L’azione ipnotica dei macchinari spaccalegna

Log Splitters

Un montaggio di YouTube fatto con i video raccolti in giro su di un singolo tema è in genere piuttosto interessante. Prima di tutto, per l’enorme varietà di materiale che tendenzialmente si perde, nel fiume interminabile di dati pixelati e creatività dimostrata dal popolo del web. Senza contare come, per chi cerchi un qualche tipo d’intrattenimento informativo, 5, 6 o 13 minuti siano inevitabilmente meglio che i canonici 30 secondi al massimo, la durata del segmento medio reperibile fra questi lidi, ovvero sul secondo sito più visitato al mondo. Tale dev’essere il ragionamento alla base del canale da quasi 35.000 sottoscrizioni intitolato TOPVidos (sic) dove il montaggio è il metodo espressivo d’elezione, e questo  o quell’argomento vengono trasformati, nella maggior parte delle volte, in una sequela accattivante d’immagini a stento collegate tra di loro. A ciò basta aggiungere la nazionalità dei titolari, e di molti dei loro fornitori (volenti o nolenti) di peripezie e tribolazioni, per ottenere una vera e propria antologia reiterata, concentrata su tematiche di vario tipo: è assolutamente arduo, del resto, superare l’arcinota inventiva situazionale dei Russi. Un popolo i cui metodi di approccio ai problemi ormai conosciamo molto bene, e in diversi casi stimiamo, perché costituiscono quel tipo di sapienza popolare tanto simile all’ingegneria dei laureati. Eppur fatta di ruggine, rottami e candide speranze. Accompagnate dal frastuono dei motori.
“Vedi, Ivan…” Sembra quasi di udire i suoni sibilanti ed i dittonghi all’incontrario di una lingua che ormai conosciamo molto bene: “Spaccare legna non è difficile. Basta usare la testa.  Un cuneo, pezzi di trattore ed il pistone di una scavatrice!” E via così… Certo, per chiunque abbia mai preso in analisi il problema, potrebbe sembrare contro-intuitivo costruire simili complessi marchingegni, soltanto per svolgere un compito che può essere risolto con la forza muscolare, un’ascia apposita e qualche decina di minuti, al massimo un paio d’ore. Occorre tuttavia considerare come in molti di questi casi non siamo più di fronte all’opera di hobbisti, che praticano la raccolta della legna d’alberi per fare un po’ di fuoco nel caminetto di casa. L’economia contemporanea, con le sue fluttuazioni imprevedibili ed il modo in cui i paesi tendono talvolta a “guerreggiare” privandosi delle reciproche risorse d’interdipendenza, è quel meccanismo inarrestabile che talvolta decide, per il vezzo degli uomini e delle donne al comando, se gas e petrolio giungeranno, questo o quel mese, nella casa di chi può permetterseli solo a un prezzo contenuto. Il che nei freddi inverni della Siberia, talvolta, potrebbe equivalere al potere della vita e della morte, come esemplificato dal numero dei morti assiderati. Fare a pezzi gli alberi diventa quindi, più che una bizzarra attività tutt’altro che amichevole all’ambiente, una semplice funzione della vita, da svolgersi con gli strumenti disponibili o creati, inclusi quelli che noi, nel tiepido Occidente meridionale, non ci saremmo mai sognati d’impiegare. Ce n’è un po’ per tutti i gusti: idraulici, elettrici, a combustione. Da quelli complessi e attentamente costruiti, chiaramente in uso presso aziende di una certa dimensione, ad altri strani, raccogliticci, poco pratici e/o sicuri. Per distinguerli, basta il colore della verniciatura:  il primo, giallo, è un semplice sistema a candela (verticale) che preme il ciocco su di un cuneo che separa le sue due metà. Per metterlo in funzione, è richiesto che entrambe le mani dell’operatore si trovino sui comandi, onde evitare spiacevoli incidenti. Ma non tutte le macchine si fanno simili problemi…

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La nave che si mette di traverso per varcare i ghiacci del Nord

Baltika Icebreaker

Come un fiordo gigante lungo all’incirca 800 Km, incastrato tra le due penisole di Gyda e Jamal. Ma qui siamo a Settentrione, nel più profondo, gelido, remoto luogo riparato dalle tempeste più furenti dell’Atlantico: il favoleggiato Golfo dell’Ob’. Dove l’acqua senza fine del profondo mare si presenta in modo estremamente distintivo: un’unica solida, impenetrabile massa, di quella sostanza trasparente e liscia che deriva dal congelamento, la cui presenza, normalmente, è un chiaro sinonimo dell’insuperabile immobilità. Neppure la lingua più grande del mondo potrebbe districare un simile ghiacciolo senza fine, nonostante l’impegno dimostrato in tale compito supremo. Finendo piuttosto per restarci attaccata, come accaduto alla sua simile di proprietà di un ubriaco, che voleva assaggiare il palo della luce fuori dal pub. Bianco, bianco e ancora grigio chiaro. Se non altro, non si può affermare che gli manchi la continuità. Se non fosse per… Una macchia, di colore rosso, fragorosamente incuneatosi nel mezzo dell’impenetrabile barriera, nonostante l’apparenza di quello che sia possibile, ragionevole, in qualche maniera consigliabile all’umanità. È un aereo? Probabile. È Superman? Nient’affatto! Si tratta di nient’altro, ad un’analisi più approfondita, che dell’ultima e più singolare nave uscita dai cantieri della Aker Arctic, rinomata ditta finlandese operativa sotto vari nomi fin dal 1969, quando ad Helsinki venne approvato il progetto per convertire un bunker antiaereo nel secondo bacino di sperimentazione artica del mondo, costruito sul modello di una simile struttura a Leningrado. Una grande vasca per il ghiaccio, inizialmente utilizzata per progettare una petroliera per attraversamenti estremi della Esso International, la SS Manhattan, e che da allora, con l’appellativo di Wärtsilä Icebreaking Model Basin (WIMB) è stata impiegata come primo approccio sperimentale a diverse rivoluzioni tecniche nel modo di progettare alcuni dei mezzi di trasporto più fantastici del mondo.
Così, ecco qui la Baltika, prodotta su specifica richiesta del governo russo: una nave relativamente piccola con i suoi appena 76,5 metri di lunghezza, contro gli almeno 100-120 della tipica rompighiaccio moderna messa in campo dalle principali potenze economiche mondiali (e sembra quasi che il freddo, in qualche maniera, sottintenda alla capacità economica di contrastarlo). Questo perché, se pensate brevemente alla funzione pratica di simili vascelli, non potrete fare a meno di considerare all’apparenza inutile un progetto come questo: non è forse vero, potreste chiedervi, che lo scopo di scavare un sentiero nel ghiaccio è proprio quello di riaprire rotte commerciali, o permettere il passaggio di ponderose spedizioni scientifiche fin lì, nel vasto e vuoto nulla della nostra candida realtà? Ed allora, perché mai dovremmo affidarci, nel farlo, ad una nave che misura “appena” 20 metri da babordo a tribordo, aprendo un canale utilizzabile, sostanzialmente, soltanto da lei stessa… Di certo, deve esserci un segreto. Che per chi guarda il video soprastante, tale non sarà: tale piccola meraviglia della tecnica, infatti, dispone di un particolare sistema di propulsione, ed una conformazione dello scafo, che le permettono di muoversi liberamente a 360°, procedendo addirittura, ogni qualvolta lo ritenga necessario, in una direzione perpendicolare al suo orientamento. Il che significa, sostanzialmente, che il ghiaccio rotto dal suo passaggio ammonterà alla maggiore delle due misure fino a qui citate, ovvero quella da poppa a prua (trasformate per l’occasione nei “lati”) addirittura doppia rispetto alla larghezza, in quel caso l’unico fattore rilevante, delle più grandi e potenti navi rompighiaccio dei sette mari! Ed il tutto, con un consumo di carburante ed energia relativamente trascurabile, tranne nel fatidico momento di far forza e transitare oltre la morsa eterna del Grande Inverno. Una vera macchina magnifica, dunque, se mai ce n’è stata una adibita ad un tale còmpito specifico e particolare. Ma vediamo adesso, brevemente, quali sono le sue origini remote…

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Se fuori nevica, trasforma l’auto in mezzo cingolato

TrackNGo
Tutto l’occorrente sono 10-15 minuti, un po’ di senso pratico, capacità di guida minime ed un set completo del sistema Track N Go, prodotto dall’azienda AD Boivin per venire incontro a una tipica situazione dell’inverno canadese. Disse uno scienziato di larga fama, poco prima di attivare la sua DeLorean fiammeggiante: “Strade? Dove stiamo andando noi, non c’è bisogno di sss-s-strade!” Affermazione che s’inserisce nella visione di chi ama andare oltre i limiti del Tempo, per esplorare cosa sia venuto prima e quello che ci aspetta, ritornando dal Futuro. Perché questa assenza di una rassicurante striscia d’asfalto sotto le ruote, su cui far presa nel portare a compimento le manovre con il tipico, semplice volante della situazione, va vista sopratutto come un vago tipo d’opportunità. In qualità di un fiume navigabile, che giunge ai limiti del continente urbano… Ed oltre quei confini, lascia il posto a un vasto mare: di sterpaglie, fango, rocce che affiorano con intenzioni deleterie. Piccoli ostacoli sulla via dell’auto-realizzazione. Dove per auto, chiaramente, s’intenda il nostro e vostro principale veicolo di casa, con quattro ruote ed un motore. Mentre realizzazione, beh, dipende dai singoli individui…
C’è chi cerca solamente, da mattina a sera, di raggiungere la meta logica del proprio vagheggiare. Compiere il tragitto quotidiano, da casa a lavoro e viceversa, corroborando i propri mezzi con la cronistoria presa in prestito dal mulo. Testardo quadrupede, che abituato a un singolo percorso, si rifiuta ad ogni costo di deviare dalla strada prefissata. Ed a costoro, io direi: lasciate perdere. Una cosa tanto fuori dagli schemi…Non fa per voi. Track N Go è per gli affamati & folli, i duri & puri, gli ultimi sinceri esploratori. Che se fuori c’è un metro o due di neve, lungi dal rinunciare alle proprie esigenze, riscaldano i motori, e in qualche modo, trovano la soluzione. Si tratta di un metodo particolare e interessante. Chi ha detto che riconvertire il proprio mezzo alle necessità del Circolo Polare Artico comporti inevitabilmente le lungaggini del cambio di pneumatici, seguìto da un attento stile di guida, che consideri la sdrucciolevole presenza della neve che si squaglia lungo tutto il corso del tragitto? Di sicuro, non chi ci propone questi veri e propri pattini cingolati, concepiti per essere trasportati fino al luogo d’interesse nel portabagagli, o nel cassone di un pick-up. La cui messa in opera, a quel punto, comporta nient’altro che il “semplice” gesto di disporne un paio in parallelo innanzi agli pnematici anteriori (il peso unitario è di 145 Kg) e guidarci attentamente sopra grazie all’uso delle rampe in dotazione. Per poi bloccarli, grazie a quattro piastre metalliche su cardini, che tuttavia permettono di far girare le ruote con metodo assolutamente convenzionale. Soltanto che, a quel punto, il loro moto non comunica più con il terreno. Ma serve, piuttosto, ad attivare il marchingegno integrato nel dispositivo, che mette in movimento il sistema di placche interconnesse integrato in ciascuna singola scarpa d’acciaio, permettendo di far presa su qualsiasi superficie. Sopportando quindi brevemente il posizionamento fortemente obliquo del così attrezzato fuoristrada, si proseguirà quindi ad approntare la seconda coppia. Con le rampe riposizionate, ed un rapido colpo d’acceleratore, ben presto si sarà conclusa la seconda parte del montaggio. Poco prima di partire verso nuove splendide avventure! Proprio così: un prodotto affascinante. Di cui occorre, ad ogni modo, tenere a mente il prezzo. Nel momento in cui scrivo, il sito ufficiale della Boivin offre solo quotazioni personalizzate, anche se gli stessi Track N Go sono per loro stessa natura adatti a molti modelli di automobile. La maggior parte dei blog di settore che hanno affrontato l’argomento, segnalano un prezzo approssimativo di appena 25.000 dollari: sostanzialmente, costano più i cingoli, che il fuoristrada che c’è sopra! Il che, strano a dirsi, s’inserisce in un segmento di mercato grosso modo a quel livello…

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La cerimonia più importante del Polo Sud

Geographic South Pole

Un astrofisico, un geologo ed un tedesco entrano in un bar. Fuori c’è bel tempo ma fa un po’ freddino. Il geologo dice agli altri due: “Allora, come ci si sente a trovarsi sul 90° parallelo?” E l’astrofisico risponde: “Più che altro, vorrei poter guardare con il mio telescopio la stella di Sigma Octanis, ma come sapete qui il sole non tramonta praticamente mai…” Al che il tecnico addetto alle comunicazioni, pilastro a pieno titolo della stazione di ricerca americana Amundsen-Scott, appoggiato sul bancone il suo bicchiere di succo d’ananas, esclama con perfetto accento berlinese: “E ti credo! Ogni volta che spostate quel dannato palo, cambiate il fuso orario di sei-sette ore!” Cala il silenzio in sala. Qualcuno, dalla direzione della porta, sghignazza sguaiatamente. Altri restano in silenzio, contemplativi. Perché ben sanno cosa c’è in fondo al corridoio, vicino alla porta a tenuta stagna che la collocazione relativa, l’abitudine e le circolari delle diverse generazioni di direttori hanno fatto eleggere ad ingresso principale: una vetrina su cinque livelli, ciascuno dei quali carico della più bizzarra selezione di modellini metallici, di bussole, edifici a misura di gnomo, piccoli pianeti di vario tipo… Siamo alla fine di dicembre, ormai, è tutti qui sanno che presto, un’altro curioso oggettino dovrà unirsi alla collezione. Mentre un gruppo di addetti attentamente selezionato, avventurandosi nella relativa calura estiva (quaggiù le stagioni sono invertite) di -15, – 20 gradi, raggiungeranno un punto specifico della pianura presso cui sorgono queste solide mura, ad un altitudine di 2.835 metri sul livello del suolo. Per piantare un qualcosa di splendido e straordinariamente significativo: un attrezzo che se fosse una pianta, sarebbe l’albero del mondo. Se si trattasse di una stella, costituirebbe l’astro benedicente del mattino.
È un momento solenne. Una vecchia tradizione. Questo centro di ricerca del resto, il più famoso tra i circa 70 che poggiano sui ghiacci eterni del continente meno ospitale del pianeta, è abbastanza vecchio da aver acquisito un certo numero di abitudini considerate sacrali. L’Amundsen–Scott, intitolato ai due esploratori che all’inizio dello scorso secolo raggiunsero per primi questi luoghi, nel secondo dei casi perdendo subito dopo la vita,  fu fondato per la prima ed ultima volta nel 1956, come parte dei progetti scientifici istituiti per l’Anno Geofisico Internazionale (IGY) un significativo momento in cui le comunicazioni tra certe frange della ricerca americana e sovietica ricominciarono a verificarsi normalmente, permettendo l’interscambio che c’era stato in passato ed avrebbe dovuto continuare ad esistere, necessariamente e nonostante la tensione tra i due paesi. Con il riuscito lancio dello Sputnik I soltanto l’anno successivo, quindi, gli americani decisero di investire seriamente in questo e numerosi altri progetti. Così l’edificio principale della stazione fu progressivamente ampliato, per ospitare fino a 200 persone allo stesso tempo. E da allora, non fu mai più lasciato. E molti di coloro che assistono alle buffe iniziative degli astronauti che oggi si trovano sull’ISS (la Stazione Spaziale Internazionale), tra cui suonare la cornamusa, giocare a palla o fare bizzarri esperimenti personali con l’acqua, tendono a stupirsi che persone spedite in un luogo così irraggiungibile possano trovare il tempo per se stesse, a discapito degli onerosi impegni di missione. Ma la realtà è che la mente umana funziona in un determinato modo. E senza un certo grado di svago e digressione, non potrebbe mai mantenere il grado d’acume necessario a compiere il proprio dovere. Ciò è tanto più vero, in un luogo come il Polo Sud, che per quanto remoto, può avere quanto meno il lusso di uno spazio a disposizione relativamente significativo. Con un’area dedicata alla libreria, un’altra con mansioni di mini-cinema e persino una sala da musica, fornita di molti degli strumenti più suonati alle latitudini più diverse. Ma forse il luogo più inaspettato ed insolito, all’interno di queste spesse mura, è lo spazio dedicato a raccogliere i precedenti marker del Polo Sud Geografico, dei curiosi e gradevoli oggetti usati come segnalino sulla cima del palo, un anno dopo l’altro, per indicare in maniera chiara il punto attraverso cui passa l’asse della rotazione terrestre, nel preciso momento di ogni giorno di capodanno. Ma perché, mi sembra quasi di sentire la domanda, una tale luogo SI SPOSTA? Beh, ecco…

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