E allora, “loro” costruirono dei luoghi adatti al popolo del cielo ma che soltanto alcune di queste creature potevano, in determinate circostanze, utilizzare. Tipico dei bipedi di terra: uno stile comunicativo assai complesso, con parole d’ordine particolari da pronunciare all’interno di strumenti che possono amplificare e trasmettere la loro voce. Luci fastidiose, suoni roboanti. Ed una spiccata ed altrettanto chiara preferenza nei confronti degli Alati dalle dimensioni superiori con ali rigide, fatte di ferro. Niente caccia delle arvicole per loro, nessuna concatenazione di predatori e prede. Soltanto l’abitudine di un tipo ereditato, a ingurgitare gli uomini e le donne che in maniera totalmente volontaria, uno dopo l’altro, entrano all’interno di quei giganteschi stomaci soltanto in parte trasparenti. Eppur chiunque, tra noi candidi visitatori, abbia scrutato quegli sguardi oltre la barriera dei rotondeggianti “finestrini” può aver scorto solamente un tipo d’espressione quietamente soddisfatta, di colui o coloro che ben sanno di essere riusciti, per la volta ennesima, ad eludere i precisi limiti dettati dallo schema implicito del mondo. Secondo cui soltanto possedendo un folto manto di piume, avresti la legittima prerogativa di venire fin quassù. Ma cosa vuoi che importi, a loro?
Fin dall’anno della propria fondazione più di un secolo a questa parte, il 1923, l’importante aeroporto di Logan per la città di Boston ha dovuto fare i conti con un significativo problema. Il suo trovarsi giustappunto sulla rotta, ed in effetti al termine di quel percorso, per letterali migliaia ogni anno di quegli splendidi e lucenti uccelli predatori, che la scienza chiama fin dai tempi di Linneo Bubo scandiacus, benché noialtri preferiamo il più evidente appellativo di gufo delle nevi o barbargianni reale. Un aggettivo, quest’ultimo, derivante dalla dimensione assai considerevole di 52-70 cm, abbastanza da farne il più imponente uccello prettamente notturno del continente nordamericano. Ed in conseguenza meramente accidentale di questo, un rischio tutt’altro che trascurabile qualora dovesse finire accidentalmente risucchiato nella turbina di un malcapitato aeroplano. Norman Smith costituisce, dunque, la persona incaricata di prevenire il verificarsi di tale letale contingenza. Naturalista veterano autodidatta che fin dal 1966 ha praticato il volontariato nell’associazione aviaria di Mass Audubun ed a partire dal 1981, chiesto ed ottenuto l’opportunità di effettuare i propri studi sistematici anche all’interno del terreno dell’aeroporto. Un luogo dove, tradizionalmente e come nel resto degli Stati Uniti, si era soliti impiegare la semplice legge dei pallini e della canna del cacciatore, onde provvedere alla regolazione degli ostacoli biologici privi di funzioni pratiche a vantaggio dell’umanità. Il che non avrebbe di certo potuto continuare come nulla fosse, sotto l’occhio attento e con l’involontaria partecipazione di un’individuo in grado di attribuire il giusto valore alla natura…
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Aragoste arcobaleno, l’irresistibile segreto che deambula nel profondo dei mari
Nell’ideale gerarchia cromatica degli oblunghi crostacei, che vede l’aragosta azzurra come “un caso su 10.000”, quella gialla dieci volte più rara e l’assolutamente eccezionale evento della cosiddetta tonalità di Halloween, in cui l’animale è suddiviso trasversalmente in una metà nera, l’altra arancione, potrebbe sembrar sussistere il letterale coronamento di un simile repertorio, consistente in esemplari dalla variopinta livrea puntinata, le zampe striate, sfumature che vanno dal viola al rosa, all’azzurro, al bianco e nero. Creature fantastiche che quando compaiono sulle affollate spiagge digitali di Internet, raccolgono frequentemente accuse di manomissione fotografica o nei tempi futuribili che corrono, lo zampino dell’intelligenza artificiale. Il che è vero almeno in parte (la prima delle due casistiche) vista la maniera facilmente dimostrabile in cui almeno il 95% delle foto disponibili di simili creature è stata sottoposto ad un processo di iper-saturazione, così da massimizzare i riflessi arlecchineschi di questo ineccepibile dimostratore dell’estro artistico dell’evoluzione. Che contrariamente a quanto si potrebbe pensare, in funzione della progressione sovra-esposta, non è raro né una mutazione di specie comuni, bensì un membro tra i moltissimi di quella che costituisce una popolazione cosmopolita nei mari del settentrione australiano, l’Indopacifico, il Sudafrica, le Fiji ed il Giappone, a una profondità che raramente supera il 50 metri dal livello del mare. Panulirus ornatus della famiglia dei Palinuridi, in quello che sembra quasi un gioco di parole tra i latinismi, derivando d’altra parte dalla chiara classificazione delle grandi quantità di esemplari tra i 3 ed i 5 Kg che percorrevano, fin da tempo immemore, lo stretto di Torres per andare a riprodursi nel golfo di Papua. Finendo intrappolati, in modo accidentale ma tutt’altro che sgradito, nelle reti dei pescatori discendenti dagli antichi polinesiani. Il che avrebbe portato in parallelo ad imporsi, sulla scena internazionale, la denominazione di aragoste ornate delle rocce, data la loro preferenza per i fondali ingombri di anfratti e nascondigli, dove ritirarsi tra una battuta e l’altra delle loro prede elettive. Principalmente molluschi bivalvi, gasteropodi e piccoli crostacei, il che li avrebbe forniti attraverso lo strumento della selezione naturale di una particolare sensibilità nei chemiorecettori delle proprie antenne al processo di rinnovamento del proprio stesso esoscheletro, così da poter riconoscere i piccoli parenti e prevenire sconvenienti episodi di cannibalismo. Un meccanismo che non salva d’altra parte gli esemplari sub-adulti che hanno recentemente superato lo stato larvale, detti pueruli, dalla sistematica cattura ad opera della moderna industria dell’allevamento in cattività. Che preferisce, soprattutto nelle Filippine e buona parte del Sud-Est asiatico, affidarsi al rimpiazzo sistematico degli esemplari piuttosto che percorrere la strada della riproduzione assistita, all’interno di vasche che comunque non possiedono le condizioni o lo spazio necessari a riuscire nella difficoltosa impresa. Scelta logistica non propriamente sostenibile, come frequentemente avviene nel settore dello sfruttamento dei mari…
Il cuculo dal becco scanalato, demone delle battaglie tra gli uccelli australiani
Mentre i fiocchi cadono sulle città del Nord Europa, e con l’arrivo australiano dei mesi secchi ed aridi dell’avanzata primavera, ogni anno le genti di Sydney devono accettare il reiterato problema. Delle agguerrite gazze dal piumaggio contrastante, che costruiti i propri nidi sopra gli alberi, i lampioni, i cornicioni, dove capita… Diventano guardiani di quel territorio in grado di piombare, come razzi con gli artigli, contro gli occhi e il volto di chiunque abbia l’ardore inconsapevole di transitare nelle immediate vicinanze. E potrebbe allora diventare ragionevole, in linea di principio, temere tale uccello più di ogni altro volatile del continente, sebbene egli stesso, come il currawong, l’artamide ed il corvo, possiedano di loro conto un timore radicato e profondo. Di colui che giunto lieve nella sfera d’influenza, con un grido autoritario possa dare l’ordine: sarete voi a nutrire nostro figlio. Altrimenti! Grosso, grigio e con la coda che ricorda una scacchiera, mentre il becco curvo è più che altro simile a un coltello arabo jambiya, il cuculo dagli occhi cerchiati di rosso può raggiungere agevolmente il peso di un chilo. Risultando di gran lunga maggiore dei bersagli del suo parassitismo di cova, il che contribuisce paradossalmente alla percentuale dei suoi successi. Questo perché il “piccolo” neonato, una volta venuto al mondo nella conquistata dimora, non avrà neppure la necessità di uccidere gli inconsapevoli fratellastri, gettandoli fuori dal nido. Ma piuttosto sarà in grado di monopolizzare l’attenzione di quei genitori largamente giudicati intelligenti, che non possono d’altronde ergersi al di sopra della programmazione istintiva di cui l’evoluzione ha saputo dotarli, proseguendo ad imboccare il loro gigantesco e presumibile nuovo nato. Finalità, per inciso, raggiunta con un singolo e insistente approccio: produrre il proprio verso rauco dalla tonalità crescente, senza mai fermarsi in pratica neppure nelle ore notturne. Gettando, in tale modo, ulteriore sconforto tra i proprietari di dimore in prossimità di parchi e giardini.
Una creatura dunque per certi versi infernale, che contrariamente allo stereotipo di Internet non è neppure endemica dei territori australiani. Essendo tale terra dei canguri, per lui soltanto la destinazione di soggiorno dei mesi più caldi, mentre al ritorno dell’inverno di quel lato della Terra, volerà ancora una volta a settentrione verso l’Equatore per trascorrere il resto dell’anno in Indonesia, Nuova Caledonia, Nuova Guinea. Potendo prendersi quel tempo di pacata soggiacenza, per riposarsi meditando le ulteriori malefatte dell’anno a venire…
Un rapace che ghermisce cavallette: attenti all’agile scaltrezza del baza nero
La maggior parte della documentazione foto/videografica reperibile su Internet dell’Aviceda leuphotes, uccello più comunemente detto baza nero, lo ritrae posato sopra un ramo o mentre sosta brevemente per abbeverarsi in uno specchio d’acqua dell’Asia Meridionale. Questo perché non è particolarmente facile, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, riconoscerlo mentre si eleva sopra il limite della foresta, librandosi alla ricerca di una preda. Non più grande di un comunissimo piccione e con ali nere simili a quelle di un corvo, simili pennuti si presentano da oltre una distanza media come nulla più che stormi di volatili perennemente intenti ad inseguirsi vicendevolmente, come fossero impegnati a prendere il controllo del territorio. Ma le apparenze spesso ingannano ed invero ciò diviene chiaro se si guarda nella loro direzione sufficientemente a lungo, o da vicino. Così che emerga nella percezione dell’immagine nel suo complesso l’essenziale sovrapporsi di una serie di righe contrastanti, di una doppia tonalità di marrone. E il petto bianco sopra quel disegno, con la testa di un colore nero ornata da una cresta verticale che ricorda vagamente un accessorio di moda. Non che al possessore o l’eventuale compagna tale tratto interessi particolarmente, con l’unico corteggiamento noto del genere Aviceda consistente in brevi esibizioni ed acrobazie in volo mentre il maschio s’inclina da una parte e dall’altra per poi posarsi sopra un albero vicino. Troppo intento ed in ogni concepibile circostanza professionale, mentre sorveglia dall’alto il territorio dei domini che condivide lietamente con i propri simili, ove lanciarsi per conquistare il premio che costituisce il principale mezzo di sostentamento concessogli dai pregressi fenotipi ereditari. Già, perché il volatile in questione, nonostante la lunghezza raramente superiore ai 30 cm, è un tipico rapace della stessa schiatta dei suoi simili, principalmente creati per ghermire piccoli mammiferi, rettili o altre prede di passaggio. Se non che i bersagli da egli preferito, analogamente a uccelli di tutt’altra e passeriforme schiatta, appartengono quasi esclusivamente alla genìa degli insetti. Ed a scanso di equivoci: non è senz’altro semplice avvistare ed afferrare qualcosa di tanto piccolo e sfuggente… Lo sappiamo fin troppo bene, in questa estate eccessivamente calda e popolata dal passaggio delle zanzare…