Percorso motoristico per scatole di cartone

Box Gymkhana

Famosa è l’immagine del bambino a Natale che, una volta scartati i regali trovati sotto l’albero, decide piuttosto di giocare con le scatole. Castelli, diventano, rapide astronavi, fortini e fortificazioni. Armature, rifugi,  gusci della tartaruga. E poi alla fine, inevitabilmente, automobili sportive. Strano, a pensarci. Non c’è quasi alcuna somiglianza. Mancano le ruote, il motore, il volante, i fari, i sedili, leva del cambio, i tergicristalli, il portabagagli e l’aria condizionata. Basta l’immaginazione. Gli adulti osservano basiti, tali e tante ore, passate dai giovani se stessi nell’immoto scatolone, facendo BRUMBRUM e agitandosi per una curva che non c’è, non ci sarà mai, con faccini tesi e concitati. Si chiedono, allora che l’ho comprata a fare, tutta quella roba? Tanto valeva procurarmi un surplus dal supermercato. Eppure, simili processi di svago sono un passaggio fondamentale, dicono i didatti, dello sviluppo intellettivo. Quei costosi giocattoli, temporaneamente accantonati, avranno ciascuno il suo momento, nei giorni, nelle settimane a venire. Però prima prosperi la fantasia, che fa di tanto poco, l’infinito. Ma qualcuno giustamente potrà dire: “Se mio figlio vuole la macchina, quella deve avere, niente più!” Per sua fortuna, un marchio americano, la Razor, produce da qualche mese il prodotto perfetto all’occorrenza. Che compare in questi giorni nel nuovo virale di YouTube, caricato sul canale ufficiale della compagnia. O meglio, che appare a sorpresa, da una scatola, nel finale.
Il setting è di sicuro effetto: siamo di fronte al debutto di un aspirante eroe dell’automobilismo, il newcomer “Ken Box” (Ken la scatola) emulo proprio di colui che più d’ogni altro ha saputo trasformare uno spettacolo di auto in successo internettiano, con le sue imprese al limite del possibile. Stiamo parlando, ovviamente, del quasi omonimo Ken Block, il pilota, imprenditore nonché maggiore promotore della nuova specialità pseudo-rallystica della gymkhana, la prova di guida e abilità, che si compie su tracciati creati all’occorrenza. Fra coni, salti, slalom e sgommate, che si affrontano a bordo di auto da strada con preparazione specifica. Famosa, in particolare, è quella sua Ford Fiesta, dalla riconoscibile livrea verdognola, dedicata all’altro energy drink. Tanto che basta la sua immagine, sulle pareti di un cartone, per dar fuoco alle polveri della festa. Occhio al gorilla!

Leggi tutto

Saw: l’enigma residenziale del fantoccio

Billie

Basta un solo coinquilino per renderti la vita impossibile. Specie qualora sadico, biancastro e vagamente sovrannaturale. Negli Stati Uniti è d’uso lasciare quanto prima la casa in cui si è nati, onde realizzarsi come individui indipendenti, in egual misura, dalla crisi e dalle aspettative dei propri genitori. Non lo si fa per convivere col proprio amore, né per l’inoppugnabile necessità di spazi: è così, e basta. Incartate poche cose, fatto il pieno all’automobile scassona (vero fondamento, questo, del paese con più strade al mondo) si parte dalla spaziosa villetta dell’idealizzata generazione sul finir del ‘900. Oltre i confini dello spazio conosciuto, seguendo un mistico richiamo. Bruciato quell’ingombrante ponte, si percorre quindi un’interstatale a caso, verso la svettante skyline di qualche grigio agglomerato, tipo New York, Chicago, Seattle o San Francisco. E non è certo facile, questo passaggio dalla verdeggiante suburbia generatrice ai micro-appartamenti da decimo piano, soprattutto se si considera cosa voglia dire trasferirsi fuori sede, così, subito dopo il completamento degli studi. Percorrere l’ardua via del ragazzino squattrinato, senza bistecche sulla tavola o particolari prospettive, richiede una certa misura di coraggio. Flipping burgers, eating [mostly] ramen, i modi per vivacchiar si trovano, d’accordo, però resta l’ingombrante problema dell’affitto. E a quel punto, secondo quanto previsto da copione, si cerca l’anima gemella[ta] un qualcuno, o qualcuna, con cui condividere gli aspri ostacoli verso il raggiungimento dell’autosufficienza. Un qualcosa? Su tale ricerca dell’ideale convivente, la cultura statunitense ha speso migliaia di parole, centinaia di chilometri in pellicola e rotoli di carta (igienica) fra sit-com, cinema e fumetti. Storie tragiche, drammi balzani, tragicommedie del quotidiano dal retrogusto sempre un po’ amaro, perché, purtroppo, anche troppo vere. Però a nessuno, di tutti questi avventurieri della prematura emancipazione, è mai andata male come a Gary (Chris Capel, comedian di YouTube); perché lui, dannato il fato, ha finito per trovarsi in casa l’arcinoto Billy, professione: bambolotto del brivido, attore rinomato. Con tanta voglia di “giocare”.

Leggi tutto

L’ufficio con impianto di raffreddamento siberiano

Bovanenkovo

La mia casa via da casa, luogo d’impegno, dedizione e qualche volta svago. Dentro l’azienda c’è un luogo solo, che ognuno possa fortemente definire “suo” fin dalle ore mattutine, in pausa pranzo ed oltre, verso gli oscuri vespri dell’irrinunciabile straordinario. Il santuario dell’impiegato. L’edificio della computazione: questa grande, solenne Scrivania. Subissati dagli impegni, con documenti, grafici, progetti e studi commerciali da redigere in Excel, può capitare di erigersi attorno metaforiche pareti, strumenti per l’isolamento da tutto ciò che possa causare distrazione. Sparisce il collega rompiscatole; diventa inaudibile lo squillo del telefonino; il chiasso del traffico, l’insistente canto del passero solitario, l’accanirsi delle precipitazioni atmosferiche…Resta solo Lei. Su quelle quattro zampe, che sorreggono l’abbagliante monitor, si costruisce una fortezza inespugnabile, ridimensionata con qualche tocco personale: la piantina grassa, oppure il pupazzetto, la foto di famiglia e il calendario coi personaggi dei fumetti preferiti. Finché un giorno! Niente dura per sempre, nell’epoca del contratto flessibile moderno. Tutti siamo sacrificabili, non essenziali. Soffia ruggente, inesplicabile, un vento terribile di cambiamento. E soffia pure in Siberia, però letteralmente.
Questo luogo ameno, non tanto dissimile (nell’apparenza) dai nostri stabili amministrativi, si trova in realtà nella freddissima penisola di Yamal, in Russia settentrionale. Fa parte del complesso minerario della Gazprom di Bovanenkovo, costruito sopra un tesoro di gas naturale da 4,9 trilioni di metri cubici, responsabile, da solo, di circa un sesto della produzione del paese. In linea di principio, si tratterebbe di un ambiente tanto remoto, difficile e inclemente, che susciterebbe nell’immaginario l’immagine d’uomini d’acciaio, vichinghi del posto di lavoro, tanto diversi da noi quanto lontani dalla generica società del mondo urbano. Induriti dalla vita. Ed eccoli per l’appunto lì, uno accanto all’altro, con golf a quadretti, impermeabile e giacca del completo, intenti a ridere a crepapelle, godendosi la più imprevista pausa della giornata. Di fronte a loro, il disastro più totale.

Leggi tutto

Beato il cane al sushi bar

SushiDog

Coco è una labrador davvero fortunata. Ad ogni compleanno, come da tradizione familiare, riceve l’onore di un grande pranzo preparato dal suo padrone, Gajyumaru. Giorno dopo giorno, vivendo insieme a un animale, si stabilisce con lui un lessico fatto di gesti, simboli e parole. E se pure Coco non saprà mai, davvero, cosa siano cookies, sasami e splendidi nigiri, già ne assapora il gusto mentre, rispettosamente seduta, attende il suo momento. L’apoteosi del gourmet. Questa scena, tanto gradevole e compunta, è simpatica, ma pure affascinante. La festeggiata prende posto di fronte a un piattino piuttosto originale, oblungo e frastagliato. Tutto intorno, gli strumenti del mestiere. Pare un tipico scenario da ristorante giapponese: da una parte il cuoco, esperto affettatore di pesci e materia vegetale, che produce con la sua sapienza quel momento irripetibile, non soltanto fatto di sapori, ma anche di spettacolo e atmosfera. Dall’altra…Noi. Perché non c’è figura più autorevole con cui identificarsi, come neofiti di quel mondo culinario, rispetto a quella dell’amico cane. Coco sono io, siamo tutti noi. E non importa quante volte siete stati a Tokyo…Le portate di quel particolare evento, vi assicuro, saranno nuove anche per voi.
Lo chef presenta il suo menù, tracciato a penna sopra un semplice foglio di carta (tutto è semplicità, modestia) con ottima calligrafia, va detto. “È un po’ che non ci vediamo, signora, davvero vuole dirmi che oggi è il suo compleanno?” Già dagli ingredienti si capisce la particolare attenzione utilizzata, nel proporre un pasto su misura: ci sono carne e pesce naturalmente, e molte altre delizie, ma soltanto cose adatte a un cane. Con lungo coltello alla mano, si comincia. Apre il pasto un biscottino per cani avvolto nell’alga nori, servito insieme al riso bianco (sumeshi). *GULP* Sparito! Quindi arriva il primo piatto, un rotolo (maki) di cavolo, ripieno di riso, carote e verdurine. La pietanza è costruita con l’aiuto del tradizionale tappeto di bambù, poi tagliata a fette, come la versione per bipedi parlanti. Coco apprezza, talmente tanto che manda giù tutto, senza nemmeno masticare. Al momento di bere, riceve con gioia la sua ciotolina da saké, riempita, per l’occasione, con del più consono latte di mucca (gyuunyuu). Un colpo di lingua sfortunato, ondata tellurica imprevista, ne rovescia parte del contenuto, fra le risate dei presenti. Ma niente paura. Gajyumaru, giocosamente, di nuovo tratta il cane come se fosse una persona: “Signora, che succede, si è già ubriacata?” Poi, rapido, pulisce. Lo spettacolo deve continuare.

Leggi tutto