La cosa mostruosa che occlude il passaggio della cloaca

Liberatorio è il gesto rapido, fondato su un principio tecnologico, che consiste nella semplice pressione di un pulsante murario. Atto a scatenare, nello spazio definito dalla lucida e biancastra porcellana, la versione attentamente circoscritta di una piccola cascata: acqua che trascina, flusso che cancella, spedizione via lontano di ogni cosa lurida e indesiderata. Inclusa carta igienica e purtroppo qualche volta, soprattutto nei paesi di matrice anglosassone, il problematico strumento della salvietta profumata, la cui scatola riporta rigorosamente il termine flushable: scaricabile nello sciacquone delle casalinghe circostanze. Nessun problema di tipo logistico, per la più importante implementazione urbanistica dell’era tardo-rinascimentale MA. Considerate solo per un attimo, le implicazioni pratiche di un grande ambiente abitativo. Megalopoli di 8, 10, anche 12 milioni di abitanti, ciascuno di essi attento a preservare la purezza del suo preciso territorio abitativo, sfruttando a massimo regime quei condotti sotterranei, orribili e segreti, che la gente chiama sottovoce le “fognature”. Dove tutto è solito procedere nella maniera prefissata, tranne quando, per un caso del destino, smette all’improvviso di farlo. Ed è allora che l’inferno stesso, senza pregiudizi o remore di sorta, riesce a rendersi istantaneamente manifesto su questa Terra. Alla forgia delle anime, per il risveglio di una “cosa” senza volto, forma, o pietà di sorta…
E dire che la genesi di questo essere può presentarsi con un volto familiare ed amico. Hai presente: verde? Alto? Frondoso? Albero dentro l’aiuola? Quale implicazione sconveniente potrebbe mai esserci, nel più accessibile e autosufficiente degli arredi viventi, tanto spesso usato per creare spazi ombrosi, nelle strade di maggior prestigio o percorribilità all’interno di un contesto altrimenti asfaltato. Salvo che la pianta ad alto fusto, per sua implicita natura, possiede entro se stessa il seme di un’irrimediabile vendetta. Così radici serpeggianti, procedendo perpendicolari alla sottile linea ideale che divide il sottosuolo privo di sostanze nutritive dalla superficie, progressivamente giungono fino al grande muro cementizio del passaggio fognario. E con l’insistenza che caratterizza tutti quei processi naturali, gradualmente causano piccole crepe nelle impenetrabili pareti. Nient’altro che insignificanti imperfezioni. Bulbose preminenze che introducono l’irregolarità, laddove tutto scorre (πάντα ῥεῖ) secondo il massimo principio universale dell’Universo. Eppur così come la piccola palla di neve, nasce, cresce e si trasforma in un’enorme valanga, lo stesso avviene per l’ostacolo che impatta il flusso dei liquami, arricchito di una certa quantità di flushables. Che la teoria vorrebbe totalmente biodegradabili. Ma la pratica, sa si… Tanto che ad un certo punto, in quel fatale punto, un vortice si forma e inizia ad autoalimentarsi, rallentando quel che corre ogni minuto verso la distante laguna dell’irraggiungibile salvezza. I fazzolettini si annodano. Ed è allora che le cose, in maniera prevedibile, prendono una piega tanto orribile ed inaspettata.
Ecce fatberg: la parola macedonia (alias portmanteau) formata per la prima volta nel 2008 dai due termini iceberg e fat, ovvero “grasso” sebbene tale semplice definizione riesca largamente a mancare il punto chiave dell’intera faccenda. Ciò perché la prototipica montagna di ghiaccio galleggiante negli oceani, staccatosi dalle isole dei poli più remoti, è un’esistenza vagabonda per definizione, che segue il proprio fato tra le onde inclini a trasportarla via, lontano. Laddove l’esistenza ad essa accomunata, nel profondo delle tenebre maleodoranti, quando nasce non si muove dal suo luogo di origine ed appartenenza. Inamovibile ed eterno, creando l’ostruzione che persiste costituendo una barriera che un poco alla volta, compromette il funzionamento dell’impianto di scarico cittadino. Ponendo le basi di una catastrofe persino troppo orribile da immaginare…

Nota: nel video iniziale gli addetti della stazione fognaria di Malabar, a Sydney, spiegano all’inviato del Guardian le potenziali problematiche derivanti dallo scarico scriteriato di salviette umide e sostanze oleose. Pratiche da cui deriva, per loro, uno sforzo costante nel tentativo senza speranza di arginare l’irrimediabile disastro finale.

Non c’è niente che un colorato diagramma, con allegre molecole danzanti, possa fallire nel rendere almeno in qualche surreale misura, attraente. Nessuno negherà infatti che i fatberg siano, anch’essi, frutto dei magnifici processi che regolano il mondo e la natura. Distanza di sicurezza permettendo.

Se le strade di superfice costituiscono invero, dunque, le arterie di quel grande organismo composito che è l’ambiente urbano, in modo analogo i passaggi sotterranei sono l’intestino di quest’ultimo, fondamentale sentiero percorso da ogni forma più basica e finale della fonte di ogni nutrimento, sogno ed ambizione umana. Sciocco sarebbe tuttavia pensare che ogni proposito di “vita”, a quel punto, sia stato spremuto via dalle acque reflue cariche di scorie ancora estremamente valide ed interessanti. Particolarmente per quei microrganismi batterici, che abbarbicati come cirripedi alle pareti del passaggio, lentamente replicano se stessi e colonizzano ogni ultimo centimetro a disposizione. Continuando a fare, attraverso l’incedere dei giorni, ciò che gli riesce meglio. Il problema non è dunque tale biopellicola (o biofilm) in quanto tale, bensì la reazione metabolica che essa costantemente produce, prendendo il solfato di calcio presente nelle acque reflue e trasformandolo in H2SO4 (Acido solforico) che a sua volta reagendo con la calce delle pareti fognarie, causa la formazione di una rete di sottili fratture ricolme di una ragionevole approssimazione del gesso. Ed è a questo punto, grazie alla copiosa quantità di sostanze grasse ed oleose scaricate ogni giorno attraverso i gabinetti degli ambienti di superficie, che inizia a verificarsi il processo chimico della saponificazione. Quasi troppo orribile, a dirsi: così che i liquami un tempo necessariamente liquidi, per poter essere sospinti via lontano, formano una massa totalmente solida e collosa, in grado di coprire lo strato batterico e cementarsi ad esso. In altri termini, il fatberg che minaccia, con la sua presenza, l’esistenza continuativa degli agglomerati urbani.
Assurto alla coscienza pubblica nel corso dell’ultimo decennio, successivamente ad una serie di casi particolarmente eclatanti verificatosi nel territorio urbano di Londra con le sue arretrate infrastrutture di epoca vittoriana, l’ostruzione fognaria per massima eccellenza può raggiungere proporzioni assolutamente spropositate: vedi il caso del titano da 250 metri di lunghezza, e 130 tonnellate di peso, laboriosamente rimosso dalle fogne del quartiere di Whitechapel a settembre del 2017. Tanto magnifico da aver indotto i curatori del Museo di Londra, entro il febbraio successivo, ad esporre una “fetta” attentamente disidratata e sigillata del mostruoso agglomerato, per il pubblico ludibrio ed una presa di coscienza necessariamente tardiva. Anche tralasciando un simile caso limite, tuttavia, i fatberg raggiungono frequentemente dimensioni preoccupanti, che la stampa ama accomunare a specifici veicoli del contesto contemporaneo: vedi l’autobus da 15 tonnellate scoperto a Kingston upon Thames nel 2013, o il Boeing 747 da 80 metri di Shepherd’s Bush, risalente all’anno successivo. Altri paesi, in epoca più recente, si sono trovati a dover gestire i propri ricorrenti leviatani, come le città australiane di Melbourne e Sydney verso la fine degli anni 2010. Persino Tokyo ha recentemente reso pubblici i piani regolatori per il potenziamento dei propri impianti fognari, inclusa la manutenzione approfondita delle pareti rese ruvide dall’usura, potenziali punti alla base di un futuro possibile ingorgo delle acque reflue.
Prevenire, piuttosto che mitigare la formazione dei fatberg è quindi un processo che potremmo definire al tempo stesso semplice, ma complesso. Questo perché la semplice implementazione di strutture a regola d’arte non può bastare a risolvere la situazione, come esemplificato dalla continuativa formazione delle ostruzioni nei quartieri in cui è presente un maggior numero di ristoranti. Per i quali risulta spesso impossibile bloccare il 100% del grasso e l’olio inviato all’interno degli scarichi, contribuendo alla genesi del mostro. Mentre una legislazione specifica, ancora oggi, continua a mancare per la produzione e distribuzione delle salviette umide, la cui intera comunicazione di marketing risulta basata sul concetto di “scaricabilità” subito dopo l’impiego, sebbene sia stato dimostrato a più riprese come essi non siano in grado di disintegrarsi una volta immersi in acqua, come avviene per la comuna carta igienica delle più prosaiche circostanze.

Veri eroi dei nostri tempi, uomini e donne che affrontano il verme oscuro sopìto nel tenebroso budello. Quale stipendio viene riservato, a costoro, dall’attuale struttura sociale del mondo? Non abbastanza. Mai abbastanza.

Ma la questione fondamentale che continua a porre in essere i migliori presupposti per la nascita e crescita dei fatberg, è che essi hanno la subdola abitudine di formarsi nei punti in cui le fogne si congiungono, formando i più ampi passaggi analoghi a strade di scorrimento o vere e proprie autostrade fecali. Ragion per cui, essendo i figli della “colpa di tutti” essi finiscono, nella maggior parte dei casi, per essere la “colpa di nessuno”. In fondo scaricare uno, due bicchieri di olio usato per friggere, è un piccolo crimine del tutto privo di vittime, vero? E se uso salviette umide da tanti anni senza mai aver intasato il mio scarico, come potrei mai contribuire con tale pratica ad una catastrofe fognaria incipiente?
Perché si sa che la più grande capacità del diavolo, purtroppo, è sempre stata quella di rendersi invisibile a chi vive tranquillamente in Terra, senza il giusto numero di preoccupazioni incipienti. E lo stesso vale, per i suoi figli più solidi ed inamovibili, fatti di grasso, fazzolettini, cellulosa, calce, acido, batteri, sapone, m

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