Visioni contrastanti: la storia della microauto che ignorava la distinzione tra dietro e davanti

Molte furono le figure di brillanti progettisti, con le loro intere aziende, che finirono a trovarsi in ristrettezza economica con il concludersi del secondo conflitto mondiale. Non i produttori di strumenti “utili” o “evoluti”, le armi da impiegare come deterrente verso l’inizio della seconda metà del secolo. Ma tutti coloro la cui stella, ormai priva della lucentezza di un tempo, avevano abbinato il proprio nome a semplici veicoli, proiettili, aeroplani. Personaggi come l’aviatore franco-tedesco Claude Honoré Dornier, già creatore del più grande aeroplano al mondo tra gli anni ’25 e ’41 del Novecento. Nonché in seguito, all’interno della sua compagnia di Friedrichshafen sulle coste del lago di Costanza, di riusciti velivoli militari come Do 17 o “matita volante” usato con diabolico successo durante i raid aerei contro la Gran Bretagna. Che all’inizio degli anni ’50, come già successo in precedenza con la stipula del trattato di Versailles, si ritrovava fortemente limitato dalla sorveglianza degli Alleati nella possibilità di far decollare nuovi esempi della rinomata ingegneria aeronautica tedesca. Ragion per cui, tornando agli interessi poliedrici che avevano forgiato la sua carriera, aveva dato incarico ai più fidati designer, tra cui il figlio e collega Claudius, di diversificare per quanto possibile l’offerta, trovando nuovi ambiti di commercializzazione per i moderni stabilimenti produttivi, acquistati in parte dalla fallimentare azienda di dirigibili del Conte von Zeppelin. Lungi dal fare la fine fiammeggiante dell’Hinderburg dunque, questa squadra dalle molte competenze determinò e pianificò l’ingresso della compagnia in un nuovo settore, nato per l’appunto in quei fatidici anni: la costruzione di automobili per l’uomo comune, dai costi e consumi ridotti per quanto possibile. Qualcosa in cui il vecchio alleato italiano aveva già fatto scuola, mediante la creazione tra le altre cose della riuscita Iso Isetta, messa in vendita anche in Germania sotto l’etichetta di BMW. Fu così verso l’inizio degli anni ’50, che dall’impeto di un lavorìo incessante, scaturirono i disegni e poi il prototipo della Dornier Delta, un’utilitaria di piccole dimensioni (oggi diremmo “city car”) con alcune caratteristiche superficiali di una berlina. Ma per molti altri e significativi aspetti, qualcosa che il mondo non aveva mai visto prima di allora. Dominata nel suo aspetto dalla grande porta frontale, come l’antesignana dell’azienda lombarda, essa sceglieva infatti di raddoppiare tale caratteristica inusuale, posizionando un secondo sportello in posizione opposta, sul retro. Ma soprattutto, invece che piazzare il motore avanti o dietro, lo metteva al centro esatto del veicolo, con i sedili per i passeggeri voltati di 180 gradi in direzione opposta al senso di marcia, massimizzando in questo modo lo spazio disponibile per la testa, le spalle, le gambe. Basandosi, in effetti, su un comprovato precedente: quel tipo di piccola carrozza multiposto, ancora in voga sul finire del secolo scorso, che aveva il nome nei vari recessi d’Europa di dos-à-dos o dogcart, per la presenza di uno scompartimento sotto le sedute per i cani da caccia e/o eventuali bagagli. Il che non significava necessariamente che gli utilizzatori delle nascenti Autobahn fossero effettivamente preparati a vedersi superare dalla nuova automobilina in quella che sembrava a tutti gli effetti una retromarcia, fatta eccezione per l’assenza, forse ancor più preoccupante, di alcun tipo di volante…

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L’idea teoricamente realizzabile di trasportare pale eoliche con l’aeroplano più grande al mondo

Quante porte possono essere sbloccate, quanti favolosi traguardi avvicinati, mediante l’utilizzo di un ottimo rendering in tre dimensioni? Per vivere le nostre giornate all’interno di un mondo in cui le cose artificiali vengono subordinate a ciò che può esser visto e toccato con mano, siamo certamente inclini a farci affascinare da ciò che sembra “sufficientemente” vero. E non c’è alcuna idiosincrasia intellettuale, palese né latente, nel tentare di mettere a frutto la propria perizia nel visualizzare tutto questo: i progetti più o meno concreti, i sogni ingegneristici, le cose che potrebbero trovarsi in un futuro ad occupare il nostro stesso spazio materiale. Dopo tutto, scriveremo chiaramente che si tratta di un semplice concept. Ma quale committente, giornalista o comunicatore legge le didascalie, più velocemente di quanto la sua mente possa mettersi a sognare…
Mark Lundstrom della città di Boulder, Colorado è la figura cardine nonché fondatore della startup nata da un progetto rimasto segreto per 8 anni (questo è ciò che afferma) per la risoluzione di uno dei grandi problemi dei nostri giorni. Anche se non ci pensiamo tutti i giorni, differentemente da quanto avviene per l’Impero Romano; facciamolo adesso. Poiché non c’è veramente un modo funzionale, tra i molti disponibili, per trasportare i componenti di una pala eolica a destinazione. Quello strumento simbolo dell’energia pulita & sostenibile, tanto inviso ai paesaggisti benché possa allontanare l’incombente collasso ecologico su scala planetaria, che si compone di una parte divisibile (la torre) e diversi componenti monoblocco, tra i più massicci ed ingombranti che possano fuoriuscire da uno stabilimento metalmeccanico moderno (le pale/blades). E tutti abbiamo visto, a tal proposito, la scena entusiasmante ma precaria dei sistemi di movimentazione stradale per simili giganteschi orpelli, che possono includere autocarri, cingolati, piattaforme snodate con più pneumatici che metri di lunghezza. Dal che l’approccio inusitato del creatore della quasi-multinazionale Radia, Inc. mirato a eliminare totalmente questo problematico passaggio. Nessuno mai vorrebbe d’altra parte misurare la larghezza dell’asfalto, quando è disponibile l’intero spazio che si trova situato sopra e sotto l’arco della volta celeste.
A bordo di un velivolo, che altro? Il Windrunner (occasione persa di chiamarlo Bladerunner) opera di lunghe perequazioni ingegneristiche, mirate a riaprire un profilo di progresso tecnologico che sembra ormai da tempo essere passato in secondo piano: la costruzione di un aereo cargo per carichi sovradimensionati. Come il C-17 della Boeing o il russo Antonov An-124, per non parlare del titano andato distrutto nel primo giorno di guerra in Ucraina, l’immenso e mai realmente sostituito An-225 Mriya. Che di suo conto non avrebbe mai potuto assolvere allo stesso compito per cui l’oggetto di quei rendering è stato creato, avendo uno spazio nella stiva relativamente piccolo in proporzione al carico trasportabile dai suoi sei potenti motori. Essendo stato concepito per portare la nave spaziale Buran agganciata sopra la fusoliera, d’altra parte lunga “appena” 84 metri, contro i 108 del suo possibile erede dell’imminente domani…

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Il cuore nero e abbandonato della vecchia Toronto, nella grande cattedrale del carbone canadese

Dolori della crescita… Growing Pains. Titolo di una celebre sit-com di fine secolo ma in tutto il Nord America, come altri luoghi dello stesso emisfero, anche il modo metaforico per riferirsi a fasi problematiche, nei trascorsi di una grande varietà di processi o settori dell’industriosa società umana. Vedi l’idea difficile da confutare, secondo cui il metodo migliore per fornire energia ad una città che aveva negli anni ’50 un milione di abitanti, fosse bruciare copiose quantità di carbone a poca distanza dal suo distretto costiero, sulle invitanti e fredde acque del lago Ontario. Idea nata, sia chiaro, dalle migliori intenzioni della cosiddetta Commissione Idroelettrica, ente governativo fondato due decadi prima e guidato dal politico e industriale Sir Adam Beck, assieme a tecnici di larga fama come l’ingegnere Richard Hearn. Il quale, pur essendo fin da subito un convinto sostenitore dell’energia nucleare, avrebbe finito per fornire il nome alla più notevole, imponente e significativa delle cattedrali, destinata ad essere una significativa deviazione, più che un semplice scalino intermedio verso l’obiettivo finale. Questo il compito che avrebbe assolto, non senza notevole successo, la nuova è più imponente struttura costruita lungo un ex-banco di sabbia in prossimità del porto, consolidato ed allargatosi a seguito di multiple generazioni di accumulo di detriti e rifiuti di variegata natura. Non che l’edificazione da parte del governo di uno svettante edificio lungo 240 metri e largo 80, con un volume interno di 650.000 metri cubi nonché alcune delle ciminiere più alte che si fossero mai viste fino ad allora, fosse un’operazione predisposta ad essere presa alla leggera. Così che il cantiere destinato a richiedere svariati anni di lavoro (guardando i dati reperibili su Internet, nessuno sembrerebbe aver tenuto il conto) avrebbe cominciato dal posizionamento di svettanti pali verticali nel suolo semi-solido del fronte cittadino. Ove gradualmente, molti mattoni rossi alla volta e con le sue caratteristiche finestre verticali, sarebbe sorto un rappresentativo esempio di architettura industriale in attraente stile Art Déco. Espressionismo dei metodi costruttivi a parte, tuttavia, ogni singolo aspetto della H. Generating Station era stato concepito per assolvere ad una sola ed utile funzione pratica: annerire i cieli di Toronto, mentre illuminava in modo ininterrotto le sue residenze, le gremite fabbriche, gli opifici…

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La scienza della bolla e l’inflessibile lancetta che misura la forza della farina

È chiara conclusione inconfutabile a cui si giunge grazie al metodo scientifico, il fatto che all’assoluta perfezione dei metodi non corrisponda sempre o necessariamente lo stesso identico risultato. Il che complica notevolmente ogni processo della produzione seriale, qualsiasi sia il campo in cui si scelga d’investire il proprio tempo, risorse o reputazione. Così gli insigni forni artigianali, residenze dei più celebri e stimati panificatori, ebbero molti anni per riuscire a rassegnarsi che la fornitura di un grano piuttosto che un altro, potesse influire sulla qualità del prodotto finale. Il che oggigiorno, come molti altri comparabili fattori, offre un margine d’errore molto meno significativo. Questione inerente causa l’avvenuta trasformazione del “cliente” in “consumatore” che popola la sua dispensa tramite l’investimento nei confronti di particolari marchi di matrice prevalentemente industriale. Lo stesso concetto di marketing, in quanto tale, prevede l’ardua ripetibilità delle condizioni gastronomiche, poiché altrimenti come risulterebbe mai possibile comunicare le qualità di un prodotto, piuttosto che un altro?
La risposta a questa percepita esigenza tipica dei nostri giorni giunse dunque per la prima volta nel 1920, grazie agli esperimenti del consulente ingegneristico per i Grands Moulins de Paris-Bordeaux-Lille, Marcel Chopin. Creatore di sistemi rapidi per la cottura del pane prodotto su larga scala, ma anche e soprattutto di uno strumento matematicamente esatto noto in prima battuta come l’extensimètre, poiché basato sul concetto di sottoporre ad una prova di resistenza delle quantità esatte d’impasto lievitato, al fine di poterne misurare le caratteristiche di fondo. Mediante un approccio metodico particolarmente preciso, che avrebbe portato al successivo perfezionamento e conseguente commercializzazione della macchina destinata a diventare celebre col nome di alveografo di Chopin. Dal latino alveus, un “vuoto/cavità” ed il greco γράφος, suffisso che deriva dal verbo “scrittura”, proprio in riferimento alla bolla prodotta dal marchingegno all’apice del suo processo di misurazione. Che nei decenni successivi si sarebbe imposto come standard dell’industria al punto che oggi nella maggior parte dei paesi industrializzati è diventato assolutamente normale includere i valori risultanti da tale verifica sulla confezione delle farine presenti in commercio, se non addirittura in fogli informativi abbinati a pane, pizza pronta, dolci venduti al supermercato. Con conseguenze nel complesso positive per la consapevolezza della collettività ma anche qualche problematico e vigente fraintendimento. Che potrebbe aver condotto, in base all’opinione di alcuni, ad un appiattimento sostanziale delle proposte disponibili in commercio…

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