Fra tutte le immagini della cinematografia moderna, ce n’è una, in particolare, che ha lasciato il suo segno indelebile nella cultura popolare: Re Leonida che arringa i suoi guerrieri, indossando la più terrificante, seppure naturale, delle maschere di scena. “Questa è…Barba!” Coltivare un giardino richiede una certa costanza, pazienza e dedizione. Farsi crescere la più folta delle chiome secondarie, dipende. Per alcuni, tale attività costituisce l’espressione di una breve fase, sospesa sul valico della maturità. A lungo costoro aspettano, ricordando le gesta degli eroi delle Termopili, l’avanzata implacabile di quel nemico, proveniente dalla Persia più metaforica dei nostri giorni. Che poi, fatte le dovute proporzioni, sarebbe la temutissima calvizie (come quella di Serse che aveva, a malapena, due depilate sopracciglia). Quindi questi emuli, passivi, perseguono l’obiettivo di un tardivo cambio del banale look: accantonando il rasoio, lasciano libero il potere nascosto nei bulbi piliferi del volto maschile, tentando di assumere l’aspetto dell’irsuto difensore. Al posto di quella prosaica lametta immaginano asce, spade e coraggiose lance. Vichinghi dei nostri giorni, anticonformisti ma ornati della classica giacca e cravatta, stravaganti, eppure mai ridicoli perché comunque sono già arrivati. Dov’è il coraggio, in tutto ciò? Si sa, ce lo si aspetta, persino. Cadono i capelli, crescono i peli sulla faccia. Molti, alla fine, si stufano pure, cercando di tornare indietro. Però a quel punto, inevitabilmente, è davvero troppo tardi. Oltre la superficie della barba stereotipata, tipica dell’uomo comune in crisi di mezza età, non resta ormai più nulla. Diversa è la situazione degli astuti giovani, che scelgano di perseguire un tale nobile obiettivo. Coloro che della moda non se ne curano, perché sanno crearla di propria iniziativa. E se un uomo come questo, meno che 30enne, si mostra in tale guisa, invero sappiamo che dev’esserci un perché. Qualcosa di speciale, dietro a tanti scuri peli. O anche dentro, se c’è il caso di un velato languorino…
divertente
L’epica ricerca della super-monetina
Due Facce, l’alter ego maligno del procuratore Harvery Dent, prima di annientare le sue vittime era solito lanciare una moneta. Testa o croce, vita o morte. L’incapacità di prendere una decisione, per chi detiene ingiustamente un simile potere, è il più chiaro segno di follia. Gli eroi non hanno dubbi o esitazioni, agiscono puntuali, tempestivi, seguendo il faro mirabile della giustizia, da loro istintivamente percepita. Quindi non c’è da stupirsi se l’irascibile Donovan Murdock, protagonista di questo folle cartoon, al momento in cui lancia in aria quell’oggetto stranamente tintinnante, la sua scelta l’ha già fatta: “Chi tocca muore!” La fibbia cranio-forme, la mascella tagliata con l’accetta, i muscoli (superiori) di uno stritolatore: perché parlare? Ogni tetro passo, condotto tramite le piccole gambette, esprime un senso di minaccia. Costui, fra tutti, è l’allegoria più eloquente del concetto di machismo. Come Chuck Norris, che posto di fronte ai suoi nemici pare sempre dire “Tu? Con quale armata?” Il problema però, in questo specifico caso, è l’ambiente circostante. Donovan si trova in un luogo molto particolare, riconoscibile dall’atmosfera e alcuni aspetti di design. Quella serranda, quegli scatoloni…Non c’è dubbio: siamo nel vicolo d’inizio di un grande classico dei videogame. Il primo quadro di DOUBLE DRAGON. Guai, a chi dovesse mostrare la sua cara moneta in tal contesto, tirandola fuori dalla tasca. Stregoni, picchiatori, astronavi, draghi, orchi, aquile… L’armata dei nemici videoludici, gli eterni fagocitatori di gettoni, è già in agguato. Tempo di menar le mani! Fra splendidi effetti speciali, trasformazioni e scene apocalittiche degne del più moderno Adventure Time.
In questo video COIN dei talentuosi Exit73Studios, io ci vedo la perfetta riproduzione dello spirito dei primi videogame, anche, soprattutto a discapito delle minuzie. Quei giochi non sceglievano, intenzionalmente, di essere primitivi. Erano quanto di meglio potesse esistere, il non plus ultra, coronamento di lunghi anni di sviluppo tecnologico. Ricreandoli come davvero erano, gli si fa un dispetto, perché nessuno li guardava ad occhio nudo. Si usava la più strana delle lenti: quella della fantasia.
Tre modi per farsi amico un sauro
Così vuoi vivere con le lucertole, pallido umano senzascaglie. La strada che hai scelto è lunga e irta di molte avversità. Considera, prima di tutto, l’importanza delle dimensioni: piccola, media oppure grande. Di sicuro non enorme: per quanto tu possa sentirti affine ai cari rettili dalle zampe artigliate, ti metteresti in casa un coccodrillo? Sia chiaro, puoi andarci molto vicino (non lo fare). Come tutte le cose, la via domestica dell’erpetologo s’intraprende per gradi successivi. Facciamo l’ipotesi, per studio, che tu scelga di accogliere nel tuo terrario l’uromastyx, compatta abitatrice vegetariana dei deserti del Nordafrica, quel simpatico personaggio che in cattività raggiunge una lunghezza di 25-30 cm circa, dalla punta del naso alla sua tozza coda. Quest’ultima, ricoperta di protuberanze aculeate, sarebbe il suo strumento difensivo. Ebbene, benché il suo nome provenga dal greco οὐρά (che vuol dire coda) e μαστίχα (flagello) qui non c’è proprio nulla da temere. Alcune specie di questo animale, anzi, vengono consigliate ai principianti. In particolare, l’uromastyx del Mali, con il suo pancione fatto per riempirsi di preziosa umidità, dimostra capacità d’adattamento all’interazione sociale e alla vita casalinga non indifferenti, che sembrano andare ben oltre l’infelice tolleranza di una facile fonte di cibo. Fino a poco tempo fa non si sapeva molto dei bisogni particolari di questa lucertola, con conseguente diminuzione dell’aspettativa di vita, per gli esemplari tenuti in cattività. Oggi la situazione è molto migliorata. Ci vuole un grande ambiente artificiale, riscaldato e illuminato adeguatamente, con un fondo sabbioso che permetta di scavare. Una roccia su misura, sotto cui l’animale possa nascondersi, chiudendo l’apertura con la coda. E poi deve mangiare bene, verdure soprattutto, più l’adeguato apporto di vitamine, generalmente servite tramite il mangime per le iguane, che piace molto pure a lui. Talmente tanto che un giorno l’uromastyx, diventato vostro amico, si lascerà grattare sulla pancia, agitandosi come un grazioso barboncino. Sembrerà quasi dire, con voce stridula e sibilante “Gran ssignore delle uova di gallina, ti voglio tanto bene!”.
Cane gioca a palla contro il fiume
Fra tutte le doti dell’intelletto la più saliente è l’empatia. Leggendo, giocando, studiando ci si proietta oltre i limiti di un solo luogo, verso mondi e situazioni diverse dall’ordinario. Prendi, ad esempio, questo grazioso cane giapponese. Siamo a Kobe, prefettura di Hyogo-ken, grande isola centrale dello Honshu. Con certi animali domestici non sei mai, davvero, una persona ferma e distaccata. Gli parli con voce infantile, ti metti a terra per stargli più vicino e partecipi di un entusiasmo particolare, che si origina fuori dal tuo ragionevole contesto umano. E la tua palla lascia la mano insieme all’anima, che sorveglia impalpabile l’amico a quattro zampe, divertito. Lanciando quell’oggetto diventi come il cane, liberamente in corsa e senza preconcetti. Comprendere a tal punto l’animale libera e schiarisce le menti subissate da mille o più problemi: resti soltanto tu, padrone e lui, beniamino con la sfera rotolante. Pienamente coinvolti, l’uno rispetto all’altro. La vostra sinergia crea un insieme di feedback interconnessi, che si accrescono a vicenda verso qualcosa di più grande. Si medita sereni, senza neanche farci caso.