Sopra le strade trafficate della zona metropolitana di Torino, una curiosa lastra rettangolare sta venendo sollevata da un paranco gigante. Il tipo di gru dotata di sostegni mobili, che durante l’edificazione di palazzi colossali cresce assieme ai principali pilastri di sostegno, tentando in apparenza di raggiungere il cielo. È l’anno 2022 e le maestranze coinvolte si apprestano ad elevare di un altro piano la torre di Fuksas, palazzo di 200 metri costruito per consolidare le molteplici sedi della Regione. Eppure c’è qualcosa, ad uno sguardo maggiormente approfondito, che colpisce nella forma di quel parallelepipedo volante. Poiché in esso si ripetono, in maniera modulare, linee sovrapposte di elementi globulari. Come una serie di ordinati palloni da calcio… Incapsulati in un reticolo metallico che cattura e riflette l’invitante luce del paesaggio piemontese!
Molti sono i materiali alternativi frutto di tecnologie moderne, soluzioni avveniristiche, intuizioni personali di figure addette all’implementazione di efficaci approcci architettonici nel campo delle costruzioni. Ma per quanto ci si sposti verso la progettazione sostenibile, in ogni edificio al di sopra di un certo numero di piani, non può essere mai totalmente sostituito il ruolo imprescindibile della soletta in calcestruzzo. L’effettiva e funzionale lastra, nata in forma fluida dalla mescola di aggregati ed acqua, che più di ogni altro elemento consolida, sostiene e costituisce il fondamento di una vasta gamma di ambienti sopraelevati. Perciò non c’è molto da sorprendersi, quando alla fase dello studio di fattibilità, nella stragrande maggioranza dei grattacieli uno dei costi più elevati è rappresentato dall’implementazione plurima di questo elemento ricorrente, in un certo senso in grado di costituire assieme alle travi in acciaio lo scheletro, ovvero la nervatura del prodotto finale. Ciò senza neppure mettersi a considerare l’impatto ambientale, del tutto implicito nella produzione di anidride carbonica che si accompagna nelle circostanze produttive, o la difficoltà logistica nel sollevare tali e tante tonnellate di materiali.
Perciò considerate, a questo punto, il massimo vantaggio del cemento: una resistenza eccezionale alla compressione, ma molto più limitata alle energie di torsione o tensione. Non sarebbe meglio tentare in qualche modo d’alleggerirlo? Una finalità perseguita già nel primo secolo dagli antichi, con il caratteristico soffitto a cassettoni della cupola del Pantheon di Roma. Laddove in epoca moderna ancor più l’effettivo spessore della lastra può fare a meno d’essere proporzionale alla sua lunghezza, grazie alla presenza dell’armatura metallica che ne costituisce l’elemento interno di primaria importanza. Mentre, al conteggio numerico delle forze in gioco, c’è ben poco che i buoni tre quarti, se non due terzi di quell’intera massa, riescano a contribuire alla solidità perimetrale o verticale dell’edificio. Ed è qui che può trovare luogo ad essere il più versatile e ineffabile degli elementi: l’aria stessa…
cemento
Ventimila vivevano nel mega-condominio. Internet ne ha fatto un argomento. Benvenuti, trentamila
Molti temono visceralmente l’istituto della riunione di condominio, come circostanza problematica in cui le difficoltà inerenti della convivenza vengono portate innanzi, cementando antipatie possibili in vera e propria ostilità. Ma il popolo che parla del futuro di un edificio convenzionale, se non altro, si compone in genere di una decina, al massimo venti o trenta persone. Limitando le interconnessioni problematiche ad un modulo non necessariamente, né in genere terribilmente complesso. Immaginate ora i possibili intrecci per un tipo di collettività corrispondente numericamente a quella di un intero insediamento dalle dimensioni non propriamente trascurabili, come un comune italiano del basso Lazio o una piccola “città” norvegese. Tutti assiepati, come soltanto in Asia può succedere, all’interno di una singola iper-struttura del contesto urbano spropositato. Questo è il New World Regent International ed è in effetti un luogo che potrebbe esistere soltanto qui, ad Hanzgzhou. Nella metropoli di oltre 10 milioni di anime dello Zhejiang, tra i cui confini la proprietà immobiliare viene concepita nella maggior parte dei casi come un privilegio appannaggio di poche, potenti compagnie di gestione. Contestualizzando e settorializzando sensibilmente i diritti degli inquilini, fino ad offrire l’opportunità di crescita in termini di affitti guadagnati. Senza bisogno di acquistare immobili ulteriori o effettuare operazioni di reale rinnovamento. Siamo qui, del resto, in quello che la stampa online ha definito circa tre o quattro anni a questa parte come “L’edificio di appartamenti delle celebrità di Internet”, lasciando ampio spazio ad interviste ai molti volti noti dello schermo digitale, principalmente operativi sull’equivalente cinese di YouTube, Douyin, per descrivere gli aspetti migliori e quelli non propriamente ottimali di un simile luogo non del tutto o necessariamente ameno. A cominciare dal distinto androne simile a quello di un hotel “multi-stella” (parole loro) con ampia profusione di marmo e rifiniture di una certa eleganza, dove si narra che nei primi tempi successivi all’inaugurazione nel 2014, durante le feste come il Capodanno o quella di Metà Autunno si accumulassero impressionanti quantità di fiori ed altre decorazioni, almeno in parte inviate in dono ai più facoltosi ed importanti abitanti dell’edificio. Una circostanza oggi in larga parte ardua da immaginare, soprattutto una volta che s’inizia ad inoltrarsi nei piani superiori, incontrando una quantità impressionante di porte silenziose, appesantite da un vago senso d’isolamento e solitudine apparente. Finita l’epoca in cui le amicizie forgiate presso i campi sportivi incorporati nel complesso e le sue piscine creavano un senso d’appartenenza tra gli abitanti, oggi semplicemente troppi e frequentemente mutevoli perché si possa immaginare di conoscersi anche tra i dirimpettai di un singolo piano. E la ragione va cercata, come spesso capita, nell’universale aspirazione al profitto (o recupero d’investimento) dei proprietari…
La strana torre costruita per agevolare il perfezionamento della relatività einsteniana
Qualsiasi torre costituisce, fondamentalmente, un tipo di edificio concepito per collegare la terra al cielo. In nessun caso tale descrizione può essere maggiormente calzante di quello della Einstenturm di Potsdam, costruita fondamentalmente attorno alle necessità logistiche di un apparato, che fu il progetto di uno tra i primi sostenitori del più grande fisico dell’era Contemporanea. La cui conformazione estetica concepita dal promettente architetto espressionista Mendelsohn, idealmente, avrebbe dovuto rappresentare una suggestione in essere degli aspetti mistici o evidenti interconnessi a tutto quello che sarebbe cambiato, da quel momento, per non poter mai più ritornare lo stesso. Fu dunque assai probabilmente demoralizzante, quando nel 1924 in seguito all’inaugurazione ed una visita guidata organizzata appositamente per il wunderkind della scienza tedesca nonché prestanome suo malgrado della torre facente parte dell’Istituto di Ricerca Leibniz, l’allora quarantacinquenne scienziato all’apice della carriera abbia famosamente reagito con freddezza definendola soltanto con un termine: “…Organica”. Forse le particolari e dirompenti scelte operate dal creatore non piacquero eccessivamente Albert Einstein, i cui gusti in campo architettonico parevano essere maggiormente conservativi. Lo stesso Erwin Finlay-Freundlich, committente dell’edificio, dovette in seguito ammettere il fallimento del suo progetto, quando si rese conto di come neanche il telescopio solare contenuto all’interno avrebbe potuto provare l’effetto batocromo di quei raggi, causa interferenze inerenti nella stessa atmosfera del pianeta terra. Il che si rivelò del resto meno importante, nel quadro generale delle cose, di quanto si potrebbe tendere pensare quando nove anni dopo, con l’ascesa al potere di Hitler sia l’architetto che entrambi gli scienziati dovettero affrettarsi a lasciare il paese, causa discendenza ebraica e nel caso di Freundlich, anche una moglie della stessa etnia. Un caso particolarmente drammatico di fuga dei cervelli (altamente motivato) ma che avrebbe lasciato indietro, per ovvie ragioni, il simbolo destinato ad ulteriore incomprensioni di quella collaborazione breve, ma oltremodo significativa nella storia dell’architettura europea. Questo perché Erich Mendelsohn, nei suoi oltre 10 anni di pratica prima di costruire la torre, aveva già elaborato uno stile altamente personale che sarebbe diventato uno dei pilastri fondamentali dell’Espressionismo architettonico, soluzione ibrida tra il razionalismo dominante nella propria epoca che non accantonava le pulsioni romantiche antecedenti, incorporando nella progettazione degli edifici elementi concepiti per rompere la convenzione, ed al tempo stesso emozionare in qualche modo gli osservatori. Così l’Einstenturm, che prima delle carenze di materiali causate dalle conseguenze della prima guerra mondiale avrebbe dovuto utilizzare soltanto l’innovativo materiale del cemento rinforzato, si presenta come un succedersi di forme geometricamente sorprendenti e interconnesse tra loro, come una sorta d’albero magico o quello che in molti hanno tentato di associare all’organo genitale maschile. Colpa, più che altro, della cupola emisferica di zinco sulla sommità, incorporata al fine di ospitare le delicate lenti dell’apparato di osservazione solare…
Un iperspazio di cemento dentro al grattacielo della fede a Le Havre
L’ardente confraternita del sacro cemento non ha mai avuto il desiderio, o la necessità, di mantenere la propria fede segreta. Giacché il compito d’edificare ogni svettante monumento tramite l’impiego di un comune materiale, scevro d’ornamentazione predisposta ma capace di condurre all’utile risoluzione di problemi strutturali, è la risposta di per se specifica ad un tipo di visione delle cose del tutto moderna. Limpidamente fulgida, nella propria ponderosità immanente. Se una tale “religione” d’altra parte ha mai potuto vantare la figura di un profeta, quel qualcuno può essere individuato nell’architetto francese Auguste Perret, ed la sua mecca nel reale luogo di (ri)-nascita di costui, non in senso biologico bensì professionale, avendo ricevuto dal governo del secondo dopoguerra il compito di edificare nuovamente il centro storico raso al suolo dalle bombe sganciate nel 1944 a Le Havre. Il “Porto” come può essere tradotto il toponimo di quella città situata sulla Manica, che a seguire da un così drammatico frangente, avrebbe avuto finalmente il suo punto di riferimento nautico elevato. Non una semplice struttura situata sugli scogli, alta giusto il necessario per offrire un punto di luce al di sopra del profilo delle onde. Bensì una torre straordinariamente maestosa ed imponente, paragonabile per portata e tipologia alla meraviglia del Mondo Antico del Faro di Alessandria. L’église (chiesa) Saint-Joseph era il suo nome, concepita come il pratico rifacimento di una cappella costruita originariamente nel 1871 e ridotta in macerie da un’ordigno sganciato dagli americani, durante il periodo frenetico che avrebbe portato al sanguinoso sbarco in Normandia. Così che il progetto, da inserire nel discorso più grande della nuova Le Havre iper-razionalista e quasi “stalinista” di Perret, come avrebbero voluto sottolineare i suoi molti detrattori, ebbe il via libera nel 1951 con la garanzia di incorporare e dimostrare in se stessa anche un omaggio agli almeno 5.000 morti causati dalle manovre militari che avrebbero portato alla Liberazione. Un compito che piacque fin da subito al grande architetto che aveva recentemente superato gli ottant’anni, già costruttore tra le innumerevoli altre cose del teatro degli Champs-Élysées, primo edificio Art Deco di Parigi ed un altra chiesa iper-moderna, Notre-Dame du Raincy nei sobborghi della capitale. Che proprio in questo luogo, con fondi illimitati e in un contesto sociale e politico capace di offrirgliene l’opportunità, avrebbe dato inizio alla costruzione di quello che potrebbe essere definito come il suo più poderoso capolavoro. 107 metri di una torre ottagonale, per certi versi simili all’Empire State Bulding. Poggiata su di un basamento dalle dimensioni di un transatlantico, privo di colonne o altre strutture di sostegno. Al punto da creare un immenso volume di spazio vuoto, ove ammirare e prendere atto dell’infinita gloria del suo Abitante…