Era l’apice di una giornata di pesca come tutte le altre, quando tirando a bordo la rete a strascico di questa nostra imbarcazione, ci rendemmo all’improvviso conto di aver tratto a bordo un araldo di Yog Sothoth, Mietitore degli Abissi. Ammasso di tentacoli vibranti, la bocca spalancata al centro per costituire l’apertura verso un altro piano dell’esistenza. L’occulto e onnipresente luogo dove le realtà si sovrappongono, mettendo a dura prova la limitata cognizione di causa posseduta da noialtri esseri capaci di percepire o concepire appena una manciata di dimensioni. La triplice precisa contingenza, per essere precisi, dove la Creatura getta la sua ombra, pur riuscendo a mantenere l’evidente ed impossibile complessità del proprio corpo dalla plurima coscienza, equamente distribuita. Perciò una stretta di mano, lupo di mare, che foraggi fonti di sostentamento dal profondo, inquieta anima incapace di capire dove ha fine l’essere vivente, e inizia l’aura di mistero che ogni tipica sinapsi accende. come il bulbo di una lampadina che galleggia nel trasparente plasma dei primordi sussistenti. Là dove la tenue catena delle circostanze si assottiglia, perdendo il modo di congiungere la Terra e il Mare. E ciò che avremmo voglia di scrutare guarda facilmente, molto prima di quanto potremmo, il nucleo della nostra persistente anima ormai prossima allo smarrimento.
Echinodermata, ovviamente. Che altro? Il phylum di creature caratterizzate dal superamento della simmetria bilaterale una volta che si trovano a raggiungere l’età riproduttiva, puntando a quella del pentametro radiale benché pure questo sia più che altro il mero approccio di un flessibile riferimento della procedura. Fino al caso estremo di presenze come questa, che paiono sfidare il tipico concetto di cos’è una pianta per i nostri occhi. E cosa, invece, un animale. Laddove pur non integrandosi nel vasto insieme di creature cosiddetti sessili, che amano ancorarsi a quel fondale distante, “stelle” come queste trovano preferibilmente un pratico pertugio da cui emergere cacciando con la captazione. Soltanto e preferibilmente nelle ore tra il tramonto e l’alba, all’esaurirsi delle quali tornano a serrarsi come un pugno, comprimendo i propri arti nello spazio appena sufficiente per nasconderle e proteggerle da sguardi indiscreti. Una mansione che talvolta può essere difficile per queste varietà giganti, come le esponenti di generi come Astrophyton, cui parrebbe appartenere il notevole per quanto breve segmento videografico sopra mostrato, che parrebbe aver colpito comprensibilmente la fantasia di un’ampia percentuale di spettatori online…
Note collettivamente come gli esponenti di una classe biologica chiamata in lingua latina degli Ophiuroidea, causa la natura “serpentina” (Ophis) delle proprie sinuose braccia predatorie, queste stelle marine trovano anche l’appellativo comune in lingua inglese di basket, stelle a cestino o ancora brittle stars, ovvero caratterizzate da un’implicita fragilità che rende difficile trarle in salvo in un sol pezzo, quando cadono accidentalmente preda delle reti di un visitatore nautico dell’increspata superficie marina. Ragion che rende ancora più notevole la scena d’apertura, la cui origine si è resa formalmente irrintracciabile dopo la rituale propagazione presso alcuni dei distretti maggiormente caotici di Internet, i video verticali degli shorts di YouTube e Tiktok. Sebbene sia del tutto ragionevole immaginare una cattura della scena presso uno dei settori più temperati dell’Oceano Atlantico vicino al continente Americano, tra i Caraibi e la North Carolina, o ancora nel golfo del Messico piuttosto che i piatti fondali sabbiosi antistanti alle spaziose coste del Brasile. Questo l’areale preferito della specie più comune in questo gruppo, l’Astrophyton muricatum o stella cestino gigante, che condivide parte del suo binomio scientifico con il fiore di un cactus texano e messicano, possibilmente proprio in funzione della sua riconoscibile forma a raggiera. Dove prospera a molte profondità differenti, variabili tra i 5 e 200 metri dalla soprastante superficie colpita dalle radiazioni solari sebbene il luogo preferito rimanga molto prevedibilmente un qualche tipo di (sopravvissuta) barriera corallina. Ovunque, insomma, dove possa verificarsi la maggiore concentrazione di plankton fluttuante nella colonna marina, che la stella filtra tramite l’impiego delle proprie braccia lentamente dispiegate in ogni direzione, giungendo a formare nelle ore notturne una vera e propria ragnatela vibrante. Per poi creare piccole correnti direzionali, in quel debole ma deliberato flusso dei movimenti, tali da condurre i piccoli bocconi verso la bocca che si trova nel disco centrale. Ove si verifica l’assorbimento delle sostanze nutrienti, direttamente nello stomaco all’interno, prima di provvedere all’espulsione successiva dei rifiuti risultanti. Così mimetizzandosi, timidamente pronta a ritornare dentro il proprio buco al primo accenno di pericolo (anche l’accensione di una fonte di luce, se improvvisa, può essere del tutto sufficiente) la stella brulicante opera in tal senso nello scopo che gli riesce meglio. Attendendo il sopraggiungere dell’ora dell’altra mansione principale che connota la sua vita, la riproduzione. L’A. muricatum che abbiamo preso ad esempio è dunque una specie gonocorica ovvero dotata di due sessi distinti, sebbene anche l’alternativa esista nel repertorio delle appartenenti al suo stesso gruppo di pertinenza, nota per la sua capacità di sincronizzare la dispersione delle larve con il cambiamento stagionale delle correnti oceaniche utili a garantirne la dispersione. Così che in seguito al rilascio collettivo dei gameti in una sola notte predestinata, la fecondazione conduca alla produzione di gruppi di uova abilmente deposte sui coralli o madrepore a disposizione, da cui nascano le letterali migliaia, se non decine di migliaia di larve microscopiche note con il termine accademico di ophiopluteus.

Sarà quindi soltanto dopo il trascorrere di un tempo molto variabile, tra i 6 mesi e 2 anni in base alla disponibilità di risorse, che la stella marina ormai matura abbandonerà il suo stile di vita fluttuante, scegliendo piuttosto di diventare il nucleo del pericolo per tutte quelle minuscole creature della cui collettività portata in giro dalle masse d’acqua, fino a poco tempo prima, essa stessa aveva fatto parte. Con una durata di vita molto più lunga del previsto: fino ed oltre i 10 anni, in condizioni ideali.
Il che la porta invariabilmente ad assumere, come per l’appunto dicevamo, la forma di un groviglio difficilmente quantificabile e per questo capace di gettare l’animo impreparato in una condizione simile allo sconforto. Comprensibile, persino accettabile, a patto che il partecipante umano riesca a mantenere le opportune cognizioni di causa, affrettandosi doverosamente a gettare nuovamente la creatura nel suo legittimo ambiente di appartenenza. Là dove la leggendaria diversificazione biologica del pianeta subacqueo appare instradata verso una costante e irrisolvibile deriva situazionale. Già prima ricorrere alla sottrazione temporanea ma fatale di esemplari, con il solo scopo di riuscire a prolungare il proprio potenziale attimo di gloria digitalizzata, tra le onde di un mare di likes effimeri e pixellate emoji di approvazione.