La volubile creatività del granchio che voleva stare solo col suo cappello

In un laboratorio giapponese, tra luci fredde e impersonali, sotto lo sguardo attento di scienziati della stessa nazionalità, una spugnetta per i piatti giapponese viene gradualmente sezionata e ritagliata a misura. Le sforbiciate procedono in maniera equa, ponderata e senza un briciolo d’asimmetria evidente. I presenti trattengono il fiato… È questo il momento, a dire il vero, in cui dovrei specificare come l’attuatore principale dell’esperimento non sia neanche lontanamente umano. Bensì appartenente alla genìa del mare che assomiglia vagamente ad un artropode di terra, così perfettamente adattata per la vita sui fondali da non possedere neanche l’ombra di una coda, uropode o telson. Il quarto segno zodiacale dell’oroscopo, se voi credete a queste cose, benché sia oggettivamente difficile trovare una versione della vita più efficiente a sopravvivere nel suo particolare habitat d’appartenenza. Cancro, granchio o Brachyura e così via a seguire, in questo particolare caso appartenente al grande gruppo familiare dei dromiidi o “granchi pelosi della spugna”. Come quelle, per l’appunto, che la scaltra piccola creatura è solita trovare per gli oceani senza tempo, al fine di agguantarla e trasformarla nel suo personale mobile giardinetto. Cosa molto pratica ed indubbiamente funzionale ad uno scopo, come nel caso di moltissimi altri granchi praticanti dell’antica arte della decorazione, sperando ed ottenendo molto spesso di passare inosservati tra il paesaggio marino. Benché in questo caso rilevante il valore aggiunto di quel gesto può essere individuato nella dotazione spesso tossica o comunque scarsamente commestibile di quel tessuto vivente, con cui gli abitanti sono soliti agghindare il proprio ruvido carapace. Stabilendo un qualche tipo di relazione commensale se non proprio mutualmente vantaggiosa, che concede o loro stessi, per quanto possibile, di estendere la propria vita a discapito di eventuali famelici predatori. Da che l’idea di Keita Harada, col suo collega Katsushi Kagaya nel 2019 e presso il laboratorio marino di Seto, di provare a determinare i limiti precisi del comportamento istintivo di un campione di granchi appartenenti alla specie Lauridromia dehaani. E capire fino a che punto possono davvero essere pronti ad accontentarsi, di fronte a possibili opzioni non propriamente ideali. Cui avrebbe fatto seguito l’anno successivo un secondo studio, pubblicato nuovamente sulla rivista bioRxiv, in merito a uno studio matematico delle possibili variazioni comportamentali dei granchi. Già perché sorprendendo pressoché tutti e deludendo praticamente nessuno, la stessa squadra di ricerca avrebbe ben presto scoperto come non soltanto i questi ingegnosi crostacei sembrino poter ricorrere a una vasta pletora di materiali e soluzioni per la creazione della loro magica coperta. Bensì addirittura che ciascun singolo esemplare tenda a preferirne, in maniera almeno apparentemente arbitraria una al posto di tutte le altre. Il che in effetti molto poco corrisponde, al preconcetto di automi a malapena pensanti che siamo soliti attribuire alle comuni tipologie di granchi. Una notevole opportunità, se vogliamo, di stringere ulteriormente l’effimera chela della conoscenza…

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L’ombra che corre sui muri nella grotta dei centopiedi giganti

Legge inversa per la conservazione dell’energia deambulatoria: dove possono bastare quattro zampe, usane sei. Se altrettante sembrano del tutto ragionevoli, la prossima volta aggiungine altre due paia. E nel caso in cui otto bastino ad arrampicarsi nella tela, perché non impiegarne dieci? Venti? Trenta? Siamo abituati a considerare le leggi dell’evoluzione naturali un’espressione dello stesso tipo d’eleganza contenuta nella simmetria di un pezzo di cristallo, o il reticolo degli atomi che si susseguono lungo una sbarra di metallo. Ma il regno animale può essere considerato come totalmente distinto da quello dei minerali, stolido ed immoto per ciascuno dei campioni posti sotto l’occhio osservatore della scienza umana. Ove la progressione innata dei fenotipi conta qualcosa, ma fino a un certo punto. E quando le caratteristiche trasmesse alla generazione di una determinata specie prendono una svolta, può accadere che l’evento si ripeta nello stesso modo ancora, e ancora nelle multiple scelte a venire. Finché un tratto esacerbato si trasformi nella singola, definitiva caratteristica di riferimento: guarda, a tal proposito, il distintivo ordine degli Scutigeromorpha, tra tutti i chilopodi dalle molte zampe, contiene probabilmente i più veloci. Mentre corrono da un lato all’altro nelle tenebre appropriate di un tipico appartamento umano. Proprio perché un altro nome per la specie è centopiedi domestico o house centipede, in funzione del più tipico degli habitat antropici entro cui parrebbe aver trovato il suo terreno di caccia di miglior soddisfazione e apprezzabile sopravvivenza. Chiunque creda che il familiare, inoffensivo S. coleoptrata (“dal corpo simile a un coleottero”) di due o quattro centimetri rappresenti l’espressione maggiormente impressionante di questa particolare tipologia di creature, è probabile che non abbia mai visitato la giungla, di persona o grazie ai resoconti degli occasionali documentaristi di TV o canali Internet di varia entità. Così come il qui presente titolare del canale General Apathy, comprovato amante di artropodi, aracnidi e varie tipologie d’insetti, in questo caso alle prese con la diversificata fauna del sottobosco nella regione della Sierra Nevada, in Colombia. Tra cui, guarda caso, l’iconico abitante dei banchi di terra o muraglie naturalmente digradanti in questi territori, l’assai più grande certe volte spaventoso predatore parte di un genere cognato, chiamato scientificamente Sphendononema guildingii. Ed a parole, molto più direttamente, mostriciattolo massivo titolare di una stazza misurabile su dieci, quindi centimetri. Che lo stesso scopritore ci permette di comprendere, non è ancora neanche prossimo a essere il “più grande” di questo pacifico, beneamato, talvolta lievemente infernale pianeta…

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La chitarra nuotatrice tra il concetto di razza e squalo

Pesce cuneo, pesce freccia, pesce topo e pesce treccia. Ogni pesce ha la sua forma ed ognuna di queste ultime ricorda, per associazione, una creatura, oggetto o sentimento di noi esseri di superficie. Di strumento, d’altra parte, ce n’è uno e solamente quello: acustico, meraviglioso, triangolare portatore di stupore. E meraviglia? Dipende dalla specie a cui appartieni. Giacché piccoli molluschi o crostacei non saranno particolarmente lieti d’incontrare un membro dei Rhinopristiformes, la creatura che si aggira per i mari del Pacifico e l’Oceano Indiano sempre in cerca, sempre attenta, percependo i minimi dettagli delle circostanze. E tutto il resto è musica, direbbe qualcuno, ma la realtà è che c’è soltanto fame, a far da guida ai loro gesti e pattugliamenti eternamente ripetuti. Di un predatore come tanti, nel comportamento e come pochi nell’aspetto, giacché non è facile comprendere precisamente il tipo tassonomico cui siamo innanzi. Di un… Condritto, questo almeno è chiaro, classe di esseri marini senza ossa nello scheletro composto unicamente da parti cartilaginee, il che ha reso complesso fin dall’invenzione della paleontologia dirimere il mistero della loro discendenza. Ritenuta essere in comune per il tipico protagonista d’infiniti film di paura che si svolgono nel punto di contatto tra la terra e il mare, e il principale pesce “alato” con la forma di una grande ala che ricorda vagamente il bombardiere americano B-29. O forse sarebbe meglio affermare il contrario? Dopo tutto razze o mante esistono da lungo tempo. Ed il progresso d’implementi bellici non sempre tiene in considerazione i crismi dei suoi ormai vecchi modelli. E d’altra parte abbiamo in questo essere fin qui soltanto menzionato, il perfetto pièce de résistance o chiave di volta, o anello mancante tra le due categorie apparentemente distanti, individuabile a partire dalla forma posseduta dall’intera distintiva categoria di questi animali. Non a caso definiti per associazione razze-squalo, con riferimento alla forma piatta con in più la coda lunga e muscolosa, propria di quell’altro tipo di carnivori comprensibilmente temuti dall’uomo. Così rappresentati in questo caso da una specie soprattutto, la notoriamente minacciata e fortemente distintiva Rhina ancylostoma “dalla bocca ad arco” in forza della riconoscibile conformazione del suo apparato di fagocitazione, così efficiente in quello che più di ogni altra cosa gli riesce meglio. Risucchiare, masticare, far valere il proprio diritto alla spietatezza che conduce per quanto auspicabile alla sopravvivenza…

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Così è tornato dopo mezzo secolo (forse) il draghetto dell’erba e del sole

L’estinzione di una creatura è soltanto raramente in grado di presentarsi come un singolo e preciso evento, da segnare in modo inequivocabile sul calendario. Benché ciò possa succedere, se qualcosa è andato fondamentalmente per il verso sbagliato, come nel caso del Tilacino o Tigre della Tasmania: un singolo esemplare mantenuto in uno zoo, che spira nella più totale assenza di qualsiasi opportunità riproduttiva. Molto più comune, ed egualmente triste nel suo risultato finale, è la graduale presa di coscienza che creature un tempo onnipresenti sono diventate progressivamente rare, quindi quasi impossibili da incontrare. Ed infine, soltanto un vago ricordo. Ed è così che in epoche antecedenti a quella moderna, nascevano infinite leggende sui criptidi e mostri di varia natura, ivi incluso quello totalmente imprescindibile d’infine leggende o saghe: il drago. Mentre in Australia, dove il distintivo folklore dei nativi e la relativa ragionevolezza dei coloni, giunti presso questi lidi soltanto ai margini del XIX secolo, un tale appellativo è stato da sempre riservato ad una forma di vita biologica effettivamente e materialmente presente in queste terre, almeno fino all’epoca in cui i Beatles stavano ancora rilasciando alcuni dei loro dischi più famosi. Tympanocryptis, hai presente? [La lucertola] “con le orecchie nascoste” ed a dire il vero anche incomplete, poiché mancanti di alcun tipo di apertura riservata nella pelle scagliosa ed un vero e proprio timpano funzionante. Il che è oggettivamente insolito nel mondo degli agamidi e basterebbe a dare a simili creature, imparentate alla lontana con le iguane, un aspetto sottilmente inquietante. Se non fosse che stiamo parlando di animali non più lunghi di una quindicina di centimetri, in base alla specie, ed oggettivamente anche piuttosto graziosi. Poiché di varietà riconosciute dei cosiddetti draghetti dell’erba o grassland ce ne sono (almeno) 23, difficilmente distinguibili tra loro al punto che affermare che negli anni sia stata fatta della confusione sarebbe, a conti fatti, il più ottimistico degli eufemismi. Particolarmente in relazione al protagonista dell’entusiastica notizia della scorsa settimana, il presunto o presumibile T. pinguicolla alias drago di Victoria, più volte spostato dal punto di vista tassonomico e in origine accorpato in una singola specie assieme con il T. lineata ed il T. petersi tipico della provincia di Canberra. Tutti egualmente in bilico di fronte al baratro dell’evoluzione, per la predazione spietata da parte dei gatti domestici e la riduzione dell’habitat, benché il tipo appena “ritrovato” costituisca da questo specifico punto di vista un caso estremamente particolare. Tanto da aver portato numerose testate internazionali a divulgare il termine di paragone offerto dai ricercatori, inclini ad evocare niente meno che la tigre stessa della Tasmania…

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