Il vero significato della cerimonia olimpica di Pyeongchang

Nella giornata del 9 febbraio 2018, seguendo l’antica usanza popolare in tutto l’Estremo Oriente, la festa è iniziata facendo decollare una certa quantità di luci splendenti. Le tradizionali lanterne cinesi, un tempo rosse di fiamma, oggi del bianco clinico tipico delle luci al LED. Agli spettatori dello Stadio Olimpico, tuttavia, non può essere sfuggita la fondamentale differenza: piuttosto che il solenne silenzio delle feste e dei rituali religiosi, risuonava nel cielo di Corea un possente ronzio, come per la cavalcata di un nugolo di Valchirie Cyberpunk. A pochi minuti dall’inizio, tra lo stupore generale, l’impossibile è capitato: spostandosi in direzione contraria al vento e alla gravità, gli oggetti volanti hanno cambiato direzione. Così che in cielo, pochi secondi dopo… Impossibile sbagliarsi! Figuravano, alti ed irraggiungibili, cinque cerchi olimpici interconnessi tra di loro. E a partire da quelli, seguendo il copione di questo sciame di storni meccanici, è apparsa la figura di uno snowboarder, la punta della tavola diretta verso l’indirizzo della stella del Nord. O almeno, questa era l’idea originaria. Poiché a causa della temperatura di -9 gradi (che non ha impedito all’atleta di Tonga Pita Taufatofua di sfilare seminudo) e dei forti venti locali, si è optato alla fine per uno show mostrato in differita. Dopo tutto, i 1.218 droni “Shooting Star” della Intel, già usati durante lo show d’intermezzo del SuperBowl, non costano esattamente una bazzecola. Né possono sovvertire le leggi implicite della natura, come avveniva per le creature mitiche delle antiche leggende coreane.
Il tema astrale, in modo particolare, era stato reso centrale fin da subito: nella primissima scena dell’evento diretto dal celebre regista teatrale ed attore Yang Jung Woong, in cui i cinque bambini di un idealizzato ambiente rurale, ciascuno vestito di un colore corrispondente ad un cerchio olimpico nonché uno degli elementi della filosofia asiatica (Verde: Legno, Rosso: Fuoco, Giallo: Terra, Bianco: Metallo e Nero: Acqua) trovavano nella neve dell’inverno una mistica sfera dei cieli, che li guidava verso una caverna considerata sacra dai loro antenati. A partire dalla quale, bassorilievi parietali simili a quelli delle tombe dinastiche dei rei Goguryeo (primo secolo a.C.) prendevano vita, facendo il loro ingresso in scena a guisa di vivide creature all’interno dell’arena della kermesse. A partire dalla tigre bianca dell’Ovest Sohoorang, mascotte ufficiale dei Giochi Olimpici, animata da un team di ballerini secondo i ritmi e le modalità della wushi, la danza cinese del leone, creatura tradizionalmente posta a guardia dei templi di tutta l’Asia. Con i suoi tre compagni-marionetta, ciascuno indicativo di una direzione cardinale: la Tartaruga/Serpente del Nord, il Drago Azzurro dell’Est, la Fenice Vermiglia del Sud. Un concetto quaternario, legato anche al succedersi delle stagioni. E così come lo stesso regista era stato famoso per la sua trasposizione coreana di svariati drammi shakespeariani, tra cui Sogno di Mezza Estate, il succedersi delle scene sotto gli occhi del mondo è proseguito con una visione onirica del più profondo inverno, completamente incentrata sul ricorrere del colore bianco: bianco era l’abito delle danzatrici di accompagnamento, come candida appariva la pletora di mostri e animali che hanno iniziato a sfilare dietro le loro code, tra cui figuravano scimmie, una mantide religiosa e un grande orso. Possibile riferimento, quest’ultimo, al mito della creazione in cui una simile creatura fu la prima ad essere elevata dal sovrano dei cieli Hwangun allo stato di essere umano, avendo rispettato la sua direttiva di nutrirsi solamente di artemisia ed aglio per il periodo di un mese. Occasione in cui invece la sua amica tigre fallì, fuggendo nella foresta. L’orso quindi avrà un figlio di nome Tangun, destinato a diventare il primo sovrano della dinastia Joseon (1392 d.C.) Ma il tempo di soffermarsi nelle leggende passate è già quasi al termine, quando dai margini della scena fa il suo ingresso il personaggio destinato a colpire maggiormente l’immaginazione del pubblico e lasciare basito più di uno spettatore, anche di nazionalità coreana: chi sarà mai il misterioso uccello dal volto umano e il cappello di un funzionario di corte, simile a un cigno dalla coda biforcuta, che si dispone al centro dei quattro animali guardiani, per conversare a lungo con i bambini sperduti nell’incredibile mondo della fantasia?

C’era un che di meccanico ed astratto nelle marionette usate durante la cerimonia, che ricordava vagamente le celebri esibizioni di strada del gruppo artistico francese di La Machine. I riferimenti mitologici, tuttavia, si trovavano decisamente più al centro dell’intento autorale.

“Quel volto privo di sentimenti… Mi è sembrato di essere in un film dell’orrore.” riporta da Twitter il sito del giornale Korea Herald, citando il tweet di un abitante locale. È in effetti comprensibile come più di un coreano, nonostante l’innata padronanza della cultura popolare, abbia fallito nel riconoscere Inmyeonjo, l’uccello leggendario tenuto in alta considerazione nel regno di Goguryeo (da cui proviene, incidentalmente la stessa parola “Corea”) tradizionalmente legato alla figura del re Tongmyong e per questo rappresentato all’interno del suo mausoleo. Si tratta di una scelta estremamente significativa dal punto di vista politico, che si richiama ad un periodo privo di qualsivoglia divisione tra Nord e Sud, quando la capitale fu più volte spostata, fino ad approdare sulle rive del fiume Taedong, presso la città oggi fondamentale di Pyongyang. Il sovrano Tongmyong (regno: 37 – 19 a.C.) fu una figura importante, che riuscì a prevalere in una disputa dinastica per riunire i due rami della famiglia, molto prima che i suoi discendenti soccombessero, assieme a quelli di Gaya e Baekje, al potere crescente della dinastia Silla, alleata con la Cina degli Han. Esiste una leggenda relativa al modo in cui sarebbe venuto al mondo, secondo cui sarebbe fuoriuscito da un uovo, dopo che quest’ultimo era stato fecondato dai raggi del sole, secondo le modalità miracolose che si richiamano a quelle di taluni saggi della tradizione taoista. Il ruolo dei volatili, quindi, rimase fondamentale per la cultura del suo regno, dove l’essere supremo era un corvo a tre zampe, e la Fenice compariva frequentemente, per influenzare e proporre le decisioni dei membri della classe al potere. Eccezionale persino in questo contesto, il candido Inmyeonjo appariva soltanto nelle epoche di assoluta pace ed armonia, eventualità tutt’altro che frequente nel suo paese di appartenenza. Costituendo una visione così naturalmente, implacabilmente coreana, rispetto alle creature leggendarie della filosofia cinese, importate dai paesi del settentrione.
Terminata la parentesi mitologica, quindi, inizia una celebrazione dello sfrenato presente: il gruppo musicale olimpico, coordinandosi con i tamburi a clessidra janngu, esegue un sincopato numero musicale, mentre i figuranti, con precisione millimetrica, si dispongono nella forma del Taegeukgi, la Bandiera Suprema che identifica da sempre la Corea del Sud. Si possono unire le squadre olimpiche. Si può cercare il disgelo. Però giammai si dimentichi, poco prima della solenne sfilata degli atleti, chi è il vero padrone di casa, quaggiù. Prima dell’intermezzo, un’ultima meraviglia: quella che poteva essere soltanto una rete di fibre ottiche si solleva dal suolo dello Stadio Olimpico, per rappresentare con luci sfavillanti, ancora una volta, la sfera delle stelle celesti, che aveva mostrato la via ai cinque bambini prima dell’inizio di questo fantastico viaggio.

Forse le riconoscerete nella versione iper-moderna delle prime scene della cerimonia: sono le danzatrici Gainjeonmokdan, depositarie di una tradizione risalente al regno di Hyomyeong Seja (XIX secolo). Si riteneva che esse dovessero anticipare, con il movimento delle lunghe maniche, le oscillazioni nel vento di una peonia.

Dopo la parte istituzionale di qualsiasi olimpiade che si rispetti, con le squadre di atleti ritornate di nuovo negli spazi coperti (con probabile sollievo dell’impavido atleta tongano) si torna nuovamente alla visione offertaci dal regista Yang Jung Woong. I cinque bambini, questa volta, compaiono su una grande zattera, mentre un gioco di proiezioni trasforma lo stadio nella superficie dell’importantissimo fiume Han, caposaldo geografico della Corea. Una figura in abito tradizionale canta la versione più lenta e solenne immaginabile della canzone popolare Arirang, secondo la leggenda riferita ad un giovane, che nel tentativo di cogliere i fiori desiderati dalla sua innamorata, cadde nelle acque  e annegò nelle acque del fiume. Ben presto, la scena si sposta nella più sfrenata modernità: ballerini armati di strane porte luminose, un possibile riferimento alle televisioni Samsung ed LG, si dispongono in figure geometriche sempre più complesse, mentre alla folla si aggiungono strane figure in abito da laboratorio.
La regia, a questo punto, stacca di nuovo sul materiale in differita, mostrando i bambini protagonisti che entrano all’interno di portali spazio-temporali, che li trasportano verso l’età adulta. Ciascuno di loro, da quel momento, viene mostrato come un adulto di successo in un diverso campo dello scibile umano. C’è il dottore che opera al cervello utilizzando un qualche sistema di realtà virtuale (davvero molto pratico!) mentre la sua amichetta dell’età scolare, oggi una pittrice affermata, conversa amabilmente con una sorta di androide con braccia e gambe in pieno stile Terminator. Un altro di loro lavora come insegnante in un ambiente tradizionale, tracciando in classe le lettere dell’alfabeto nazionale Hangul (patrimonio dell’umanità) le quali poi prendono vita, fluttuando in una fantasia floreale nell’aria. La terza collega canta nel ruolo di star della J-Pop e l’altro…Guida l’automobile? Oppure si guida da sola? Assieme a loro, la Corea delle fantastiche creature è cresciuta, dimostrando tutta la sua creatività innata sul palcoscenico del mondo, che non può che accoglierla con grazia ed entusiasmo. Ma non c’è tempo di soffermarsi su tutto questo. Già è giunto il momento che tutti aspettavano, quello dell’accensione della torcia. Le telecamere tornano nello stadio, dove ancora riecheggia il suono, decisamente mirato a sdrammatizzare, della canzone di PSY Gangnam Style. Un commento satirico alla frivolezza della cultura moderna… Siamo sicuri che sia del tutto un caso?
Mentre ci interroghiamo su questo, già un serpeggiante marchingegno incendiario sorge dal pozzo nascosto tra i cristalli di ghiaccio, articolandosi verso lo spazio del cielo distante. Un movimento fluido, il soffio del vento. E la fiamma che arde, come faceva dal tempo dei Greci. Il prologo è terminato. Si lasci spazio ad un nuovo, Primo capitolo dello Sport.
Chissà quante medaglie andranno, stavolta, al paese temporaneamente unito nel nome della dea della Vittoria. E se potrà finalmente tornare, per qualche tempo almeno, ad assomigliare a una tigre ferocemente aggrappata al cornicione d’Asia…

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