Centodieci punte di coltello nella bocca del più longevo assassino del Burundi

Variegate sono le leggende che si affollano nella coscienza collettiva dei contesti urbani, in un labirinto di mistiche apparizioni, oggetti fuori dal comune, voci provenienti dal sottile velo che divide il regno del tangibile dall’illusione. Ma basta trasferire la tua lente scrutatrice in un ambiente dove la semplice sopravvivenza è meno garantita, per trovare un filo conduttore ininterrotto che si estende dai primordi della civilizzazione fino alle disquisizioni di taverne o centri del villaggio dei giorni odierni: l’idea che la natura è Pericolosa e le creature che in essa sussistono, possono sostituire a pieno titolo i recessi dei tuoi incubi più orribili ed al tempo stesso terrificanti. Come l’esperienza tanto spesso vissuta, stando ai resoconti registrati ed alcune comprovate prove documentali, dal tipico pescatore del bacino idrografico circostante il lago più lungo al mondo. Che avvicinandosi in maniera cadenzata a quello che sembrava essere da ogni punto di vista rilevante un isolotto formato da terra e fango, ha rilevato prima l’evidente progressione di una serie di scaglie ripetute sopra il “dorso” del compatto rilievo. Quindi, ha visto poderose fauci spalancarsi all’improvviso su di un lato, sufficientemente ampie da riuscire a trangugiare la sua testa, spalle e pure il remo usato come ultimo strumento di protezione. Ed è allora che ha iniziato a correre. O perire.
Quanto è grande, esattamente, il più significativo dei coccodrilli nilotici, che in media viene giudicato il secondo rettile più imponente al mondo? Accantonando a questo punto la risposta che potreste aspettarvi, sulla falsariga di “Lo zoo di [X] ne ha tenuto un esemplare in grado di raggiungere [X] Kg nel corso della sua lunga vita” possiamo ritornare tra le opache acque del fiume Ruzizi nel piccolo paese africano del Burundi, rinomato tra le altre cose come la dimora della singola cosa più vicina a Godzilla mai vissuta in epoca contemporanea agli umani, fatta eccezione possibilmente per esemplari ignoti appartenenti alla distante schiatta del coccodrillo marino australiano. Un mostro in grado di raggiungere o persino superare i 6 metri di lunghezza. Ed i 900 Kg di peso. E sia chiaro, nel contempo, che quelle citate non costituiscono neppure le cifre più notevoli connesse alla complessa vicenda della sua vita. Essendo il caso di Gustave (questo il nome) direttamente collegato al potenziale verificarsi di una quantità variabile tra le 60 e le 300 morti umane. Dovute al rapido e purtroppo inevitabile incontro con la colossale, impressionante capace di scattare in avanti, con velocità paragonabile a una trappola di tipo assolutamente letale…

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Lo straordinario sottomarino biologico rappresentato dalla madre dell’opossum di fiume

Ecologicamente parlando, per un granchio, pesce o mollusco ci sono dei vantaggi significativi nell’uscire dai propri nascondigli unicamente dopo il tramonto del sole. Lontano da esche subdole, uccelli cercatori, lo sguardo famelico di mammiferi carnivori e altri agguerriti predatori. Per gli appartenenti a tali classi d’animali nell’America Meridionale e Centrale, nonché parte dei ruscelli e laghi d’acqua dolce messicana, persiste tuttavia un problema la cui metodologia di caccia trova sfogo soprattutto al sopraggiungere del buio. Potendo fare affidamento su adattamenti dall’alto grado di specificità, tra cui vista e olfatto sviluppati, ma soprattutto una capacità del tatto superiore alla media concentrata nelle zampe e le lunghissime, sensibili vibrisse che circondano il suo muso aguzzo dai molti piccoli denti affilati. Essendo un tipico rappresentante, sin dall’epoca preistorica, del gruppo di creature che hanno l’abitudine e far stare i propri piccoli all’interno di un’apposito marsupio, sebbene in questo caso caratterizzato da una serie di peculiarità piuttosto rare. In primo luogo, la presenza di questa caratteristica anatomica sia nel maschio che la femmina della specie. E secondariamente, la presenza di una muscolatura piuttosto sviluppata attorno all’apertura del suddetto, permettendo ad ambo i sessi di “chiuderlo” ermeticamente, sigillandolo in tal modo e proteggendo il contenuto dal proprio primario elemento di pertinenza: l’acqua stessa, che altro?
Sussistono in effetti, all’interno della famiglia ben studiata dei Didelphidae, ovvero i tipici opossum del nuovo mondo, due gruppi di creature perfettamente adattate dall’evoluzione alla vita anfibia. Da una parte l’intero genus Lutreolina, con due varietà riconosciute egualmente inclini a trascorrere una parte piccola ma significativa della propria esistenza immersi nel corso dei fiumi. E dall’altro, il protagonista della qui presente trattazione detto scientificamente Chironectes minimus, specie monotipica il cui soprannome utilizzato dai locali è yapok, antonomasia verosimile del fiume Oyapok situato entro i confini del Guiana Francese. Tra il novero dei luoghi dove può essere talvolta udito, nelle ore in cui la luce diurna lascia temporaneamente il territorio, mentre sgranocchia rumorosamente il suo crostaceo d’occasione, lungo gli argini del contesto semi-sommerso ove trascorre la più alta percentuale delle proprie ore di veglia. Guardingo, attento, striato come l’estinta tigre tasmaniana, cui sorprendentemente, per certi versi, assomiglia…

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Prima regola per l’aviatore a Boston: non trascurare i gufi che ritornano dal bianco Nord

E allora, “loro” costruirono dei luoghi adatti al popolo del cielo ma che soltanto alcune di queste creature potevano, in determinate circostanze, utilizzare. Tipico dei bipedi di terra: uno stile comunicativo assai complesso, con parole d’ordine particolari da pronunciare all’interno di strumenti che possono amplificare e trasmettere la loro voce. Luci fastidiose, suoni roboanti. Ed una spiccata ed altrettanto chiara preferenza nei confronti degli Alati dalle dimensioni superiori con ali rigide, fatte di ferro. Niente caccia delle arvicole per loro, nessuna concatenazione di predatori e prede. Soltanto l’abitudine di un tipo ereditato, a ingurgitare gli uomini e le donne che in maniera totalmente volontaria, uno dopo l’altro, entrano all’interno di quei giganteschi stomaci soltanto in parte trasparenti. Eppur chiunque, tra noi candidi visitatori, abbia scrutato quegli sguardi oltre la barriera dei rotondeggianti “finestrini” può aver scorto solamente un tipo d’espressione quietamente soddisfatta, di colui o coloro che ben sanno di essere riusciti, per la volta ennesima, ad eludere i precisi limiti dettati dallo schema implicito del mondo. Secondo cui soltanto possedendo un folto manto di piume, avresti la legittima prerogativa di venire fin quassù. Ma cosa vuoi che importi, a loro?
Fin dall’anno della propria fondazione più di un secolo a questa parte, il 1923, l’importante aeroporto di Logan per la città di Boston ha dovuto fare i conti con un significativo problema. Il suo trovarsi giustappunto sulla rotta, ed in effetti al termine di quel percorso, per letterali migliaia ogni anno di quegli splendidi e lucenti uccelli predatori, che la scienza chiama fin dai tempi di Linneo Bubo scandiacus, benché noialtri preferiamo il più evidente appellativo di gufo delle nevi o barbargianni reale. Un aggettivo, quest’ultimo, derivante dalla dimensione assai considerevole di 52-70 cm, abbastanza da farne il più imponente uccello prettamente notturno del continente nordamericano. Ed in conseguenza meramente accidentale di questo, un rischio tutt’altro che trascurabile qualora dovesse finire accidentalmente risucchiato nella turbina di un malcapitato aeroplano. Norman Smith costituisce, dunque, la persona incaricata di prevenire il verificarsi di tale letale contingenza. Naturalista veterano autodidatta che fin dal 1966 ha praticato il volontariato nell’associazione aviaria di Mass Audubun ed a partire dal 1981, chiesto ed ottenuto l’opportunità di effettuare i propri studi sistematici anche all’interno del terreno dell’aeroporto. Un luogo dove, tradizionalmente e come nel resto degli Stati Uniti, si era soliti impiegare la semplice legge dei pallini e della canna del cacciatore, onde provvedere alla regolazione degli ostacoli biologici privi di funzioni pratiche a vantaggio dell’umanità. Il che non avrebbe di certo potuto continuare come nulla fosse, sotto l’occhio attento e con l’involontaria partecipazione di un’individuo in grado di attribuire il giusto valore alla natura…

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La storia fantastica del “pollo” che poteva incanalare gli uragani

Di un po’, lupo di mare, hai mai sentito di qualcuno che sia riuscito a tornare dall’armadietto del vecchio Davy Jones? Il cumulo di ossa sogghignanti, perennemente attaccato alla sua bara, che riemerge al termine del giorno per chiamare giù gli incauti, i derelitti, coloro che non sanno rispettare la dura lex di chi fa muovere le navi. Spauracchio del mondo nautico, uomo nero degli abissi. Se di uomo è ancora lecito, nel caso presente, mettersi a parlare. Eppure fu tentato a più riprese, come sappiamo a partire dal XVII-XVIII secolo, d’ingentilire per quanto possibile l’allegorica figura, attribuendogli un contegno e aspirazioni condivise nonché, in determinate circostanze, l’esperienza comprensibile di una vita di coppia. Con l’unica signora che, tra tutte, avrebbe potuto amare un mostro antropomorfo con gli zigomi di un pescecane. Una strega, chiaramente. Nata dall’esclamazione folkloristica che, di dice, alcuni marinai italiani fossero abituati a pronunciare nel momento in cui un severo fronte tempestoso soleva appropinquarsi agli scafi: “Madre cara!” (Invocando, presumibilmente, la benevolenza della Vergine Maria). Eppur mai ebbe ragion di palesarsi, nella storia dei timoni e delle ancore navali, un fraintendimento più improbabile di questo. Giacché gli anglofoni che praticavano il mestiere di Ulisse, com’era loro prerogativa, iniziarono a pensare che il richiamo fosse destinato all’aleatoria quanto determinante Mother Carey, colei che in qualche modo, cavalcava o risiedeva nel circolo dei venti che piombavano sulle onde dagli strati superiori dell’atmosfera. Rimanendo del tutto invisibile agli occhi umani, ma non così i suoi messaggeri alati, o servitori sovrannaturali che volendo esorcizzare la paura, venivano associati al pennuto domestico per eccellenza, l’abitatore dei pollai rurali.
Fin dai tempi antichi era comune percezione, d’altro canto, che ciascuna praticante delle arti maligne fosse accompagnata da un suo familiare, l’animale magico che poteva essere un gatto nero, un gufo, un corvo loquace… O nel caso della maga marittima “per eccellenza”, l’unica creatura in grado di volare indisturbata, non importa quanto il clima potesse essere avverso. Anche detta, proprio per questo, procellaria o uccello delle tempeste. Un membro della famiglia degli idrobatidi o petrel, nome onomatopeico riferito al suono (“pit-pat”) prodotto dalle sue piccole zampe mentre battono sulla superficie del mare mentre svolazza alla ricerca di pesci, molluschi ed altre prede facili da catturare. Quasi totalmente nero nel caso delle specie più comuni, lungo 15-20 cm e dotato di uno stile di volo alquanto particolare. Che lo farebbe assomigliare, nella definizione di alcuni, ad una sorta di bizzarro pipistrello dei mari…

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