I guai dell’ultima centrale che riceve il combustibile da treni risalenti alla seconda guerra mondiale

Tuzla, con la sua popolazione di 111.000 abitanti, è la terza città più grande della Bosnia-Erzegovina, nonché centro amministrativo dell’omonimo cantone. Tra i principali poli economici e industriali del paese, costituisce anche un centro culturale dalla storia risalente all’epoca del Medioevo, quando era il sito di una fortezza nota in lingua latina come Salines, a causa dei ricchi giacimenti d’estrazione di questa sostanza infinitamente preziosa. Esauriti ormai da tempo i giacimenti di halite economicamente raggiungibili, agli albori della rivoluzione industriale, essa avrebbe trovato la sua fortuna in un diverso tipo di risorsa: il carbone. Soprattutto quello proveniente dalla vicina miniera di Kreka, un tipo di lignite in grado di serbare ancora oggi una riserva di 1.12 miliardi di tonnellate, una delle maggiori di tutta Europa e del mondo. Una fortuna e al tempo stesso significativa dannazione, se si osserva la situazione naturale del paesaggio dopo tali & tante decadi di sfruttamento. Perché mai un luogo simile, in effetti, avrebbe dovuto importare l’energia elettrica attraverso lunghi cavi di approvvigionamento? Questa la domanda che dovettero porsi gli uomini al comando della Jugoslavia socialista nel 1959, quando diedero il via libera alla costruzione dell’imponente centrale termoelettrica a carbone per la compagnia di stato Elektroprivreda Bosne i Hercegovine (EBiH). Con due turbine funzionanti inizialmente da 32 MW ciascuna, ben presto potenziate mediante l’installazione di un’ulteriore unità da 100 MW, altre due da 200 ciascuna ed un’ultima nel 1978 da 215 MW. Un comparto, in altri termini, capace di richiedere ingenti quantità di carbone, il che non avrebbe mai potuto costituire un problema, data l’esistenza di un sistema logistico di trasporto ed approvvigionamento tra le più notevoli eccellenze del paese. Benché nessuno, a conti fatti, si sarebbe mai sognato anche al momento dell’inaugurazione del sito di volerlo definire “all’avanguardia”.
La scena è sottilmente surreale e in grado di lasciare osservatori d’occasione totalmente basiti, benché sia del tutto scevra di alcun elemento tipico delle attrazioni dedicate ai turisti: un sottile pennacchio di fumo si alza sopra l’orizzonte dall’aspetto desolato, finché un suono ed un forma egualmente caratteristiche non permettono di definirne chiaramente la provenienza. Si tratta di una locomotiva, sebbene non del tipo che oggi siamo soliti vedere fare il proprio ingresso in stazione. E neppure un’antiquata locomotiva a diesel, stereotipicamente conforme ai processi funzionali di un classico paese dell’Est Europa. Bensì un qualcosa di direttamente proveniente dai libri di storia, essendo stata costruita con i suoi particolari deflettori o “scudi” laterali circa un’ottantina di anni a questa parte, quando lo sforzo bellico ed imperialista di un paese, la Germania, era riuscito a contagiare l’intero mondo che per esattamente 6 anni sembrò aver dimenticato di essere Civilizzato…

Le motrici che percorrono i binari di Tuzla rientrano in effetti nel desueto repertorio delle cosiddette Kriegslokomotive o Locomotive di Guerra, frutto di un preciso sforzo ingegneristico iniziato all’apice del conflitto, con il fine di approvvigionare la complessa e ponderosa macchina bellica del Reich. È del 1942, in modo particolare, il modello Deutsche Reichsbahn Baureihe 52 (in breve DRB 52) che costituisce il più impiegato nell’odierna mansione, progettato all’epoca dal rinomato ingegnere Richard Paul Wagner, capo dell’installazione dedicata alla ricerca ferroviaria di Grunewald. Una macchina affidabile e resistente, scevra della costante ricerca delle prestazioni elevate tipiche delle controparti britanniche o statunitensi, che sarebbe tuttavia giunta a costituire il principale modello prodotto nelle fabbriche della Polonia occupata nel 1939. Esse costituivano per questo l’assoluto non-plus ultra tecnologico in seguito all’occupazione del territorio yugoslavo, con circa 300 esemplari impiegati dalla Wermacht per l’approvvigionamento di munizioni e altri rifornimenti durante il periodo successivo all’aggressione nota come guerra d’Aprile. Finché dopo il concludersi delle ostilità, in maniera analoga a quanto successo in Unione Sovietica, molti di questi mezzi rimasero successivamente nel territorio del paese, venendo adattati e parzialmente ammodernati in base alle esigenze della popolazione locale. Assieme ad alcuni, meno numerosi esemplari coévi costruiti localmente, tra cui le locomotive JŽ 62 e JŽ 83, la centrale di Tuzla vede dunque giungere quotidianamente i lunghi convogli con ingenti quantità di lignite al seguito, che nei trascorsi anni della crisi economica dovevano essere guardati a vista, causa la disperazione degli abitanti delle campagne che tentavano di assaltarli per rubare combustibile da usare nelle proprie gelide, dimenticate dimore. E c’è da dire che l’impiego di treni a vapore in una simile mansione, benché rivestito da una patina di antico, abbia i propri intrinsechi vantaggi operativi: lo stesso Karl Marx scrisse estensivamente, nel Capitale (1867) del carbone come fluido generativo del progresso, in grado di alimentare e al tempo stesso espandere il territorio interessato dalla presenza vivificatrice della Grande Industria. Così che i treni di Tuzla, oggetto di estensive e continuative operazioni di manutenzione, si trovino al momento in condizioni non propriamente eccelse, ben pochi hanno dubbi che con l’investimento degli attuali circa 500 euro mensili essi potranno continuare ad operare ancora per svariate generazioni a venire. Laddove la fondamentale problematica, allo stato attuale delle circostanze, risulta essere piuttosto il punto d’arrivo di questa retro-futuristica filiera d’approvvigionamento…

La centrale termoelettrica di Tuzla rappresenta in effetti nel suo complesso, all’ombra delle sue tre imponenti ciminiere, il tipico esempio di un impianto costruito con i più avanzati approcci degli anni ’60 e mai rinnovato, risultando ormai da molto tempo non più conforme alle vigenti linee guida sull’impatto e inquinamento ambientale. Con le ingenti quantità di energia prodotta, e conseguente carbone fatto ardere all’interno delle sue capienti fornaci, trasformato in cenere e disperso senza troppe remore all’interno del vicino lago omonimo, soprannominato come il “Morto” causa la totale assenza di una qualsivoglia biosfera superstite. Così come la vegetazione afflitta dai veleni che si sono estesi fino alle falde acquifere languisce coi suoi rami spogli e poche foglie caduche, in attesa di tempi migliori che potrebbero non arrivare mai. Mentre l’aspetto senza dubbio peggiore, animali a parte, resta la notevole quantità di malattie respiratorie e l’insorgenza del cancro nella popolazione umana, costretta dalle circostanze a convivere con ciò che aveva in costituito in origine un motore di prosperità, ma che è ormai più che altro vista come una presenza ostile all’orizzonte, nutrita come manifestazione tangibile dell’entropia e disperazione in Terra. Da qui le accese proteste insorte a partire dal 2014, con l’annuncio di un progetto a lungo termine per l’ampliamento ulteriore della centrale, realizzato in collaborazione con il gruppo cinese Gezhouba, per un investimento di 720 milioni di euro che attende ancora di concretizzarsi, nonostante il sopraggiunto via libera del Parlamento nel 2019. Forse in attesa che nuove scoperte tecnologiche permettano d’implementare metodologie pulite? L’ottimismo, come si usa dire, è sempre la penultima tendenza ad essere accantonata. Dopo il sofferto superamento dei metodi pur sempre efficaci, in alcun modo compromessi dall’insorgere di metodologie migliori. E chi si deve accontentarsi, come direbbe qualcuno, continuerà a bruciare (carburanti fossili). Mentre tutti gli altri costruiranno fonti rinnovabili, senza per questo rinunciare al combustibile come risorsa addizionale da impiegare “rigorosamente” per l’aumento di esigenze future. Come quello dovuto alle automobili cosiddette ad emissioni zero, che naturalmente, in qualche modo, dovranno pur essere ricaricate.

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