L’abisso dei ragni che si servono di microbi per trasformare il gas metano in sostentamento

Nelle remote profondità del Pacifico, esistono recessi ove la vita è rarefatta al punto da permettere di sopravvivere soltanto ad animali altamente specializzati, il cui metabolismo è calibrato al fine di minimizzare il consumo di energie ed al tempo stesso, la necessità di localizzare le minime fonti di cibo a disposizione. Situazione largamente attestata al di sotto di una certa profondità dove, a causa della mancanza di luce, la vita vegetale è impossibile, e quasi ogni essere vivente è stato sviluppato dall’evoluzione nel vorace cercatore dei propri co-abitanti. I che non significa che sia impossibile, per creature al sotto di una certa dimensione, riuscire ad occupare l’ultimo e isolato anello della catena alimentare; batteri, soprattutto, che mettono in pratica il complesso principio biochimico dell’autotrofia. Potendo generare alla loro maniera tutte le energie necessarie a sopravvivere e replicarsi, non a partire da qualsivoglia tipologia di materiale organico pronto all’assimilazione, bensì un prezioso fluido presente in grande quantità sotto lo strato superiore della crosta terrestre; l’antico ed impalpabile residuo di perdute foreste. Tra tutti gli idrocarburi, il più abbondante: il gas metano, principe supremo dei carburanti. Che per propria innata propensione tende ad affiorare in luoghi molto specifici dei fondali oceanici, chiamati camini o cold seep (pozzi freddi) proprio per distinguerli da luoghi simili caratterizzati dalla fuoriuscita di sostanze gassose incandescenti che rendono invivibili gli immediati dintorni. Nel mentre qui fioriscono, del tutto indisturbate da invasioni estranee di possibili nemici, indivise moltitudini di forme di vita, la cui biodiversità ha più volte messo alla prova i presupposti posseduti dagli scienziati. Molluschi, granchi bianchi come l’osso, vermi, gli eleganti cnidari e qualche occasionale pesce. Nonché uno dei veri maestri nell’abilità deambulatoria di un particolare tratto di fondale, il “ragno” di mare o picnogonide, creato dalla natura con i crismi operativi di un sofisticato procacciatore di prede. Ma che in base ad un nuovo studio scientifico (Bianca Dal Bó et al, rivista PNAS) proprio in questo ambiente si sarebbe rivelato in grado di trovare un suo sentiero alternativo verso la prosperità: coltivare quei preziosi batteri, sull’esoscheletro che protegge il suo stesso corpo…

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Orrida è la notte, quando parassiti alieni oscurano lo sguardo dei pipistrelli

Da un lato all’altro delle società distopiche illustrate da generazioni di narratori, ricorrono domande pregne di significati sostanziali: chi controlla i controllori? Chi potrà impedire a coloro che hanno ricevuto il mandato del comando, di ottenere il predominio sulla collettività indivisa? E chi olia i giunti cardanici del meccanismo, prevenendo blocchi motivati dal bisogno molto umano di “acquisire” ad ogni costo un punto di vantaggio ulteriore… Tipico di questa specie bipede e non solo, se è vero che l’evoluzione in ogni circostanza, intesa come spinta dell’inarrestabile progresso di ogni essere vivente, tende sempre a favorire mutazioni che permettono agli abitatori delle pertinenze di allagare il proprio ambiente, demolire le pareti della nicchia e costruirle nuovamente innanzi, sempre più lontano nella valle di coloro che dovranno rassegnarsi nel convivere con l’assoluto e raggelante orrore. Così il signore della notte, figlio concettuale di quei topi che percorrono i pertugi delle fognature, plurimi millenni a questa parte sorse dal terreno per librarsi in volo, agguerrito pipistrello succhiatore delle circostanze. Finché un giorno, da uno scherzo del destino, guadagnò un nemico che di proprio conto nacque con le ali. E posto innanzi ad una scelta, scelse per tali arti l’atrofìa. Sorprendente da diverse angolazioni, giacché il termine per riferirsi ad ogni mosca in lingua inglese è fly; laddove la tipica rappresentante della famiglia cosmopolita Nycteribiidae, a dirla tutta, sarebbe stato più corretto definirla con appellativo di walk. Creatura diventata celebre in modo particolare su Internet, grazie alla premiata fotografia scattata nel 2021 dal naturalista Piotr Nasrecki, nel corso di un sopralluogo all’interno del parco naturale Gorongosa del Mozambico. Entro cui lo spettatore è chiamato a razionalizzare il primo piano di un riconoscibile chirottero dalle dita lunghe (Miniopterus mossambicus) non più lungo di 10 cm, con il muso parzialmente oscurato da quello che parrebbe presentarsi come un grosso ragno che gli copre totalmente la fronte e gli occhi. O un face hugger disegnato dall’illustratore svizzero H.R. Giger per il film Alien, trasferito nelle proporzioni idonee per costituire la perfetta punizione del più celebre mammifero volante. Presumibilmente tollerato perché dopo tutto, per creature di siffatta natura il senso principale è l’udito, sfruttato in modo affine al sonar per potersi orientare nell’oscurità latente. Immagine che complessivamente pare sprigionare un senso di assoluto terrore, minaccia e sofferenza. Finché contando le zampe della sovrapposta creatura, non si scopre fare semplicemente parte della vasta e diversificata genìa degli insetti. Ovvero, a conti fatti, un altro aspetto meramente implicito e del tutto spassionato della Natura…

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Le piume che producono le note della festa, sul dorso dell’uccello nella foresta

Sono il portatore mistico del mio destino, sono un musicista, splendido e magnifico a vedersi. Ma soprattutto, il mio canto è irresistibile. Ed altrettanto riesce ad essere, il sublime suono che produco tramite l’impiego di un sistema che non passa dal mio becco ma per la precisa metodologia di un suonatore di violino. Colui che in pochi gesti può creare la sublime risonanza di una sinfonia che allude allo splendore delle circostanze transienti. “Osservate, rivali. E disperate. Cercami, degna consorte. Ti stavo aspettando.” Così salgo sopra un ramo di quell’albero isolato e reggendomi con gli artigli esperti, sposto il peso trascurabile in avanti. Abbasso la mia testa e sollevo, in modo ritmico, le ali. Ciascuna volta avendo cura d’intrecciare il paio di speciali piume remiganti, lasciando che si trovino a sfregare l’una contro l’altra. Ricercando un risultato che può essere soltanto descritto come “conturbante…?” O in modo maggiormente letterale, inconfondibile. Questa è la portata del mio genio. Soltanto così, Lei potrà trovarmi per passare al più prezioso tra i capitoli della nostra interconnessa esistenza futura.
Manichino o manachino sono termini che si assomigliano. Ma non risultano del tutto uguali; giacché una è l’ideale rappresentazione di un corpo da agghindare con vestiti in vendita all’interno di un negozio o luogo d’interscambio commerciale. Mentre l’altro è l’appartenente passeriforme a una particolare famiglia di volatili, che gli scienziati sono soliti chiamare pipridi, il cui ambiente di provenienza si trova centrato nelle foreste pluviali andine ed il resto degli ambienti tropicali sudamericani. Il cui esempio maggiormente celebre può essere individuato nel Machaeropterus deliciosus, la cui capacità di produrre un suono facilmente udibile a distanza trascende largamente i circa 10 cm di lunghezza. Questo grazie all’espediente evolutivo, comune in vari modi ai suoi più prossimi vicini nella classificazione tassonomica dei pennuti, che lo rende inaspettatamente simile a un insetto tipico delle nostre albe e tramonti estivi: la cicala. Ponendoci effettivamente innanzi al raro e interessante esempio di un vertebrato capace di produrre lo stridulamento. Quel suono frutto di una vibrazione, prodotto grazie a membra esterne di un corpo che si agita secondo metodi ben collaudati. Piuttosto che organi situati all’interno, condizionati da evidenti limiti in termini di sostenibilità uditiva…

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Il mobile da ufficio creato sul finire della guerra per sbloccare il vasto potenziale della mente umana

Fu così che il paradigmatico ricercatore, una generazione dopo l’altra, poteva aggiungere Qualcosa ogni volta. E quel Qualcosa diventava, mediante l’espansione del corpus concettuale di riferimento, il fluido stesso che forniva l’energia e la direzione al Progresso, di ogni campo tecnologico o in diverso modo rilevante per l’accrescimento della società umana. Per questo si è soliti riassumere l’allegoria nella metafora: “Nani sulle spalle dei giganti”, in riferimento al margine oltre cui tendiamo a espanderci, lasciando incrementare le aspettative in merito ai minuti che siamo predestinati a trascorrere nell’orizzonte materiale degli eventi. Ma è duplice il significato della scelta di una tale direzione, verso l’alto e in contrapposizione con la forza gravitazionale, quasi ad alludere all’incrementale grado di difficoltà che non può fare a meno di presentarsi, una volta dopo l’altra, eternamente rinnovato per riuscire a oltrepassare tale vetta precedentemente acclarata. Ciò a causa della cosiddetta somma collettiva della conoscenza, l’idea non certo effimera secondo cui per produrre qualcosa di nuovo, occorre avere ben presente tutto ciò di pertinente che abbiamo visto fino al presente momento. E non basterebbe una vita, per leggere tutti quei libri… Così come non sarebbe bastata già dalla metà del secolo scorso.
Sulla base di questa preoccupazione il rinomato ingegnere nonché amministratore dell’OSRD (Ufficio della Ricerca e Sviluppo Scientifico) degli Stati Uniti, Vannevar Bush, dedicò parte dell’estate del 1945 alla preparazione di un saggio in larga parte speculativo, che i commentatori privi di fantasia e visione non avrebbero probabilmente esitato a definire come pura fantascienza. Il titolo, As We May Think (Come Potremmo Pensare) non lasciava d’altra parte trasparire il piece de résistance fondamentale, un meccanismo delineato in modo assai specifico, che in breve tempo a suo avviso avrebbe potuto scrivere il primo capitolo di un nuovo e maggiormente democratico sistema dell’Accademia. Il suo nome: Memex e l’aspetto, grossomodo riconducibile a quello di una grossa scrivania da ufficio. All’interno della quale egli immaginava, sostanzialmente, l’intero contenuto della biblioteca d’Alessandria e molto più di questo, grazie all’applicazione della tecnica innovativa per l’epoca della miniaturizzazione fotografica, o microfilm. Il dispositivo in questione, sostanzialmente un tipo di calcolatore elettromeccanico, avrebbe dunque permesso all’utilizzatore non soltanto di consultare in modo rapido l’intero contenuto e proiettarlo sui due “schermi” dal piano inclinato, ma anche inserire le proprie note e soprattutto creare una serie di collegamenti alfanumerici, al fine di collegare determinate pagine o volumi sulla base del proprio pensiero o del proprio settore di studio. Bush aveva descritto a parole, in altri termini, il primo esempio noto di un ipertesto e al tempo stesso un’enciclopedia che poteva essere creata o modificata sul momento grazie all’intervento del suo stesso possessore. Molto più di Internet e al tempo stesso, molto meno…

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