Il verificarsi di uno stato di pericolo non è sempre frutto di una progressione sistematica degli eventi. Ci sono casi in cui sbagliare comportamento induce su una strada che, un poco alla volta, riduce i propri presupposti di sopravvivenza. Ed altri invece in cui trovarsi nel luogo sbagliato, al momento sbagliato, può costarci tutto. Persino la vita. Certo, l’individuo intento a navigare con la sua canoa su questo fiume non identificato in Virginia Occidentale sembra aver ignorato una lunga serie di cartelli di pericolo. Ma quante persone incoscienti, persino mentre guidano l’automobile, sono purtroppo abituate ad ignorare tutta la segnaletica verticale, basandosi soltanto su semafori, strisce dell’asfalto e i propri “ottimi riflessi”? Mentre è indubbio che pochissimi di noi, mentre remano assecondando la corrente, siano soliti guardare a lato del corso d’acqua, per acquisire la nozione informazioni che risultino effettivamente importanti. Anzi a dire il vero, addirittura primarie. Come la presenza di una low head dam o weir, ovvero quella che in gergo italiano siamo soliti chiamare una briglia fluviale; sistema che modifica la forma del fondale, con una serie di possibili obiettivi infrastrutturali, vari quanto le possibili direzioni del vento. Eppure, proprio questo è il punto, non si vede. Proprio per niente, presumendo di trovarsi assorti, persi nei propri pensieri, e soprattutto in posizione seduta su un piccolo scafo, prospetticamente posto in asse col punto di fuga della visuale. L’unica speranza è leggere i cartelli oppure, notare la suggestiva increspatura che si trova innanzi, prima che quest’ultima cominci a risucchiarci verso il basso e conseguentemente, l’oblio.
Il punto problematico delle briglie fluviali è che non sono SEMPRE pericolose. Questo particolare malcapitato individuo, in effetti, potrebbe essere passato di qui per dozzine di volte, senza incorrere in alcun tipo di problema. Finché un giorno, causa piogge a monte lungo il corso del torrente, quest’ultimo si è ingrossato in modo sufficientemente significativo, accelerando il corso della propria progressione verso valle. Ed è allora che il punto in cui il fondale è stato rimpiazzato, da uno scivolo in cemento che costituisce lo scalino di una simile diga sommersa, si trasforma in quella che viene generalmente definita “la perfetta macchina da annegamento”. Pochi ne hanno conosciuto la potenza, riuscendo successivamente a raccontare la propria storia. Il che immagino che renda l’individuo americano estremamente fortunato, visto che il titolo del video parla di scampato annegamento, benché questo si interrompa prima che che egli possa dirsi fuori pericolo del tutto. Il che vuole dire, in altri termini, che stava ancora venendo tirato sotto, chiedendosi forse perché il giubbotto di salvataggio non riuscisse a farlo stare a galla, nonostante l’impegno messo nel nuotare controcorrente. Dopo quello, estremamente futile, dedicato a pagaiare nel tentativo di liberarsi da quest’attrazione fatale da cui nessuno, non importa quanto fosse abile e allenato, avrebbe mai realmente potuto sperare di mettersi in salvo. Per comprendere, dunque, l’effettivo moto della corrente in corrispondenza di queste strutture, basterà pensare al funzionamento di una lavatrice: c’è una massa d’acqua che viene immessa da una condotta, in questo caso la discesa della diga, all’interno di un ammasso fluido che secondo le leggi basilari della fisica, non può che reagire in senso uguale e contrario. Il che forma una rientranza, come una sorta di avvallamento che prende il nome di salto idraulico. Ma se la corrente è successivamente forte, arrivando a ricoprire totalmente questo spazio con ulteriori ettolitri d’acqua ciò che si crea è un vero e proprio vortice dall’asse trasversale, che può intrappolare uomini e imbarcazioni facendole letteralmente scomparire dalla superficie, per poi riemergere pochi metri più avanti. Dove tuttavia, il meccanismo di ritorno del fenomeno non potrà che riportare tutto quanto indietro, e di nuovo sotto e via così, all’infinito. Ci sono persone, abilissime nel nuoto, che sono riuscite a cavalcare questo tipo di crisi per molti minuti ed ore, riuscendo a prendere fiato ogni volta nei pochi minuti a disposizione. Una volta presi in trappola, tuttavia, è molto difficile che qualcuno possa prestare soccorso. L’unica speranza, è tentare di raggiungere la riva. O come ultima speranza, compiere un gesto particolarmente azzardato: togliersi il giubbotto e buttarsi giù in profondità…
ingegneria
Hotelicottero, il più possente aeromobile a decollo verticale
I ricordi dei bambini degli anni ’80 sono letteralmente popolati d’improbabili cognizioni, relative all’uscita di presunti videogiochi, film o creazioni a fumetti, in qualche modo rivoluzionari o del tutto fuori dalla linea logica delle cause ed effetti coévi. Col trascorrere dei mesi, dunque, simili opere non riuscivano mai per prendere forma tangibile o materiale, lasciando uno strano senso d’incompiutezza e delusione… Unico punto in comune, la data in cui venivano annunciate simili notizie sulle riviste di settore, antenate dell’odierno mondo digitale informatizzato: sempre ed immancabilmente, l’inizio del mese di aprile. Così come nella catena del bullismo da caserma, questi scherzi, o veri e propri PESCI se vogliamo, erano destinati a lasciare una profonda impressione nella formazione caratteriale di un’intera generazione. Quella che oggi alimenta la propria stessa ragione d’esistenza a colpi formidabili di fake news. Ma c’è stato un fugace momento, quell’attimo ancora in bilico dalla parte stabile del burrone, in cui l’intenzione di sorprendere in maniera positiva era ancora l’obiettivo dei burloni, prima che finalità politiche o in qualche modo satiriche diventassero il motore alla base di ogni elaborazione, per così dire “creativa” della realtà. Già, era il 2009, quando hotelicottero prese per la prima volta il volo. L’apparente filmato pubblicitario, assai popolare verso la fine del primo quinquennio nell’esistenza di YouTube, in cui un’entusiastica voce fuori campo presentava l’incredibile visione di un albergo volante, allestito apparentemente a bordo di un gigantesco elicottero a due piani. In realtà presentazione completamente fittizia di un sito statunitense per prenotare in albergo, lo spot completo di rendering e fotografie dei lussuosi interni riuscì a convincere non poche persone, causando un’ondata di sdegno verso lo spreco a cui sapevano giungere i favolosamente ricchi, indifferenti alle ragioni dell’incipiente crisi. Mentre nel frattempo, un serpeggiante quesito serpeggiava nella mente dei più ragionevoli: un elicottero così grande non poteva esistere a questo mondo. Giusto?
Ovviamente le opinioni possono divergere. E quando il promotore di una simile idea si trova si trova a capo del più grande e funzionale dipartimento di progettazione elicotteristica nazionale al mondo, tutto può accadere. Persino l’incredibile materializzarsi di quello che appena un terzetto di decadi dopo, sarebbe stato giudicato materia da pesce d’aprile. Quel qualcuno era Mikhail Leontyevich Mil e l’epoca, gli anni ’60, quando la Russia sovietica aveva un importante problema: come trasportare, in alcune delle località più remote della Siberia e gli altri recessi dell’Asia sub-artica settentrionale, i materiali necessari a costruire un certo numero di installazioni sotterranee, all’interno delle quali dispiegare una certa quantità del proprio arsenale nucleare. Come potreste in effetti sapere, stiamo parlando di territori straordinariamente remoti in cui la costruzione e il mantenimento di strade moderne avrebbe un costo proibitivo, soprattutto in proporzione alla bassissima densità di popolazione. Tutte le strade fatta eccezione per quella che resta pur sempre, inerentemente, a disposizione: la via del cielo. Fu così che nacque il quadrimotore Antonov An-22, tutt’ora detentore del record di aereo ad eliche più grande del mondo, costruito in 68 esemplari dal peso a vuoto di 114 tonnellate. Ma il bureau non era soddisfatto ed alquanto incredibilmente, voleva di più. Pretendeva in effetti di poter spostare i propri missili senza dover fare riferimento alla posizione di alcuna pista di atterraggio, in altri termini, voleva metterci delle pale su quella cosa, e vederla partire su verticalmente per atterrare, possiamo soltanto presumerlo, nello stesso identico modo. E fu allora che entrò in gioco la Mil, compagnia a partecipazioni pubbliche di proprietà dell’omonimo scienziato-ingegnere con il quartier generale a Tomilino, iscritta all’elenco di sussidiarie della Вертолеты России (“elicotteri russi”) gigantesco fornitore dell’esercito con svariate decine di migliaia di dipendenti. Tra i quali tuttavia, Mikhail Leontyevich con e sua equipe spiccavano per la creatività e l’inclinazione a creare le più enormi e potenti tra tutte le gru volanti, con un’estrema propensione a raggiungere l’effettiva catena di montaggio. Così mentre il rivale professionale ed ex-collega Nikolai Ilyich Kamov diventava famoso per i suoi elicotteri coassiali, design progettuale controverso in cui una coppia di rotori sovrapposti ruotano in direzioni opposte, lui aveva già ottenuto l’approvazione del Mi-1 e il Mi-8, due dei più affidabili e riusciti elicotteri da trasporto a rotore singolo che fossero mai stati costruiti. La scia di successi alquanto prevedibilmente, non poteva continuare per sempre. E fu così che il rinomato progettista, rispondendo alle richieste dei generali, iniziò a dedicarsi a quello che sarebbe stato nel contempo il suo capolavoro e il più notevole fallimento della sua carriera. Nome in codice: Mil V-12, benché sarebbe passato alla storia con la denominazione convenzionale dei paesi NATO: elicottero Homer. Strane suggestioni retroattive dall’universo dei cartoni animati…
L’effetto surreale di una torre piezometrica sul paesaggio urbano
Col sopraggiungere dell’epoca industriale, grazie all’invenzione della macchina a vapore, fu scoperto che pompare l’acqua verso l’alto portava inerentemente un’ampia serie di vantaggi. Svuotava le miniere allagate, permettendo di continuare l’estrazione mineraria anche nei periodi più piovosi dell’inverno; consentiva d’irrigare terreni precedentemente reputati non coltivabili, in funzione della loro inaccessibilità territoriale; ma soprattutto, permetteva d’immagazzinare a tempo indeterminato l’energia. Già perché, se analizziamo le caratteristiche fisiche di quello che siamo soliti definire il mondo, appare evidente come due tra i quattro elementi identificati dalla filosofia classica tendano perennemente verso il basso, in funzione della forza gravitazionale che permea ogni cosa. Ragione per cui, intrappolare un fluido più pesante dell’aria all’interno di un’alto edificio, significa disporre di una preziosa risorsa, capace d’instradarlo in seguito verso qualsiasi direzione desiderata. È il concetto, questo, di uno degli elementi più antichi e tutt’ora rilevanti di qualsiasi acquedotto in senso moderno, il serbatoio sopraelevato. Anche detto standpipe (tubo verticale) o dal punto di vista prettamente architettonico, torre piezometrica della pressione. Se si osserva con la giusta inclinazione, appare quindi facile trovarne pressoché ovunque: dalle piccole comunità rurali del centro europa alle città anglosassoni, per non parlare delle loro controparti d’Oltreoceano, le vaste metropoli degli States. Passando per comunità olandesi come Ijmuiden, il porto commerciale che si affaccia alla foce del Noordzeekanaal (Canale del Mare del Nord) un tempo villaggio di contadini dal nome di Breesap, prima di crescere fino a svariate decine di migliaia di abitanti nel corso del XVII secolo, quando furono completati i lavori per collegarla con Amsterdam tramite la via marittima artificiale. Un passaggio, questo, capace di sollevare svariate problematiche infrastrutturali. Tra cui quella, sempre presente, di fornire acqua in quantità sufficiente per tutte le case.
La situazione fu affrontata per gradi, attraverso tutto il corso del XVIII, durante il quale i più abili ingegneri d’Olanda costruirono un sistema idrico capace di sfruttare le pendenze naturali del territorio per trasportare l’acqua oltre le dune, fin dentro le case di un numero sempre crescente di cittadini. Fu soltanto nel 1915 quindi, che nel contesto di un simile sforzo istituzionale, venne costruita la torre piezometrica dell’Evertsenstraat, un tozzo edificio alto la cifra considerevole di 42,60 metri (praticamente, l’equivalente di un palazzo di 11 piani). Chi si trovava ad osservarla dal livello della strada, tuttavia, notò fin da subito qualcosa di strano: sopra la solida struttura in calcestruzzo costellata d’inutili finestre ornamentali, l’ignoto progettista aveva deciso di porre una vera e propria abitazione in stile vagamente vittoriano, accentuando notevolmente l’aspetto bizzarro del paesaggio così profondamente ridisegnato. Praticamente poteva sembrare che la famiglia Addams, stanca di dar retta ai suoi innumerevoli visitatori, avesse deciso di spostare la propria casa sulla cima di un albero, per scrutare con sdegno l’intera città addormentata. Un’espressione, se vogliamo, di un diverso modo di assolvere alle necessità dell’ambiente cittadino: quando le infrastruttura non venivano ancora considerate un male necessario, bensì l’occasione di abbellire ulteriormente, in qualche maniera, lo scenario in cui molte migliaia di persone sceglievano di trascorrere la propria vita. Nel 1927 fu spesa una cifra ulteriore di 2.300 fiorini, per installare un orologio sulla sommità del serbatoio, in grado di contenere 2500 metri cubi d’acqua. Successivamente abbandonato a se stesso per l’introduzione delle moderne stazioni di pompaggio cittadine, l’edificio fu quindi oggetto di un incendio doloso e vari atti vandalici verso l’inizio degli anni 2000, eventi a seguito dei quali fu effettuato un profondo intervento di restauro con finanziamenti privati, dal costo di oltre un milione di euro, finalizzato a rimuovere gli elementi strutturali non più necessari. L’azienda che aveva acquistato il sito dalla notevole rilevanza storica, quindi, non poté fare a meno di notare quanto esso assomigliasse naturalmente a una specie di condominio a sviluppo ultra-verticale. Ragione per cui, una volta ottenuti i permessi necessari, iniziò immediatamente i lavori per trasformarlo in una serie sovrapposta di loft, l’uno sovrapposto all’altro, dalle rifiniture di alto livello e una vista inconfondibile sul Noordzeekanaal. Ciò che un tempo era necessario, oggi tornava utile. E la città di Ijmuiden aveva ritrovato un apprezzabile monumento.
Il senso del grattacielo che incorpora una cascata
Periodicamente succede, presso i lidi ragionevolmente imprevedibili della grande società virtuale senza confini: una compagnia pubblica il suo ultimo capolavoro, sicura di riscuotere un successo internazionale privo di precedenti. Ma la reazione del pubblico, per usare un eufemismo, è “lievemente” disallineata rispetto alle aspettative, finendo per dare il via ad un sistematico processo di spoetizzazione, che talvolta trascende persino la ragionevole propensione verso i presupposti dell’ottimismo umano. “Sembra un grattacielo coi tubi che perdono” inizia qualcuno, seguito da un immediato “Beh, almeno non dovranno spendere soldi per far lavare i vetri delle finestre.” Sono tutti comici online, tranne quelli che sono tecnici: “È chiaro che al di sopra di una certa velocità del vento, soltanto una quantità minima di acqua riuscirà a ricadere nel minuscolo bacino adibito a questa finalità. Allora questo diventerà, più che altro, il grattacielo della pioggia.” E poi ci sono le comprensibili critiche degli ambientalisti: d’accordo, l’acqua utilizzata per la fontana resta sempre la stessa in ciclo continuo, ma che dire del naturale processo d’evaporazione? E il consumo energetico? Già: le critiche nei confronti del nuovo edificio della città di Guiyang, capitale della provincia della Cina sud-occidentale di Guizhou sono parecchie, e non tutte assolutamente immotivate. Al di là dell’aspetto estetico privo di alcuna considerazione di contesto, occorre ammettere che se i palazzi da oltre 100 metri generalmente non presentano molti ettolitri d’acqua che ricadono ogni minuto lungo la superficie della loro facciata principale, esiste generalmente un ottimo motivo. Pensate, tanto per cominciare, ai depositi minerali di calcare che andranno progressivamente a ricoprire la struttura, per non parlare degli spazi perennemente umidi, ideali centri riproduttivi da sogno per batteri anche piuttosto pericolosi, come la legionella. Ma il problema principale probabilmente resta anche un senso latente d’invidia: a cosa diavolo dovrebbe servire, volendo, questo improbabile apparato, se non mettere in evidenza la (teorica) opulenza del Rudy Industry Group, maestoso conglomerato aziendale dall’ambito operativo incerto? (Ma non lo sono forse tutti…) Lo stesso Xi Jinping, premier nazionale, si recentemente espresso negativamente nei confronti della cosiddetta “strana architettura” che si sta manifestando negli ultimi anni attraverso i luoghi più inaspettati della Cina, come prodotto collaterale dell’affluenza commerciale dell’intero vasto paese. Domande retoriche a parte, tuttavia, è indubbio che la scenografia presentata da un simile edificio sia capace di destare un certo grado di spontanea meraviglia. Dopo tutto, non capita spesso, per non dire mai, di vedere coi propri occhi qualcosa di simile: la cascata artificiale più alta del mondo. Persino maggiore di quella prodotta dai principali impianti idroelettrici, che tra l’altro presentano uno sviluppo generalmente di tipo obliquo/diagonale, non certo questo sottile nastro che pare proporsi d’imitare l’aspetto esteriore del Salto Angel del più profondo Venezuela.
Una considerazione, quest’ultima, che sembrerebbe avvicinarsi nettamente al nocciolo del castello verticale di piazza Liebian, nuovo quartiere commerciale ad alta intensità il cui nome significa “Intenso Cambiamento”. Scriveva a tal proposito il grande viaggiatore cinese XuXiake, nel remoto 1697: “Questo è il fiume Baishui e c’è uno svettante dirupo più avanti, con acque ancor più profonde. Gli spruzzi sono come perle e giade, che si trasformano in fumo nell’aria con un impeto terrificante.” Un elogio allo splendore innato della natura, diretto alla più grande cascata di tutta la Cina, ispiratrice di 1.000 poeti e pittori nazionali: Huangguoshu, la “cascata dei frutti gialli” situata per l’appunto, a poche ore di macchina dalla più vasta città provinciale. E traspare una netta evidenza, secondo cui se gli abitanti di Guiyang sono pronti a sopportare i problematici spruzzi dello stravagante edificio anche soltanto per qualche minuto, è perché essi dovrebbero rappresentare, almeno idealmente, una sorta di pubblicità internazionale per la più importante attrazione turistica di questi luoghi. Ma la realtà è che le ore da riservare materialmente a una simile tolleranza sono piuttosto limitate, visto che l’accensione della cascata, in effetti in posizione da ben due anni nonostante l’inaugurazione recente dell’intero edificio, si è finora limitata ad appena 6 volte della durata di un’ora massima ciascuna. La ragione di tutto questo, a dire il vero, è piuttosto sorprendente…