Come un’arma tattica intercontinentale nel panorama della guerra tra diverse infiorescenze, frutti e semi dell’ambiente vegetale. Cresciuta in modo relativamente rapido nel suo baccello a forma di sciabola, appeso ad una liana spessa come un alberello. E poi caduto in modo totalmente naturale, dentro un fiume o sulla costa dell’Oceano stesso, pronto a prenderlo tra le sue braccia per portarlo via verso destinazioni largamente incerte. Duro, rigido, marrone. Chiuso in una scorza tanto resistente che neppure il timido germoglio, contenuto in forma potenziale al suo interno, può sperare di riuscire a scaturire senza un qualche tipo d’assistenza ulteriore. Quella che verrà fornita, immantinente, da uccelli, mammiferi, rettili delle distanti spiagge. Totalmente inconsapevoli di quello che stanno per fare. Giacché siamo abituati, da migliaia di trattazioni sul problema delle piante invasive, ad attribuirci il novero di molte colpe, per cui è stata quasi sempre la mano dell’uomo, più o meno intenzionalmente, a danneggiare in questo modo l’ambiente. Portando in luoghi poco consoni un esempio di erba, arbusto o qualche tipo di giunchiglia, tanto forti da riuscire a spodestare o in qualche modo surclassare la pregressa situazione vegetativa esistente. Ma che dire invece della Entada rheedii o “fagiolo di mare” una pianta in grado di essere il suo stesso passaggio galleggiante da una parte all’altra delle onde senza tempo? Tanto che, in parole alternative, semi di siffatta guisa sono stati ritrovati a più riprese sulla costa delle Florida, a partire dalla nazionalità di provenienza sita in Africa meridionale di questo straordinario esempio di adattamento evolutivo alle circostanze. Per non parlare della maniera in cui il notevole rappresentante della famiglia delle Fabacee, clade Mimosoideae, sembrerebbe aver colonizzato ogni regione circostante il vasto territorio dell’Oceano Indiano, circondando e sovrastando la nativa moltitudine dei diversi vegetali pre-esistenti. Uno scenario già abbastanza impressionante anche senza entrare nel merito del secondo, significativo, soprannome del rampicante: “erba africana dei sogni” o “fagiolo da tabacchiera”, con allusione pressoché diretta in merito all’effetto, vero o per lo più presunto, di una simile sostanza sulle connessioni cogitative umane. Giacché siamo, a dire il vero, innanzi ad un intero genere di piante collegata ad un particolare tipo di effetti psicotropici, prevalentemente collegati all’esperienza del cosiddetto sonno lucido: un periodo onirico, affine alla fase REM, durante cui l’utilizzatore dovrebbe tuttavia essere in grado di controllare ed influenzare la natura dei propri sogni. In modo da permettergli, secondo una credenza grosso modo replicata nell’intero areale del fagiolo, di parlare o in qualche modo comunicare con i propri antenati e/o spiriti guardiani. Il primo passo necessario verso qualsivoglia processo di guarigione mistica, si dice, del corpo e della mente…
sostanze
Dalla Cina il bianco fungo che facilita l’intramontabile ricerca della bellezza terrena
Potrebbe sembrare strano avvicinarsi all’antica e vasta disciplina della Medicina Tradizionale Cinese con le aspettative dogmatiche tipiche di un culto religioso, considerando le profonde implicazioni per lo meno pseudo-scientifiche necessariamente facenti parte di qualsivoglia procedura mirata alla conservazione, o la riconquista del benessere dell’organismo umano. Eppure non sarebbe del tutto erroneo individuare in un particolare testo redatto nel periodo culturalmente importantissimo della dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.) il ruolo di effettivo libro sacro, e nell’autore alle origini dell’ancestrale tradizione orale da cui deriva quello di un effettivo nume tutelare ed imperituro. Sto parlando chiaramente del Ben Cao Jing (本草经 – Canone delle Erbe Mediche) di Shennong (神農 – Il contadino divino) semi-leggendario dio-antenato e Imperatore Rosso vissuto attorno a 5.000 anni fa, cui viene attribuita un’ampia gamma di nozioni relative alla coltivazione e l’utilizzo dei tesori della terra come tramandate da un’insigne ed operosa posterità cinese. Trattazione parzialmente basata su atti di fede e preconcetti, oggi facilmente superati dalla scienza moderna, benché in altri casi le due discipline abbiano trovato, inaspettatamente, significative ragioni di concordia in merito a particolari argomenti. Ed ingredienti: vedi per l’appunto il caso dell’Yin’er shu (银耳属 – Orecchio d’argento) trattato nel capitolo sulla salvaguardia dell’energia oscura dello Yin, ovvero la specie fungina correntemente nota come Tremella fuciformis, una specie parassita dai caratteristici corpi fruttiferi candidi come la neve, simili nella forma a dei voluminosi fiori o da un’altra angolazione, piccoli cervelli abbarbicati alla corteccia degli alberi della foresta. “Andate a coglierli in inverno nelle foreste d’abeti.” Recitava l’antica trattazione, in assenza di una metodologia evidente per poter riuscire a coltivarne significative quantità all’interno di situazioni controllate artificialmente. Almeno finché molti secoli dopo, attorno al XVIII-XIX secolo, le prime fattorie iniziarono a perseguire una produzione seriale di questa particolare specie, mediante l’utilizzo di tronchi sezionati e fatti marcire negli spazi cupi ed umidi di apposite foresterie. Un procedimento ulteriormente migliorato, in epoca più recente, tramite l’acquisizione della tecnica per il trapianto intenzionale del micelio o spore di questo fungo, sebbene anche un tale approccio sembrasse lasciare nel processo dei significativi margini di miglioramento. Questo perché ancora mancava la presa di coscienza, risalente essenzialmente all’epoca contemporanea, della necessità dell’ingrediente di crescere a discapito di altre specie usate come base fertile, da cui trarre il necessario apporto di sostanze nutritive per la crescita: varie specie dall’ascomicete Hypoxylon, tra cui soprattutto quella successivamente riclassificata nella specie Annulohypoxylon archeri, oggi mescolata preventivamente all’interno di un apposito additivo, contenente anche la forma generativa del fungo Tremella. Per quella che è giunta progressivamente a costituire un’industria gastronomica e di portata quanto meno asiatica, mentre niente meno che globale riesce ad essere quella consistente nella creazione di creme e trattamenti cosmetici prodotti con sostanze di questa natura, con un’effetto misurabile d’idratazione della pelle paragonabile a quello dell’acido ialuronico. O persino superiore, in base a certi parametri, ad un simile prodotto dell’odierna tecnologia clinica, dimostrando una solida base per l’originale utilizzo da parte delle classi privilegiate della Cina pre-moderna, tra cui quella più importante di tutte: la corte stessa dell’Imperatore…
Il fuorviante richiamo di un lago pieno di azzurri veleni
In una società sommamente devota al culto delle immagini che cosa mai potrebbe avere importanza, se non il sottile strato di polvere dorata che ricopre delicatamente le occulte questioni, come neve portatrice di un’ulteriore condanna per gli inconsapevoli umani… Splendido e appariscente, come il colore di un rilassante azzurro cielo che caratterizza il magnifico mini-mare della location quasi cinematografica diventata famosa presso i lidi dell’Internet social con sede a Novosibirsk, terza città russa per popolazione, situata nel bel mezzo della non climaticamente tiepida Siberia. Ragion per cui ogni cosa ci si aspetterebbe di trovare da queste parte, tranne la schiera di fanciulle o baldi giovani capaci di pubblicare uno stuolo di fotografie variabilmente professionali, ma sempre utili a sembrare belli, atletici, interessanti, rilassati, alla moda […] presso uno scenario che sembrerebbe direttamente prelevato da una guida turistica per le isole Maldive o Seychelles. Entrambi nomi, questi, assegnati per analogia alla “Discarica di Cenere TEZ-5” ameno recesso il cui appellativo originario lascia sospettare, almeno in parte, l’orribile verità. Le prime avvisaglie ci sono state all’inizio del mese scorso, quando alcuni degli instagrammers abituali frequentatori/ici di un così attraente luogo hanno potuto verificare il progressivo disfacimento “a scaglie” della suola di gomma delle loro scarpe, per ragioni almeno apparentemente indipendenti dalla normale usura di un simile materiale. Quindi qualcuno ha riportato una forte irritazione alle gambe, soltanto per averle intinto brevemente durante una sessione fotografica a cavalcioni del suo fido fenicottero rosa gonfiabile. Mentre all’attivista ecologica Ulyana Artamonova, giunta sul posto per verificare alcuni legittimi sospetti in merito alla questione, è ben presto venuto un fastidioso sfogo sul volto, apparentemente soltanto per aver trascorso un tempo eccessivamente lungo in prossimità della stessa aria capace d’increspare le limpide, chiari e fresche acque.
A lato delle quali, se soltanto i cultori della propria stessa bellezza possedessero uno spirito d’osservazione verso l’esterno pari a quello per i chili superflui, le difformità esteriori o imperfezioni degne di essere sottoposte a chirurgia plastica, permaneva il fin troppo evidente indizio relativo all’effettiva, “insospettabile” verità: una certa quantità di grossi tubi arrugginiti, serpeggianti tra l’erba, tutti egualmente orientati nella generica direzione delle alte ciminiere della Centrale Elettrica a Carbone SGK Numero 5 (Dove l’acronimo sta per: Siberian Generating Kompany) uno dei principali luoghi responsabili per le televisioni, i frigoriferi, gli impianti di riscaldamento e le altre diavolerie tecnologiche in dotazione al milione e mezzo di anime che popolano il vasto territorio di Novosibirsk. Vero e schietto miracolo di un modo moderno di fare le cose, tutto ciò, se non fosse per la naturale presenza di un volgere degli eventi eguale e contrario, ovvero l’inevitabile produzione collaterale di grosse quantità della polvere bianca nota come ossido di calcio (o calce viva) da scaricare, senza eccessivi complimenti, nell’unico elemento capace di contenerla: l’acqua…
Dalla grande industria, un processo chimico per dissetare il mondo
Non capita molto spesso che a un qualsiasi utente di YouTube riesca l’impresa d’invitare per un suo video il fondatore di Microsoft in persona, l’uomo un tempo amato-odiato dalla cultura generalista che una volta allontanatosi dal trono del comando, e dal suo monopolio di un’intera industria, prese l’encomiabile decisione di reinvestire l’ingente capitale del suo conto in banca in un’ampia serie di attività filantropiche e di pubblica utilità. Come del resto, non sono molti in questo specifico campo mediatico a produrre un massimo di un video al mese, spesso senza nessun tipo di sponsorizzazione diretta e con il semplice obiettivo di divulgare un concetto scientifico interessante oppure, come in questo caso, dall’importanza significativa per il bene della popolazione globale. Così li ritroviamo entrambi, in questo nuovo segmento, Bill Gates e il giovane ex-ingegnere della NASA Mark Rober, mentre il secondo fa conoscere al primo un vero e proprio intruglio tecnologico, concepito ormai da (almeno) dieci anni eppure mai davvero discusso, dinnanzi al vasto pubblico, dai principali giornali e testate online. Si tratta del Proctor & Gamble Water Purifier, un imprevisto frutto del dipartimento di Ricerca e Sviluppo di una delle multinazionali operative nel campo dei beni di consumo più grandi al mondo, concepito quasi per caso dall’oggi direttore associato Dr. Phil Souter, scienziato assunto con l’obiettivo specifico di sviluppare un metodo per rendere nuovamente potabile l’acqua usata allo scopo di fare il bucato. Soltanto per approdare, al termine del suo complesso tragitto professionale, a un concentrato di princìpi attivi effettivamente capaci di fare questo e al tempo stesso, molto, molto di più.
Il funzionamento della la polvere in questione, oggi liberamente acquistabile online presso molti distributori ufficiali (su tutti, Amazon americana) è facilmente dimostrato nei primi secondi del video online. Ce lo mostra Mark Rober, ancor prima che giunga il suo celebre ospite di giornata, versando in due recipienti un’ingente quantità d’acqua contaminata, dal preoccupante color giallo paglierino. All’interno di uno dei quali aggiunge, quindi, il contenuto di una di queste bustine. Nel giro di quelli che nel time-lapse dimostrativo risultano essere soltanto pochi secondi, quindi, il recipiente trattato recupera rapidamente la sua trasparenza, mentre ogni impurità contenuta all’interno si deposita sul fondo, formando uno strato simile alla sabbia di un acquario. Alla ragionevole, nonché implicita domanda: “Voi la berreste questa roba?” Non si può quindi fare a meno di rispondere l’entusiasmo relativo di un “…Forse?” Finché non si considera l’alternativa per coloro a cui, effettivamente, è indirizzato un simile prodotto dall’effetto strabiliante: tutti quegli abitanti di paesi in via di sviluppo, per cui l’accesso all’acqua potabile risulta essere tutt’altro che una sicurezza, e bere dell’acqua non trattata corrisponde, molto spesso, a morte certa. Ecco dunque che nel punto cardine del video, i due protagonisti si ritrovano davanti a un paio di barattoli, ciascuno pieno del suo contenuto [non] bevibile dall’aria torbida e inquietante. Si aggiunge un pizzico di polvere e a quel punto, sembra quasi che il coraggioso Bill Gates si appresti a berlo…