La pericolosa sfera gigante dell’Università del Maryland

Daniel P. Lathrop è l’uomo che, da un periodo di quasi 10 anni, compare di tanto in tanto sulle riviste e pubblicazioni scientifiche per parlare dello stesso identico esperimento. Non per confermare che l’operazione sia riuscita, oppure l’esatto contrario: in effetti, la sfera di sodio fuso del laboratorio delle dinamiche non-lineari resta sospesa in una sorta di limbo, per cui POTREBBE ipoteticamente generare le forze che tutti si aspettano da lei. Oppure in effetti, non giungere mai e poi mai a farlo. Eppure la stampa non perde interesse, ritornando periodicamente a descrivere l’oggetto, l’uomo e ciò che ha intenzione di fare. Le ragioni sono molteplici, ma girano tutte attorno alla stesso argomento: il fatto che l’oggetto in questione sia una sfera del diametro di tre metri, ricolma del metallo liquido più instabile noto all’uomo, lanciata periodicamente grazie a un motore elettrico da 350 cavalli ad un ritmo di 4 rotazioni al secondo. Dentro di essa, giacciono 13 tonnellate di sodio metallico fuso, l’elemento fisico con il numero atomico 11 a contatto del quale potrebbe bastare una singola goccia d’acqua, per generare un’esplosione catastrofica sufficiente a spazzare via l’intero hangar in cui viene custodito l’esperimento, assieme al suo inventore, i macchinari preposti e chiunque dovesse passare per caso di lì. Non a caso, l’impianto antincendio dell’edificio è stato spento, venendo sostituito con uno speciale sistema ad-hoc capace di sganciare a comando un’intera bombola di nitrogeno liquido, sostanza sufficientemente fredda da bloccare la reazione chimica prima che possa degenerare. A patto, ovviamente, che qualcuno sia abbastanza svelto nel farvi ricorso, in caso d’improvvisa necessità.
È il tipico paradigma della scienza applicata, che talvolta si occupa di meccanismi di precisione, questioni microscopiche prive d’implicazioni problematiche. Ed altre, invece, diventa la disciplina col piede di porco e il potenziale esplosivo, gli sferraglianti ingranaggi di un ambito bramoso che non si ferma dinnanzi a nulla, semplicemente perché non può farlo. Almeno, se vuole scoprire la verità. La serie di quesiti a cui si propone di rispondere un simile esperimento d’altra parte, giunto alla fase critica attorno al 2011 dopo anni di prove e prototipi su scala decisamente più ridotta, è uno di quegli aspetti dell’esistenza che pur essendo collettivamente ignorati, finiranno prima o poi per influenzare ciascuno di noi: che cosa genera il campo magnetico terrestre? Cos’è che causa le sue continue variazioni? E quando accadrà di nuovo, ancora una volta, che i poli del pianeta vadano incontro a una completa inversione, modificando il funzionamento di tutte le bussole del globo? Potrebbe sembrare una questione faceta, finché non si considera come sia proprio la nostra magnetosfera, da tempo immemore, a proteggerci dalle possenti emissioni elettromagnetiche dell’astro solare, capaci potenzialmente di rendere inutilizzabile un buon 95% di tutta l’elettronica a disposizione della razza umana. Ora noi sappiamo, grazie all’inferenza e la legge del rasoio di Occam, che c’è un solo luogo in cui tale campo di forza protettivo può trovare le sue origini: quello strato sepolto che prende il nome di nucleo esterno, dalla temperatura comparativamente bassissima di “appena” 3.000 gradi in alcune regioni, contro i 5.700 del letterale centro della Terra e i 4.000 degli strati inferiori del mantello, ove la fusione è impossibile, a causa dell’eccezionale pressione dovuta alla gravità del pianeta stesso. Mentre c’è questa letterale zona grigia, composta in massima parte di metalli, per cui la forza centrifuga è latrice di movimento, ragione per cui ferro e nickel, più densi, vanno a disporsi ai confini della linea terminale, mentre altre sostanze più morbide, come il sodio, procedono sicuri verso la superficie, andando a perdersi dentro le intercapedini delle infinite rocce soprastanti. Capite di cosa stiamo parlando? La fisica ci insegna che quando un rotore composto almeno in parte di metallo magnetico viene immerso in un campo pre-esistente, il suo movimento non può fare a meno di amplificare una tale forza in maniera proporzionale. Il che su scala cosmica prende il nome di teoria della dinamo terrestre, secondo quanto delineato per la prima volta dall’astronomo inglese William Gilbert, nel suo famoso libro De Magnete (1600) il testo, incidentalmente, in cui viene usato per la prima volta il termine electricus, da cui il moderno concetto d’elettricità. Ma c’è una netta differenza tra il conoscere qualcosa in maniera teorica, e riuscire invece a dimostrarlo al di là di ogni ragionevole dubbio, grazie all’analisi di un preciso modello di quell’universo a noi letteralmente sconosciuto, che giace sotto i piedi a profondità molte volte superiori a quelle raggiungibili da qualsiasi trivella, anche nell’immediato futuro…

Leggi tutto

Il suono di un sasso che cade nel cuore della montagna

Quindi una volta ultimati i lavori per la costruzione del buco, tutto quello che rimaneva da fare era metterlo alla prova. Un po’ come fece Peregrino Tuc nelle miniere di Moria, quando lo stregone Gandalf, imprecando contro la sua stoltezza nel far precipitare una pietra, si ritrovò d’un tratto a dover gestire un’onda di 10.000 orchetti e persino la frusta di fiamme di un angelo passato alle schiere del male. Ma non c’è un Balrog, nelle profondità della Carinzia e all’interno dei terreni del Kraftwerksgruppe Fragant. Soltanto qualche dozzina di vecchi coboldi malefici e gobbuti, tranquillamente in attesa di divorare un minatore austriaco o turista dall’itinerario particolarmente imprudente. Non che alcunché di questo, d’altra parte, presenti una particolare rilevanza nel caso di questo Agente del fato, che tra le incitazioni generali e come in un solenne rito collettivo, prende una roccia e la scaglia nel buco verso destinazioni ignote. A noi che guardiamo, di certo, ma non a coloro che si trovano lì. Che un simile spazio l’hanno accudito, curato e visto crescere, fino all’attuale stato di circa tre metri di diametro, 457 di profondità. È impossibile non pensare, dunque, al capo cantiere che blocco note alla mano, contando attentamente i secondi, scrive i valori possibili dell’energia generata: 9,573 secondi caduta, per una velocità terminale attraverso l’aria (densità 1.225 Kg per metro cubico) di almeno 60 metri al secondo, presumendo una pietra dalla forma oblunga costituita da materiale granitico o simile. Per un totale, in fin dei conti, di circa 4300 Joules, ovvero 1,194 watt/ora. “Perfetto!” Ecco un possibile piano: la prima centrale elettrica a massi cadenti: “Basterà mettere qui uno scivolo e far venire continuamente dei camion carichi di pietra!” potrebbe esclamare qualcuno. Se non ci fosse un qualcosa di molto, MOLTO più pratico da utilizzare. E quella cosa, noialtri esseri umani, lo beviamo praticamente ogni giorno. Fatta eccezione per chi preferisce birra, vino, cola o sangue di fanciulla vergine transilvana.
Il lago Feldsee, che molti chiamano Brennsee per non confonderlo con l’omonimo bacino idrico tedesco della Foresta Nera, non ha origini, né un aspetto particolarmente naturale. Esso è in larga parte una creazione dell’uomo finalizzata ad uno scopo ben preciso: generare energia elettrica sfruttando la forza di gravità e l’acqua. I più attenti tra gli osservatori, tuttavia, scrutando verso il suo indirizzo non potranno fare a meno di notare l’assenza di tutti gli elementi cardine di un simile tipo d’installazione: non c’è diga, niente cascata, neppure l’ombra di un deposito delle turbine. Eppure, più a valle, è presente comunque una vasta piscina di raccolta dei fluidi, dalla forma grosso modo rettangolare ed il nome altamente programmatico di Wurtenspeicher. Saremmo di fronte quindi, ad un vero mistero. Se non fosse per il video qua sopra riportato! Che si svolge, per l’appunto, sul fondo del lago! Prima che esso tornasse nuovamente sommerso come il regno del dio Nettuno. È una storia di cofferdam, ed altri apparati temporanei per deviare forzosamente l’apporto degli affluenti montani, al fine per l’appunto di scavare uno (stretto) buco. Mentre i propri colleghi, più a valle, curano la costruzione di una galleria orizzontale. Affinché le aperture s’incontrino, creando un utile spazio vuoto. Ecco, dunque il segnale: sarà soltanto allora che, collegandola nel cantiere sovrastante alla trivella proveniente dall’alto, fu portata in scena una particolare macchina di trivellazione, conforme al concetto metallurgico di un alesatore (in terminologia internazionale: reaming drill). Che poi sarebbe una larga testa, in grado di macinare la pietra e farla cadere sul fondo, mentre risale con forza inarrestabile attraverso il pertugio che la porterà, senza falla, a riveder le stelle.

Leggi tutto

La barca è stabile finché ruota la sfera. E poi…

Il professore deve spingere delicatamente sulle spalle dello studente, data la sua esitazione dovuta a un ragionevole grado di perplessità. Quindi lo fa sedere sulla sedia da ufficio rotante, ultimo miglioramento dell’aula principale del dipartimento di fisica all’università. “Vedi, ragazzo mio…” Inizia quindi: “…È una fortuna che il rettore abbia stipulato un contatto di fornitura con il mobilificio svedese. Perché…” E qui fa una pausa a effetto, mentre preleva qualcosa dall’armadietto dei libri di testo, posizionato in maniera perpendicolare alla cattedra sul fondo della cavea dall’aspetto vagamente teatrale “Questo ci permette di dimostrare l’effetto dell’ENERGIA ANGOLARE” In quel momento si ode un distante boato nei corridoi dell’edificio, probabilmente dovuto alla caduta di un cumulo di libri mal trasportato da un addetto della biblioteca. Approfittando dell’attimo di distrazione, l’insegnante allunga gli avambracci, porgendo qualcosa di sfocato all’allievo, che lo afferra istintivamente spalancando al massimo gli occhi. Ed è per questo, che tutto intorno al ui inizia a girare vorticosamente. “Non preoccuparti!” La voce arriva stranamente cambiata, a causa dell’effetto doppler: “Ti fermerai tra undici o dodici minuti. La cosa che stingi tra le tue mani è una ruota di bicicletta ROTANTE. Non. Lasciarla. Per nessuna ragione!” Un brusio perplesso inizia a diffondersi tra i presenti della lezione, che simili dimostrazioni ricordavano di averle viste ai tempi del liceo. Ma il regista degli eventi ha ancora un asso nella sua manica: “Osservate, gente, questo pulsante rosso. Nel momento preciso in cui l’azionerò, l’interfaccia pentadimensionale installata nel pavimento dell’aula inscriverà la ruota di bicicletta in una sfera, e…” Silenzio in sala. Si ode una protesta indistinguibile dal soggetto dell’insolito esperimento, ormai impossibilitata a fermarsi in qualsivoglia maniera. “…Ma forse sarà meglio che ve lo faccia vedere direttamente.” Con la mimica di un demiurgo biblico, l’uomo compie il suo solenne movimento. Ed è allora che la sedia, ormai simile a un tornado del Wyoming, inizia lentamente ad inclinarsi da una parte. I polpacci dell’occupante, estesi per l’effetto della forza centrifuga, formano un’immagine residua di una coda di pavone che si allarga verso l’esterno. Allora il prof. prende la bacchetta usata per indicare le formule sulla lavagna, e con un colpo secco la insinua nell’area, spingendo con forza di lato il malcapitato pupillo. Improvvisamente, la sedia si ferma. Adesso è l’intera stanza, che sta girando in tutte le direzioni!
Già, Gino, il giroscopio. Può influenzare il movimento di quello che lo circonda. Per l’effetto del moto di precessione, ovvero la variazione dell’asse rotante dovuto alla coppia di accelerazione. In un oggetto che modifica il naturale comportamento delle piattaforme inerziali in maniera… Interessante. Utile, persino, quando adeguatamente veicolata, attraverso marchingegni che sono il più raffinato frutto del pensiero avanzato umano. Strumenti che possono, talvolta, risolvere un problema. Ecco un esempio di problema: Jimmy soffriva di mal di mare. Nonostante suo padre fosse stato un marinaio, e il padre di suo padre e così via, fino al bisnonno primigenio, colui che salpò dal porto delle ancestrali circostanze. Jimmy dunque, stanco di soffrire le pene dell’inferno ogni volta che andava a pescare, pensò di assicurare una pesante sfera d’acciaio alla sua barca a remi, dentro la quale era inscritto un disco rotante motorizzato, sospeso nel vuoto. Ora, ovviamente il suddetto arnese era libero di orientarsi in tutte le direzioni. E altrettanto ovviamente, esso poteva modificare l’effetto delle onde sulla piccola imbarcazione. In che modo? Dipende. Difficile immaginare quale fosse la precisione con cui Jimmy aveva definito i dettagli del suo inusitato approccio alla stabilizzazione marittima, mentre sappiamo invece che il giroscopio navale, da lungo tempo, è uno strumento relativamente diffuso nel suo specifico campo operativo. L’ultimo e più visibilmente moderno, ampiamente pubblicizzato online, prende il nome di Seakeeper, condiviso con l’azienda produttrice del nostro video di apertura, ed è uno strumento di precisione esteriormente non così diverso dal tourbillon di Abraham-Louis Breguet. Soltanto che invece di misurare il passaggio del tempo, si occupa di creare uno spazio in cui sia possibile, persino gradevole, dimenticarsi del trascorrere stesso dei minuti. Si tratta di una scena davvero fantastica a vedersi: il piccolo yacht/traghetto/transatlantico di linea che vengono sconquassati dalle onde di una lieve perturbazione in avvicinamento. Finché gradualmente, pochi minuti alla volta, il loro movimento si riduce e cessa del tutto. Ecco allora la nave nel mezzo della tempesta, perfettamente orizzontale, che sale e scende come trasportata da un montacarichi. All’interno, i passeggeri inconsapevoli giocano allegramente a biliardo.
Cosa è successo, come è possibile tutto questo? La risposta va rintracciata nel sistema d’inclinazione attivo della sfera e in un minuscolo componente presente anche in tutti i nostri moderni smartphone: l’accelerometro, capace d’interpretare le inclinazioni subite da un dato oggetto nello spazio fisico. Ed agire di conseguenza, nel caso presente, spostando in maniera opposta la sfera. “Eureka, ho capito!” Esclama quindi lo studente sulla sedia inscritta nella sfera pentadimensionale improvvisamente ferma nello spazio; ma di nuovo, nessuno può comprendere le sue parole. Il professore è soltanto una macchia sfocata ai margini del suo campo visivo…

Leggi tutto

Vecchi film su dischi di vinile: gli antenati perduti del DVD

Così tante cose, nel mondo della tecnologia, vengono date per scontate! Il segnale digitale è sempre meglio dell’analogico. Il processore calcola, la scheda video elabora. Le tastiere meccaniche risultano più precise. Ed il nastro magnetico è una soluzione inerentemente inferiore a qualsivoglia tipo di disco video, letteralmente cancellato dall’esistenza nel momento stesso in cui qualche cervellone ha scoperto il modo di spalmare un video, come marmellata della prima colazione, permettendo a una lanterna magica di estrarlo e proiettarlo sulle nostre Tv. Ciò che in molti dimenticano, o più semplicemente non si sono mai davvero preoccupati di sapere, è che a partire dal 1978 videocassetta VHS e LaserDisc, il primo disco ottico ad “ampia” diffusione di mercato (si fa per dire) hanno coesistito per anni, semplicemente in forza del fatto che le prime potevano essere impiegate per registrare i programmi televisivi, mentre i secondi presentavano un’immagine più nitida ed un costo di masterizzazione minore per i singoli film. Per non parlare della maniera in cui poter dare inizio allo spettacolo da qualsivoglia punto della registrazione, senza tempi di riavvolgimento di sorta, avrebbe dato adito a un impiego nel campo dei videogiochi, con gli storici cartoni animati e film interattivi dei cosiddetti lasergame (Dragon’s Lair, Space Ace… Tanto per citare due capolavori dell’animatore disneyano Don Bluth, entrambi del 1983).
Ma veniamo, adesso, ad una piega ancor più strana dello spaziotempo dei formati audio-video, un recesso letteralmente inesplorato da tutti coloro che potrebbero provare a definirsi dei millennials, la cui età è semplicemente troppo giovane per aver sperimentato in prima persona i tentativi, da parte di aziende contrapposte, di acquisire il predominio nell’arduo campo dell’entertainment casalingo. Quell’epoca, durata complessivamente un periodo di soli tre anni, in cui più di qualcuno era fermamente convinto che i giradischi dovessero fare un tardivo rientro nei salotti di tutto il mondo, per venire questa volta collegati non [solo] all’impianto audio, bensì direttamente alla Tv. Luce fioca del tubo catodico; un leggero sfarfallio del fermo immagine; il rumore sibilante di un piccolo motore, intento a manovrare la puntina lungo i segni concentrici di quel supporto, per certi versi anacronistico, eppur così stranamente tranquillizzante, nella sua ancestrale familiarità. O almeno ciò pensava la Radio Corporation of America, azienda un tempo potentissima che già nel 1964, attraverso una serie di esperimenti, aveva dimostrato la possibilità di immagazzinare un video all’interno del lungo solco spiraleggiante di una sorta di 33 giri, a patto che per leggerlo si usasse una puntina speciale, basata non sul movimento verticale all’interno dello stesso, bensì un lieve campo elettrico fatto passare direttamente attraverso il “corpo” del film. Ma considerazioni Frankenstein-iane a parte, ciò che RCA tentò di fare, attraverso una campagna pubblicitaria selvaggia e spese ingenti nel campo della ricerca e sviluppo, era irrompere su un segmento di mercato meno estremo del LaserDisc (i lettori costavano circa 400 dollari, contro gli oltre 900 del formato rivale) e film dal costo inferiore rispetto al VHS, considerata l’assenza dell’inerente complessità strutturale di una videocassetta. I vantaggi, tuttavia, finivano qui: il CED (Capacitance Electronic Disc) era un formato a bassa definizione, i cui dischi costruiti in vinile ricoperto di nichel erano talmente delicati, e sensibili alla polvere, che dovevano essere custoditi all’interno di un’apposita custodia, da cui soltanto il lettore avrebbe dovuto/potuto estrarli. Nonostante un simile accorgimento, poi, il semplice fatto di farvi scorrere sopra la puntina tendeva a degradarli, per una quantità di utilizzi possibili che la casa produttrice stimava sui 500 circa. Ma la realtà è che la qualità delle immagini tendeva a degradarsi già molto prima di quel momento. In breve tempo quindi, inesorabilmente, il formato cessò di essere rilevante, trascinando a picco la Radio Company e costringendola a svendere un corposo surplus di lettori invenduti. Partito per l’ultimo viaggio come i grandi dirigibili ante-guerra, il disco video su vinile avrebbe dovuto quindi sparire completamente dal corso della storia. Se non che, in Giappone, qualcuno restò profondamente colpito dai meriti di una simile idea verso l’anno 1978, portando all’immissione sul mercato di un nuovo prodotto entro il 1983. E quel qualcuno era la Nippon Bikutā Kabushiki-gaisha, generalmente abbreviata con un trio di lettere che dovrebbe suonarvi più familiare: JVC.

Leggi tutto