L’oscuro paradosso del miele creato dalla putrefazione della carne

Strisciante riesce ad essere il sospetto, tanto spesso parte di una chiara rimembranza, per cui esistono tra cielo e terra una maggiore quantità di… Cose. Superiore per numero, e l’effettiva varietà di premesse, rispetto a quelle concepite in mondo innato dalla nostra umana filosofia d’intenti. Cose magnifiche. Cose terribili. Creature sia magnifiche, che orripilanti. Api: sono mai vissute, in mezzo a noi, creature maggiormente degne di un senso di stima reciproca, per la capacità di dare un senso dolce all’esistenza di una collettività indistinta? Fatta sia di esseri piccoli, e ronzanti, che dei loro “amministratori” e “padroni”, dalle dimensioni comparabilmente spropositate. Ponderosi apicoltori, che già molti secoli prima d’indossare la tuta protettiva che costituisce la loro divisa, e senza che nessuno avesse avuto modo d’imparare il metodo per estrarre e raffinare lo zucchero, poterono in tal modo assaporare il gusto futuribile che riesce a dare assuefazione. L’aurea sostanza appiccicosa che colora, poco a poco, ogni possibile sentiero per l’accesso alla felicità. Purché si riesca a trarre fuori dal contesto quel processo generativo che, partendo dal nettare dei fiori, include assieme ad esso il prodotto collaterale dei parassiti delle piante, masticato e attentamente rigurgitato dall’insetto “superiore” che noi tanto amiamo. Per poi essere colato, con estrema cura ed attenzione, all’interno della pratica struttura di un favo pronto ad essere raccolto, filtrato e servito in tavola per l’ora della colazione. Fatto sta che con un processo simile ma sostanzialmente collaterale a questo, un tipo diverso di appartenente all’ordine degli Imenotteri può riuscire a saltare alcuni di questi passaggi. Aggiungendone uno in particolare, che potrebbe riuscire a cambiare drasticamente le vostre impressioni in merito all’intera faccenda.
Il primo a notarlo fu il ricercatore ed entomologo dello Smithsonian Tropical Institute, David Roubik, che nell’ormai remoto 1982 raccolse i dati di una serie di spedizioni e ricerche sul campo effettuate in America Centrale da suoi colleghi, notando linee guida comuni ad esattamente tre specie di api appartenenti al genere Trigona, note per il colore nero e l’assenza di un pungiglione capace di far male all’uomo. Le quali apparivano anche prive, in maniera precedentemente ignorata dai suoi colleghi, dei caratteristici peli sulle zampe normalmente utilizzato da queste creature al fine d’intrappolare il nettare floreale da riportare fino all’alveare. Possedendo invece grandi mandibole, abbastanza forti da riuscire a intaccare materiali fibrosi e resistenti. Lasciando sorgere un sospetto che nel corso dell’articolo stesso, lo scienziato chiarisce riportando un’osservazione effettuata nel territorio panamense: di alcune carcasse di lucertola e rospo, nei dintorni di un grande sito abitato, letteralmente ricoperte da un numero tra 60 ed 80 di queste api ciascuna… Così ridotte allo stato di meri scheletri entro un periodo di appena 8-12 ore. Ora il concetto d’insetti che mangiano la carne putrefatta non è certamente nuovo. Le stesse vespe, non poi così diverse dal punto di vista morfologico, sono notoriamente solite mettere in pratica simili battute di caccia, che mirano a riportare presso i loro nidi validi apporti proteici per favorire lo sviluppo delle larve (quando non arrivano a deporle, direttamente, nel corpo della loro preda designata). Ma l’aspetto particolarmente interessante dell’intera faccenda, ulteriormente approfondita negli anni successivi ma realmente chiarita soltanto nell’ultimo decennio, è che il ciclo vitale di queste tre particolari specie d’api non è affatto diverso da quello delle più famose volatrici che vediamo riprodotte sulle scatole dei corn flakes. Riuscendo a prevedere la stessa costruzione di un ambiente in materiale termoplastico di origine organica all’interno del quale custodire le proprie larve. La cui assenza di un apparato boccale realmente funzionale prevede l’assunzione esclusiva di quell’aurea e ben nota sostanza, che copiosamente cola dai cucchiai vegani dei comuni giorni. Se non che, mettendo assieme i pezzi di un simile puzzle, non è poi così difficile capire cosa, esattamente, possa certe volte esserci all’interno!

L’esperto allevatore di formiche AntsCanada si cimentava in questo video con un alveare di Trigona. Scoprendo a sue spese (o con atipico divertimento) la maniera in cui tali genìe distinte sembrassero andare tutt’altro che d’accordo.

Lo stesso Roubik quindi, ritornando più volte sull’argomento, avrebbe approfondito le caratteristiche più distintive delle tre specie Trigona crassipes, T. necrophaga e T. hypogea, concentrate primariamente presso le zone tropicali del Nuovo Mondo. Soltanto la prima delle quali dedita ad un comportamento aggressivo nei confronti delle minacce percepite all’alveare, mentre la seconda ben nota per la capacità di attaccare e cacciare via altri insetti tra cui soprattutto le formiche, potenziali concorrenti per quanto concerne la consumazione dei preziosi resti. Mentre nel caso del terzo gruppo, come può essere dedotto dal nome, un sistema di nascoste gallerie sotterranee risulta capace di agire al fine di proteggere la comunità, rendendo maggiormente superflua qualsivoglia inclinazione all’ostilità senza quartiere. Mentre Crassipes e necrophaga, molto simili tra loro anche nell’aspetto morfologico una volta raggiunta l’età adulta, costruiscono i loro nidi soprattutto nel cavo degli alberi, lasciando presumere l’esistenza di un antenato comune. Dotazione altrettanto attribuibile a tutte e tre le specie, nonché le altre appartenenti al genere Trigona, risulta essere la particolare composizione dell’alveare stesso creato non tramite l’impiego di cera, bensì una particolare sostanza chiamata batumen, composta in percentuale sensibile da terra, escrementi ed altro materiale di scarto portato ad indurirsi mediante l’uso delle secrezioni delle api. Un’altra importante differenza, rispetto alle colleghe tanto largamente sfruttate nell’industria del miele, è l’incapacità di prodursi nella celebre danza finalizzata ad indicare la posizione di una fonte di cibo, qui sostituita dalla disposizione di una scia feromonica capace di condurre dalla porta di casa fino alla carcassa da spolpare, senza nessuna possibilità di perdere la via del ritorno. Ed è davvero interessante, per quanto concerne quest’intera tipologia d’insetti, notare la loro propensione a codificare e tanto spesso decifrare il codice di comunità rivali, riuscendo a scovare una possibile risorsa utile a risolvere le proprie esigenze di sostentamento. E dando inizio a conflitti che, talvolta, possono degenerare in vere e proprie guerre, combattute anche tra precedenti fratelli e sorelle data la quantità estremamente elevata di regine prodotte da queste api, probabilmente grazie all’ausilio del contenuto proteico del loro miele. Per quanto concerne l’impollinazione delle piante, la funzione di questi insetti risulta essere d’altra parte ragionevolmente limitata, sebbene riescano a trasportare con se le spore di talune specie di funghi, particolarmente abili ad imitare il caratteristico odore delle carogne.
La consumazione del cadavere propriamente detta inizia quindi, come spesso capita con gli insetti e non solo, a partire dagli occhi, che diventano in tal modo una via d’accesso all’interno del corpo del vertebrato. Una volta che le api si trovano all’interno, provvedono perciò a cospargere la carne più coriacea di un sottile velo di saliva corrosiva, che rapidamente ne disgrega la compattezza, affinché possano risucchiarla all’interno dei loro stomaci capienti. Una volta spiccato il volo, e fatto ritorno alla casa base, provvederanno infine a rigurgitare tale orripilante sostanza, affinché operaie specializzate possano effettuarne il mescolamento con piccole quantità di nettare, polline, secrezioni d’altri artropodi, frutta marcescente e feci. Verso una miscela sottoposta ad idrolisi mediante l’uso degli enzimi contenuti nella saliva delle api, che lentamente assume un aspetto sostanzialmente indistinguibile dal miele che tutti conosciamo in maniera particolarmente approfondita. Ed anche l’odore ed il sapore, secondo quanto riportato in uno studio di Roubik e Joao M.F. Camargo del 1989, non potendo fare a meno di suscitare un certo senso di sorpresa in chi potesse aspettarsi qualcosa di letteralmente incommestibile da un così atipico processo generativo. Ciò detto, l’effettiva consumazione reiterata o persino commerciale del miele di queste particolari Trigona parrebbe particolarmente poco pratica, non soltanto per la quantità relativamente bassa prodotta da un singolo alveare (che comunque non è mai vasto quanto quello di un’ape del tipo generalmente addomesticato) ma anche per la maniere in cui esso viene deposto all’interno di singole cellette simili a “pentole” disseminate in vari punti dell’alveare, rendendone particolarmente difficile la raccolta. Il che è l’ulteriore riprova, se mai potesse essercene la necessità, che sebbene molte cose esistano tra cielo e terra, non tutte siano per forza appannaggio, né inoppugnabile competenza, della brulicante e inconoscibile massa di noialtri umani.

Secondo gli studi effettuati sull’argomento, anche le Trigona delle tre specie così dette “avvoltoio” si nutrono almeno in parte di fiori. Utilizzati assieme ad… Altri tipi di sostanze, al fine di creare il carburante che permette all’alveare di prolungare la propria esistenza.

Api buone, api cattive, api che fanno semplicemente il proprio dovere, mettendo in pratica l’insegnamento autonomo che gli è stato donato dai processi dell’evoluzione passata. Forse l’errore è proprio il tentativo di connotarne l’operato, attraverso metodi e scale di valore che semplicemente non appartengono, né potranno mai appartenere, a tutte coloro che praticano gli schemi della più complessa e stratificata condivisione. Api oltre meri costrutti morali (l’altruismo) o politici (il comunismo) semplicemente perché ciò che fanno, è quello che riescono a fare meglio.
Ed allora perché mai dovremmo provare un istintivo senso di terrore e diffidenza, verso coloro che trasformano in cadaveri in prezioso nettare che da la vita? Laddove nulla scompare, ma tutto si trasforma e fluisce verso atomi dalla composizione… Differente. Che potranno anche non essere “migliori” per semplice derivazione logica, ma in qualche modo risultano dagli schemi ereditari di un apiario metodo di progressione. E forse proprio per questo, già meriterebbero di stare sopra un piedistallo, all’interno di un barattolo dorato.

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