Come è possibile comprare per sbaglio una mucca?

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L’avete mai considerato? Il tipico battitore d’aste d’Oltreoceano non è come noi. Quando si trova sopra quel palco, impugnando il suo martelletto, egli si trasforma nella personificazione di…Qualcosa. Di grande. Chiamiamolo, se vogliamo, il potere delle vecchie istituzioni del commercio. Ascoltarlo mentre parla al ritmo di 250 parole al minuto, ripetendo sempre le stesse cose, e snocciola i suoi numeri: “Ho 100, chi offre 100 ed ¼. Cento, cento ed ¼, chi offre cento ed ½? Cento ed ½, cento ed ½…” Può trasportarti in un mondo del tutto diverso. In cui il denaro non ha valore, mentre a comandare è soltanto l’ipnosi del desiderio, quel sentimento che poeticamente prende il nome di Want.
L’inglese non è difficile, puoi persino combinarlo con l’italiano. “To tell” vuol dire narrare; “Vi” è  pronome personale di seconda persona plurale. Vogliate seguirmi, dunque, mentre vi-tello una storia. È la vicenda di un calf (vi-tello anche lui) che a luglio dell’anno scorso ebbe la dubbia fortuna di andare in Tv. Ma furono il modo, e la ragione di un tale evento, a caratterizzare l’intera questione. Perché l’animale fu messo in vendita all’asta, e quindi successivamente ricomprato, dalla stessa identica persona: John Elick, mandriano texano. per la sconclusionata mediazione di Bert detto “la Macchina” Kreischer, noto comico, attore e conduttore di reality show statunitense. Che in quel frangente era occupato, assieme ai suoi due migliori amici, nella realizzazione della nuova puntata di Trip Flip, un programma che l’ha portato un po’ ovunque, dallo Utah al Sud Africa, dall’Alabama alla Tanzania. E poi naturalmente lì, nello stato de “il Gigante” (una regione, per l’appunto, gigante) ovvero il Texas del grande Sud, dove ogni aspetto del commercio guadagna riflessi cromatici differenti, e costringe chi viene da fuori a fare una grande, assoluta attenzione. Ora naturalmente, come in tutti gli show realizzati per il pubblico ludibrio, non manca la più scontata delle obiezioni: c’era un copione, era tutto preparato. Mentre lo stesso protagonista, in alcuni dei suoi numerosi podcast prodotti per il pubblico del web, ha sempre giurato che la vicenda si fosse svolta esattamente così, come la vediamo. E poi va pur detto: la sua crisi di riso nervoso, accompagnata dalle goliardiche consolazioni degli amici, sembrano molto sincere.
La scena si svolge in un capannone allestito con lo specifico intento di tenere un’asta di bestiame, di quelli che vengono comunemente impiegati nelle zone rurali di quel paese o tirati su in forma provvisoria, durante le fiere agricole locali. Secondo alcuni siamo ad Abilene nella contea di Taylor, ma non è sicuro. Invece la premessa è che Kreischer, come suo solito, si è lasciato trascinare dagli eventi, ed ha promesso all’ospite e guida locale John Elick che avrebbe fatto di tutto, onde assicurare che ciascuno dei suoi vitelli fosse venduto a un buon prezzo. Incluso, a quanto pare, fare lui la prima offerta, sedendosi tra il pubblico e alzando la mano, un gesto notoriamente inequivocabile in tali circostanze. Soltanto che… Ed è questo ciò che lui non aveva affatto considerato, la mucca in questione è dotata di un pool genetico a quanto pare di gran classe, tanto da porre il suo prezzo di base al rispettabile gruzzolo di 1.400 dollari. Non proprio una cifra che invoglia al rilancio. Così il battitore continua la sua nenia, riconferma più e più volte la cifra. Un membro tra il pubblico, che aveva incontrato il suo sguardo, fa cenno che non gli interessa. E così alla velocità del tuono, BAM! La mucca è venduta. Kreischer spalanca gli occhi, guarda gli amici e quindi scandisce le seguenti parole: “Ho comprato una mucca. Mia moglie mi ucciderà.”

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L’inganno più proficuo mai impiegato dai giostrai

Razzle game

Fornire dati palesemente erronei a qualcuno non è facile. Occorre creare una storia valida, corroborata dal contesto, che sia a prova addirittura dell’analisi dovuta alla disperazione. Deve poter sembrare, nella mente del pesce umano, che una volta eliminate tutte le più remote o poco probabili soluzioni, l’unica strada che rimane sia attraverso l’amo che gli viene fatto galleggiare innanzi, come un allettante ma sinistro ausilio all’autodistruzione. Sapete cosa, invece, è alla portata di chiunque? Rendere costui un proprio complice del tutto inconsapevole, all’interno di un meccanismo finalizzato all’apparente ed impossibile guadagno, quindi lasciarlo indietro proprio sul più bello, fluttuando via leggiadri con le sue finanze, l’autostima e, nel remoto caso in cui costui ne avesse ancora, ogni briciola residua di fiducia nell’umanità. Non ci vogliono doti particolari di recitazione e comprensione psicologica (benché aiutino) perché proprio questo è il punto stesso della truffa, come seconda professione più antica del mondo: lasciare che la vittima finisca ad ingannarsi da sola, a causa di quel brivido che viene dal Profondo. La Sensazione. Dai, la conoscete! Quel solenne momento interiore, in cui tutto sembra dipendere dai dadi del destino, e una persona dimentica se stessa, i suoi parenti, il suo lavoro, perché soltanto la vittoria nella situazione presente potrà restituirgli la sua naturale personalità. O almeno, così pareva con tutta la forza delle propria anima al qui presente giovane studente, accompagnato da un amico che in realtà mirava a fargli uno scherzo, nella sequenza in candid camera realizzata per una vecchia puntata del 2009 del programma inglese The Real Hustle.
Abbiamo parlato di dadi, ma non è di questo che si tratta. Troppo semplice, troppo scontato. Giacché l’idea fondamentale di questa straordinaria tecnologia per estrarre il denaro dal portafogli dei troppo fiduciosi, è gettarli nella confusione, complicargli la vita fino al punto in cui ogni parola del regista all’altro lato della cassa sembri oro colato, e i presunti premi risplendano di una luce irresistibile e sacrale. Non per niente, il “gioco” (se così  vogliamo chiamarlo) ha il nome segreto di Razzle, dall’espressione inglese idiomatica razzle dazzle, che si riferisce ad un qualcosa di così appariscente da confondere le apparenze, e nascondere l’occulta, fin troppo pericolosa realtà. Il guadagno inizia, come spesso capita, in una maniera apparentemente priva di grosse pretese. L’affiliato di un luna park viaggiante, talvolta assieme a un socio o una socia, allestisce un banchetto nella zona più trafficata dai visitatori, dove si promettono grandi vincite con investimenti non eccessivamente significativi. Nella finzione del programma, il ruolo dei sedicenti truffatori fu interpretato nel 2009 dai conduttori fissi Paul Wilson e Jessica-Jane Clement, capaci di recitare la parte in maniera decisamente priva di fraintendimenti. Sia chiaro che alla fine, tutti i soldi sono stati restituiti al legittimo proprietario. Ma non andiamo tropo avanti. La vittima designata, accompagnata fin lì dall’amico e complice della produzione, è stata quindi messa di fronte ad una coppia di tabelloni, occupati rispettivamente da una serie di fori numerati prima di essere posti in orizzontale, ed una tabella di conversione, per alcuni punteggi ottenibili mediante il primo di questi due implementi. Nel seguente modo, amichevolmente messo in chiaro da Paul: per la modica cifra di due sterline, tutto quello che l’aspirante vincitore dovrà fare è lanciare un certo numero di biglie in modo casuale, affinché queste ricadano in corrispondenza dei punteggi la cui somma, del tutto casuale all’apparenza, compare chiaramente sul bancone. A seguito di ogni totale azzeccato, quindi, il giocatore guadagnerà dei punti o “yarde” (talvolta l’intero ambaradan è presentato come una metafora per una partita di football americano) con l’obiettivo di raggiungere i 10 punti ed ottenere in cambio il premio selezionato tra l’ampio catalogo messo in mostra, con pezzi forti quali televisori all’avanguardia, computer portatili, console per videogiochi. Troppo bello per essere vero? Troppo bello…

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Porta la coperta della nonna in TV, scopre che vale una fortuna

Ute First Phase Blanket

“Signore, quando lei ha esposto il suo cimelio nella sala principale del nostro evento, l’avrà notato, per un attimo sono trasalito. Non riuscivo quasi a respirare.” Esordisce il perito, con un preambolo decisamente interessante. “La rarità, le condizioni quasi perfette, l’impossibilità di produrre un falso! Questa cosa è…Un Tesoro Nazionale, lei lo sa?” Ma io, ma io, la usavo quasi quotidianamente…
Trovarsi desensibilizzati al gusto ed al pregio dell’antichità è uno stato naturale del momento presente, massimamente teso alla realizzazione di “cose straordinarie” o “gesti eclatanti”. Ad un tal punto siamo abituati all’abbondanza di risorse, strumenti e oggetti decorativi, che oramai il nostro senso critico non guarda più al lavoro che c’è dietro a un qualche cosa, ma lo tiene in considerazione solamente sulla base di ciò che può fare, ovvero la sua sostanziale utilità. L’industria dell’inarrestabile catena di montaggio, dopo tutto, può produrre quasi ogni cosa! E quel qualcosa sarà certamente, dal punto di vista prettamente funzionale o utilitaristico, il pari dell’antico, o ancor migliore di quello. Più solido, più impermeabile, più tagliente, più veloce, più caldo… E nel caso di un qualcosa di esteticamente valido, addirittura, più bello? Dipende. Perché la bellezza è una risorsa soggettiva, che alcuni trovano nei luoghi inaspettati. Ed altri sanno individuare nell’antico, perché gli riesce di percepire mentalmente l’origine di un qualcosa, che ha una lunga storia e un valido tragitto d’esistenza. Un esempio: questa scena, piuttosto famosa online, si svolge presso Tucson (Arizona) durante l’edizione del 2001 di Antiques Roadshow, un programma originariamente inglese ma ricreato anche in Canada e negli Stati Uniti, che invia i periti delle case d’aste in tour per i rispettivi paesi, permettendo agli abitanti locali di scoprire se posseggono a loro stessa insaputa un qualcosa di straordinariamente prezioso. Dando vita a dei momenti alcune volte invidiabili, qualche altra coinvolgenti, molto spesso carichi di un elemento di sorpresa e quasi sempre, straordinariamente emozionali. Specie nei casi, come il qui presente, in cui una persona senza particolari facoltà economiche si ritrova improvvisamente conscio di possedere essenzialmente un’intera casa di grandezza media, temporaneamente intrappolata in una “semplice” coperta.
Benché nel presente contesto, sia chiaro, di comune c’è ben poco. L’uomo in particolare infatti, del cui nome purtroppo non abbiamo notizia, viene immediatamente invitato a raccontare la storia dell’oggetto in questione. Che proviene, si scopre verso l’inizio della sequenza, dalle proprietà del padre adottivo di sua nonna, un cacciatore d’oro di scarso successo che ebbe tuttavia l’occasione di conoscere di persona niente meno che Kit Carson, il celebre esploratore, cacciatore ed agente di commercio coi nativi americani del XIX secolo. Il quale, in circostanze ormai ignote, gli aveva fatto dono della coperta, un oggetto forse anche all’epoca piuttosto facile da sottovalutare. Si trattava, dopo tutto, di un tipico esempio di tessitura al telaio manuale dei popoli Navajo e in particolare appartenente alla tradizione d’interscambio con gli Ute (antichi abitanti dello Utah.) Fabbricato, quindi, con un filo particolarmente sottile di lana comparabile, nelle parole dello stesso addetto alla valutazione del roadshow Donald Ellis, addirittura alla seta. Stoffa certamente pregiata, quindi, ma qui utilizzata per ordire un qualcosa di piuttosto sobrio, con strisce geometricamente regolari di un giallo pallido, blu e nero. Inoltre l’oggetto, essendo stato usato per generazioni come una semplice copertura per poltrone, risulta lievemente liso ai bordi, ed in un particolare punto periferico addirittura riparato con del filo di un colore totalmente differente, che tuttavia, essendo fatto con quella particolare bayeta che si usava in epoche remote dell’America (una specie di flanella a base di cotone) diventa un ulteriore attestato d’autenticità. Sufficiente ad affermare che qui ci troviamo di fronte, niente meno, che ad una coperta del primo periodo di questo tipo di tessitura, ovvero l’inizio del secolo 1800, quando i disegni erano più semplici e gli unici in grado di permettersi un avere tanto pregiato, nella maggior parte dei casi, erano i rispettivi capi del villaggio. Da cui la definizione in lingua inglese di chief’s blanket, benché in effetti la coperta non costituisse indicazione formale del rango, e tutti potessero in teoria possederne una. Per giungere al punto chiave, dunque, quanto vale una Navajo Ute della prima fase, in tali (quasi) impeccabili condizioni? Messa all’asta: una cifra variabile tra i 350.000 e i 500.000 dollari. Subito a seguire, dunque, vi dirò perché…

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Basta cani da valanga, è tempo di affidarsi al Gulo gulo

Wolverine Rescue

Tra tutti i personaggi dei fumetti ispirati in qualche maniera ad un animale, nel loro nome, reputazione o costume, l’artigliato Wolverine, probabilmente il più popolare degli X-Men, è forse l’unico ad avere una corrispondenza col suo totem bestiale che possa definirsi di un tipo, per così dire, principalmente psicologica. Certo la volverina, una creatura imparentata con la donnola che in Italia è spesso definito “ghiottone” (dopo tutto questo è il significato del suo appellativo latino) ha pure lui il suo bel set d’unghioni, che comunque non sono assolutamente retrattili come quelli del gatto o per l’appunto, del supereroe. È inoltre molto resistente alle ferite e agli infortuni di ogni tipo, come del resto qualsiasi altro animale selvatico che vive in degli ambienti inospitali, ma non può certo rigenerare le parti offese alla maniera di una stella marina, o dell’interpretazione più famosa del prestante attore Hugh Jackman, l’uomo dai basettoni trasformabili che fa spesso da contrappunto alla distaccata razionalità di Patrick Stewart/il Dr. Xavier. Così le somiglianze tra i due omonimi, la belva quasi umana e l’uomo dall’istinto combattivo, finiscono per concentrarsi soprattutto nell’ambito caratteriale, visto che ben pochi potrebbero definire l’alter-ego indistruttibile di James “Logan” Howlett, come nient’altro che tenace, indefesso, caparbio, volitivo. Tutte caratteristiche che, in qualche maniera, possono tranquillamente essere attribuite all’omonimo compatto, peloso e ringhiante abitatore dell’intero Settentrione del mondo, dall’Alaska alla Kamčatka, dal Canada alla Siberia. Ora, qualcuno ha pensato che simili doti potrebbero davvero, essere utili all’umanità. E tutto in funzione di un’accidentale, drammatica presa di coscienza individuale…
Mike Miller, direttore esecutivo dell’Alaska Wildlife Center, rinomato centro di conservazione faunistica, si trovava presso Hatcher Pass, nelle Talkeetna Mountains, per fare da consulente in occasione della realizzazione di uno spot pubblicitario, all’interno del quale doveva comparire niente meno che una renna vera (probabilmente, di Babbo Natale?) Ora, mentre aspettava il resto della troupe, si ritrovò a conversare con un ranger del parco, che gli indicò un veicolo parcheggiato in fondo al piazzale: “La vedi quell’auto, Mike? Devi sapere che è di una donna che ha perso suo figlio in una valanga, diverse settimane fa. Il corpo non è stato ancora trovato e da allora lei, senza mancare un solo giorno, viene qui nella speranza di potergli dare degna sepoltura…” Terribile, agghiacciante. È del resto una realtà del mondo innevato, spesso trascurata dal cinema di genere o i documentari, che l’attività di soccorso effettuata dai cani addestrati per rispondere ai disastri montani si trasformi, nella maggior parte delle volte, in una missione di recupero dei già defunti. Una volta soverchiato dalla massa solida dell’acqua semi-congelata, infatti, il corpo umano non può sopravvivere che pochi, tragici minuti. Ed a quel punto, lo stimato naturalista non potè fare a meno di chiedersi tra se: “Possibile, che non si possa fare qualcosa per queste persone?” Ora, un cane è ovviamente un animale formidabile. Dall’olfatto rinomato, eternamente pronto ad imparare e dar soddisfazione al suo padrone. Che vorrebbe sempre, con ogni residua fibra del suo essere, rendersi utile a un profondo bene universale. Ma qualsiasi Pastore Tedesco, Labrador o San Bernardo, per quanto abile e capace, non si è evoluto per cercare nella neve. Non è perfettamente predisposto a questo compito, e non lo sarà mai. Così, perché no, la volverina, che notoriamente possiede un olfatto pari o superiore a quello del suo distante cugino quadrupede abbaiante? Ah, ci sono innumerevoli ragioni. In primo luogo, quasi nessuno è mai riuscito ad ammaestrare uno di questi animali, dalla reputazione di ferocia comparabile a quella del diavolo della Tasmania, o per essere ancor più diretti, a Lucifero stesso. Tanto dovrebbero essere mordaci, nell’opinione di tutti, questi carnivori da 20-30 Kg, Ma aspetta un attimo. Ho appena detto, QUASI nessuno? Beh, in effetti qualcuno c’è. Una singola, notevole persona…

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