messaggi radio scagliati oltre distanze di Chimere ultramondane. In viaggio verso il regno del possibile o remoto appuntamento con…. Ché se mai, davvero, dovessimo incontare menti extraterrestri, nate da processi evolutivi differenti, auspicabilmente sarebbe l’intenzione di bellezza a farci da strumento portatore di significato, biglietto da visita dell’intera umana civiltà. Non certo tutto ciò che ne deriva, per bisogno di soddisfazione ed uno status migliorato nel consorzio commerciale….Ma lo spazio, d’altra parte, ci guarda. La tentazione resta quindi troppo forte per soprassedere. Persino per le grandi compagnie.
Un semplice cerchio nel grano, con tutto il suo corollario di spettacolari ghirigori, di per se non implica un guadagno, tranne che spirituale. Ma tutto quello che ne segue, le disquisizioni e gli approfondimenti, donano un prestigio che è pur sempre conduttivo di gradito R.O.I: interviste televisive, reportage fotografici e l’inevitabile quanto puntuale colpo di scena conclusivo in cui si scopre che il contadino rilevante, dopo tutto, disponeva di un trattore, di una corda con il palo facente funzioni del compasso, oltre ad una sufficientemente assai geometrica per predisposizione. Senza contare la problematica di fondamento, ovvero a che dovrebbe mai servire, per l’alieno, tale attraente disegno colossale… Pista di atterraggio? Pentacolo di evocazione? E perché, dovrebbe questo limitarsi, ad una tale astruso geroglifico, quando è invero possibile far molto, assai di più! La versione fisica di una gigante gif, formato grafico animato. Ed è indubbiamente solo lui, fra tutti quanti, a poter vantarsi di conoscerne il segreto. INSA, il misterioso (perché questo vuole la consueta narrativa del suo genere) artista di figure fatte con l’aerografo, nonché product designer rinomato e adesso infine, dopo tanto vagheggiare, testimonial d’eccezione!

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La prima ripresa in 4K dell’aurora boreale

Aurora Borealis

Cos’è il grattacielo variopinto nello spazio semi-oscuro della notte? Cos’è il fuoco che non brucia e non consuma, eppure arde, di colori magici e stupefacenti? Alaska, terra di misteri. Svegliarsi verso l’una, all’improvviso, con il senso di un qualcosa di diverso dalla cognizione pre-esistente. Come se dormire, dopo tutto, avesse suscitato una diversa presa di coscienza e la terribile, o meravigliosa realizzazione che; si, siamo la polvere gettata casualmente presso un’angolo del cosmo e si, quell’insensato ambiente è piccolo e si muove, assieme a tutto il resto. La biglia di un pianeta rotolante e multistrato, il cui centro è inconoscibile, compresso da pressioni gravitazionali e ricoperto da un mare di magma che non bolle, tanto è litico e compresso. E poi il mantello e sopra quello: un sottile strato di montagne, centri urbani e civiltà. Roba da nulla rispetto a quel che giace sopra, l’atmosfera senza limiti e confini. Ci sono sfere colossali, come i nostri Giove o Saturno, che non sono null’altro che un’agglomerato di gas nobili ed inerti, centinaia di migliaia di chilometri in fumo e fluido vorticante, caustico, senz’altro irrespirabile ma bello. Per i suoi colori ed i sapori filosofici, finché al segnale di una linea terminale, quel confine astratto verso la purezza virtuale, non lasciano il posto al puro idrogeno, ciò che comunemente definiamo “il nulla”. Ma se neanche quello è vuoto, e la fisica ci insegna che nella galassia non c’è spazio che possa veramente dirsi tale, figuriamoci le alte propaggini del globo della Terra. L’atmosfera non è un luogo privo di sostanza, tutt’altro!
Azoto e ossigeno, per massima parte, oltre ad una componente sempre più alta di Co2 (l’aumento costante e indesiderabile di anidride carbonica è il morbo entropico del nostro mondo) argon e qualche parte per milione di metano, kripton, xeno. Ciò che vedi di essi, non lo vedi, veramente: secondo le leggi ben delineate nello scattering di Rayleigh, fisico britannico del primo 1900, il colore blu del cielo è in effetti dovuto dall’interazione tra le particelle dell’aria e la componente visibile della radiazione della nostra stella, il Sole. Si tratta di una pura coincidenza e indubbiamente, là fuori fluttuano pianeti ancora mai trovati, con il cielo di un costante giallo paglierino o pallido violetto, turchese tempestato di smeraldi…Tutto è possibile, nell’ambito futuro dell’esplorazione interstellare. Ma talvolta, questo stesso minuscolo ambiente in bilico sul braccio periferico della Via Lattea è già talmente straordinario e sorprendente che verrebbe voglia, invece di costruire formidabili navi spaziali, di rivolgere lo sguardo in alto ed indicare. Ecco, sembra quasi di vederla con i propri occhi, senza averla mai trovata prima: la favoleggiata aurora boreale.
Lo scorso 5 gennaio, Marketa, Ronn e Angus (possibilmente lui, lei ed il cane, ma non prendetemi in parola) hanno finalmente messo a frutto l’equipaggiamento di cattura video che si erano regalati per Natale: un external recorder della Atomos, modello Shogun, sostanzialmente uno speciale apparecchio dotato di schermo in Ultra HD, che collegato alla macchina fotografica permette di registrare in tempo reale con il massimo della risoluzione offerta dal sensore della stessa. Combinandolo quindi prima con una Sony a7S e poi con una DJI Ronin, hanno realizzato ciò che, assai probabilmente – diciamolo – in realtà qualcuno aveva già fatto, magari usando non dissimili approcci realizzativi. Ma che del resto, mai era stato condiviso per il pubblico ludibrio, grazie allo strumento digitalizzato della messa in mostra internettiana. L’effetto è indubbiamente stupefacente. Un video in presa diretta, senza l’ausilio di time-lapse o simili artifici, di uno dei più incredibili fenomeni metereologici che l’occhio e orecchio umano abbia mai avuto modo di sperimentare. Ed è proprio questo il punto forte del presente, straordinario video: la sensazione di esserci in prima persona.
Coadiuvato, perché no, dal racconto a corredo incluso nella descrizione: di loro due, già affetti da qualche grado di febbre, che si avventurano con sprezzo del pericolo nel gelo notturno del promontorio di Murphy, presso Fairbanks, nella remota Alaska per trovare, finalmente…

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La lunga strada di Rosetta verso la cometa

Rosetta

Essere umani fino a quello, giungere ad un punto tanto estremo e divergente. Di ricordarci, all’improvviso, della cosa che avevamo perso, volontariamente, quasi 11 anni fa. Tra un vortice di fiamme! Oltre il velo delle nubi! Lungo l’aria rarefatta e infine, molto-molto dopo, al di là di corpi cosmici e pericolosi bolidi interplanetari. È questo il metodo, d’altronde, in cui si svolge ciascun viaggio. L’entusiasmo che monta, gradualmente, fino al giorno lungamente atteso e poi la noia. Per ore ed ore, di aeroplano, automobile, biscia di vagoni su rotaie senza fine. Verso quel momento memorabile della giunzione, ovvero quando si uniscono le aspettative, con la verità finale. Sarà all’altezza, il rosso Marte, dei tre o quattro anni che ci metteranno ad arrivarci? Tanta vita, messa al servizio di un’ipotesi, soltanto. Potranno i nostri eroi futuri, tanto probi e così sfortunati da essere i prescelti, edificare, costruire, preparare la colonia dell’umanità esodata del domani…Tali ed altri orridi quesiti, resteranno misteriosi, fino alla realizzazione dell’Ipotesi, la messa in opera dell’Obiettivo. Ma una cosa è certa: ci dimenticheremo di loro, prima dell’arrivo, esattamente come abbiamo fatto con Rosetta, l’infiocinatrice intelligente.
Immaginate di svegliarvi una mattina, fra il lusco e il brusco, con un sogno ancora nella mente: “Capitano Achab, baleniera Pequod. Quanto è vero il soffio caldo dei Monsoni, prenderò l’aringa bianca che ho avvistato col mio cannocchiale. Dovessi metterci l’intera vita, arr!” Pressappoco questo, meno il pappagallo e la gamba di legno, fecero i maggiori esponenti del management dell’ESA (l’agenzia spaziale europea) nel 2000, alla stesura teorica delle quattro cornerstone missions per i successivi 15-20 anni: SOHO, l’osservatorio destinato alla superficie fiammeggiante della nostra stella, il grande Sole, da usarsi assieme a Cluster II, un gruppo di sonde lanciate ai margini della magnetosfera; XMM-Newton, cannocchiale orbitante a raggi X rivolto ai confini dello spazio più profondo; l’intrepida Rosetta, di cui sopra/sotto; e infine INTEGRAL, un satellite per lo studio dei fenomeni dei raggi gamma. Proprio come il sogno. Anzi, c’era un’altra differenza: il pesce si chiamava 67P/Churyumov–Gerasimenko, dai suoi scopritori che riuscirono a scorgerlo nel 1969 per caso, mentre osservavano le lastre fotografiche di un’altro macigno rotolante con la coda di cometa: 32P/Comas Solà. Fast-forward di 45 anni, cosa vuoi che sia.
Perché questo fanno, gli scienziati ingegneristici al servizio dell’esplorazione cosmica: pianificano con estremo anticipo, emulando i tempi dilatati dello spazio siderale. Altrimenti come potremmo mai venire a patti col concetto di una sonda, lanciata da 10 primavere a questa parte, che soltanto adesso potrà dare i frutti di una scienza tanto lungamente attesa! Decodificando, come da nome rilevante, l’antica stele multi-lingue, che da un decreto del faraone Tolomeo V Epifane (196 a.C.) ci svelò il segreto degli eterni geroglifici egiziani.

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