Pareidolia è l’umana condizione psicologica, presente in ogni singolo rappresentante della specie, che induce gli osservatori di uno spazio vuoto ad individuare in esso la forma riconoscibile di un volto. Due pertugi diventano occhi, una semplice sasso ci ricorda un naso, i fili d’erba si trasformano nei denti nelle fauci di un gigante in agguato… E così via a seguire. Tendenza frutto di un preciso piano evolutivo, tale approccio all’individuazione di uno schema può in realtà costituire un’utile strumento di sopravvivenza, per individuare il predatore tra i cespugli, la tigre in mezzo al sottobosco, l’irsuto cacciatore pronto ad ululare definendo l’obiettivo del branco. Ed anche in più infrequenti contesti, qualora ci s’inoltri nel vasto mondo sotto la superficie del globo terracqueo, al fine di scovare viste in grado di aumentare il materiale disponibile per questa nostra fantasia allenata. Incredibile, nonostante i presupposti, a vedersi: in mezzo a quelle pietre, il guizzo di un leggero movimento. È l’ombra di quel pesce che il subconscio riconosce, perché sembra avvicinarsi al grugno di un canide di superficie, o in alternativa, lo spettro pensoso di un nostro antenato, trasportato come per magia dentro il palazzo del dio Nettuno. Finché in modo graduale non manca mai d’emergere, spinto dalla curiosità e l’intento indagatorio, mostrando un corpo lungo 180-250 cm che sinuosamente si agita nella colonna che si estende dal sostegno del fondale roccioso. Non è difficile, a quel punto, comprendere il mito della tradizione Tinglit dei Nativi del Nord-Ovest del Pacifico, che chiamavano simili creature Gonakadet, o Konakadeit, ovvero “lupi del mare”, essendo convinti che potessero risalire la costa e visitare gli sciamani per portargli consiglio. Idea in qualche maniera mantenuta anche nel nome scientifico della famiglia degli Anarhichadidae, dal greco anarrhichesis che significa arrampicarsi. Associazione relativamente ragionevole, rispetto a quella del nome comune che allude all’anguilla, con la quale in questo caso non esiste alcun grado effettivo di parentela. Essendo l’intero gruppo biologico dei pesci lupo, diffuso con due generi e cinque specie in entrambi gli oceani che fiancheggiano il continente americano, quello di un’esperta tipologia di predatori attinotterigi (pesci ossei risalenti al Siluriano) per cui la masticazione, e resistenza del palato, costituiscono strumenti niente meno che primari per incrementare le proprie possibilità di sopravvivenza…
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La rara spada vegetale che scaturisce dalla terra intrisa delle ceneri di un vulcano
Come nel romanzo epico delle Isole scritto da Michener nel ’59, la capostipite raggiunse le pendici del Mauna Kea hawaiano armata dei suoi metodi, le sue prerogative, nient’altro che le ottime speranze possedute da un semplice seme. Una semplice asteracea in fieri, del tipo che cresceva all’epoca più che altro nei campi di catrame della California, in qualche modo riuscita ad aggrapparsi rimanendo intrappolata tra le piume di un uccello migratore. Forse un piviere (Pluvialis Fulva) o magari una berta dell’Oceano (Puffinus spp.) che giunti oltre i confini di queste remote coste, se ne liberarono là sopra, lasciandola cadere sulla terra scarna e priva di bacini idrici degni di nota. Eppure senza acqua preminente, una pianta può riuscire a sopravvivere, se le sostanze nutritive sono sufficienti. E così quell’ancestrale pianta erbacea riuscì a creare almeno un fiore prima di tornare al grande vuoto della non-esistenza. Ben presto seguìto dall’essenziale capsula dei semi. Molti furono i millenni necessari, per non dire eoni, affinché i discendenti di una tale esploratrice raggiungessero lo stato necessario a prosperare in quell’ambiente. Favorendo alcuni tratti a discapito di altri, per dare i natali ad una delle piante più notevoli ed atipiche di questo intero bioma e del mondo. Sarà opportuno, a questo punto, esplicitare i fatti: c’è soltanto un luogo dove cresce l’effettiva Argyroxiphium sandwicense, ed un altro per la sua cugina A. kauense. E così via a seguire, per ciascuna placida depositaria della cosiddetta alleanza delle Silversword (Spade d’Argento), egualmente collegate a stretto giro a una specifica colata lavica, completa di un particolare gradiente, circostanze climatiche, direzione del vento. Ponendoci di fronte a pieno titolo a quello che potremmo definire come l’apogeo dell’endemismo: esseri viventi senza termini di paragoni, rari e inconfondibili. Letteralmente inesistenti altrove.
E quale splendido spettacolo doveva essere stato, negli anni ormai remoti della sua abbondanza, una macchia di queste rappresentati locali della genìa dei girasole, carciofi e margherite, famosamente descritta dalla scrittrice e viaggiatrice Isabella Bird nel 1890 come “Personificazione dell’inverno o della luce lunare”, prima che i risvolti progressivi delle condizioni contestuali si trovassero a contribuire ad un’accentuazione del successivo secolo di privazioni. Poiché vedete, lo stesso punto chiave di una pianta simile, il suo pretesto necessario all’esistenza, è la totale mancanza di erbivori affamati all’interno del proprio areale di riferimento. Una condizione destinata a scomparire con l’espandersi dei territori dedicati alla pastorizia, alture dove capre, pecore e bovini erano lasciati pascolare senza limiti. Senza contare il più terribile pericolo di tutti: il turista in cerca di esperienze da inserire nel taccuino della sua memoria…
Ecce Datura, la capsula spinosa che contiene i semi del babelico delirio e del caos
Difficile fu sempre la profonda aspirazione, dei cosiddetti imperi di epoca moderna e contemporanea, a governare su ampi territori da una capitale posta all’altro capo di oceani, vasti continenti, insuperabili catene. Poiché il tipo di priorità anteposte da coloro che non hanno mai davvero potuto sperimentare le reali condizioni e implicazioni di un territorio, mai potranno sostituire il punto di vista critico posseduto dai legittimi abitanti di quelle foreste o amene pianure. Almeno finché il sollevarsi di una ribellione, prevedibile quanto spietata, non recida quei legami simili a un lunghissimo cordone ombelicale. In tal senso uno dei primi tentativi di rivendicare un qualche tipo d’indipendenza americana avvenne sotto la supervisione del mercante ed avventuriero Nathaniel Bacon nel 1676 in Virginia, quando lui ed i suoi si rifiutarono di scacciare i Nativi dai loro territori ancestrali. Alleandosi piuttosto con loro e puntando le armi contro i britannici nelle caserme e piazze d’armi di Georgetown, in una sommossa che avrebbe letteralmente dato fuoco all’intero centro abitato di epoca coloniale. Uno dei resoconti maggiormente inaspettati ed interessanti della vicenda, tuttavia, sarebbe stato redatto dal politico e coltivatore del luogo Robert Beverley Jr, venuto a conoscenza di una strana esperienza di alcune giubbe rosse che avevano accidentalmente trangugiato, durante la preparazione di una zuppa con ingredienti foraggiati localmente, alcune foglie e fiori della strana pianta nota come Whisky degli Indiani, così chiamata a causa dei presunti effetti inebrianti causati dalla sua consumazione benché negli anni successivi avrebbe assunto l’appellativo inglesizzato di jimsonweed. Ebbene costoro, nei risvolti a tratti tragicomici di quel racconto, iniziarono immediatamente a comportarsi in modo straordinariamente atipico, con uno di loro che passava ore a far volare una piuma soffiando, mentre il secondo gli lanciava fili d’erba. Mentre il terzo seduto da una parte, completamente nudo sghignazzava all’indirizzo d’interlocutori inesistenti. Ed il quarto cercava di attirare l’attenzione degli altri, atteggiando il propri volto a “Più smorfie di una farsa teatrale d’Olanda.” Messi sotto sorveglianza per la propria stessa sicurezza, i soldati si sarebbero quindi ripresi dopo il trascorrere di alcuni giorni. Benché sia ragionevole pensare che, dal punto di vista dei malcapitati, tale arco di tempo possa essere durato l’equivalente di mesi, o persino anni.
Questo il potere del genere di piante alte fino a due metri dalle origini centroamericane, appartenente allo stesso ordine dei pomodori e del tabacco, la cui caratteristiche caratterizzanti dal punto di vista botanico includono la tendenza a sbocciare unicamente dopo il sopraggiungere del vespro e per l’intera durata delle ore notturne, fino alla creazione di una capsula dei semi dalla forma tondeggiante, ricoperta di agguerrite spine in grado di richiamare il profilo sfrangiato delle foglie stesse. Che la scienza chiama Datura, benché il nome popolare ed internazionale preferito sembri essere quello di trombe del Diavolo, causa la forma a calice di tali fiori che crescono in maniera perpendicolare al suolo. E la capacità di evocare, per chiunque sia abbastanza folle da consumarle, una ragionevole approssimazione dell’Inferno in Terra…
L’abisso dei ragni che si servono di microbi per trasformare il gas metano in sostentamento
Nelle remote profondità del Pacifico, esistono recessi ove la vita è rarefatta al punto da permettere di sopravvivere soltanto ad animali altamente specializzati, il cui metabolismo è calibrato al fine di minimizzare il consumo di energie ed al tempo stesso, la necessità di localizzare le minime fonti di cibo a disposizione. Situazione largamente attestata al di sotto di una certa profondità dove, a causa della mancanza di luce, la vita vegetale è impossibile, e quasi ogni essere vivente è stato sviluppato dall’evoluzione nel vorace cercatore dei propri co-abitanti. I che non significa che sia impossibile, per creature al sotto di una certa dimensione, riuscire ad occupare l’ultimo e isolato anello della catena alimentare; batteri, soprattutto, che mettono in pratica il complesso principio biochimico dell’autotrofia. Potendo generare alla loro maniera tutte le energie necessarie a sopravvivere e replicarsi, non a partire da qualsivoglia tipologia di materiale organico pronto all’assimilazione, bensì un prezioso fluido presente in grande quantità sotto lo strato superiore della crosta terrestre; l’antico ed impalpabile residuo di perdute foreste. Tra tutti gli idrocarburi, il più abbondante: il gas metano, principe supremo dei carburanti. Che per propria innata propensione tende ad affiorare in luoghi molto specifici dei fondali oceanici, chiamati camini o cold seep (pozzi freddi) proprio per distinguerli da luoghi simili caratterizzati dalla fuoriuscita di sostanze gassose incandescenti che rendono invivibili gli immediati dintorni. Nel mentre qui fioriscono, del tutto indisturbate da invasioni estranee di possibili nemici, indivise moltitudini di forme di vita, la cui biodiversità ha più volte messo alla prova i presupposti posseduti dagli scienziati. Molluschi, granchi bianchi come l’osso, vermi, gli eleganti cnidari e qualche occasionale pesce. Nonché uno dei veri maestri nell’abilità deambulatoria di un particolare tratto di fondale, il “ragno” di mare o picnogonide, creato dalla natura con i crismi operativi di un sofisticato procacciatore di prede. Ma che in base ad un nuovo studio scientifico (Bianca Dal Bó et al, rivista PNAS) proprio in questo ambiente si sarebbe rivelato in grado di trovare un suo sentiero alternativo verso la prosperità: coltivare quei preziosi batteri, sull’esoscheletro che protegge il suo stesso corpo…