L’unguento che rende ignifughe le persone

Impugnare una manciata di magnesio fatto a pezzettini, il più leggero dei metalli utili all’industria contemporanea, in campo elettrico, elettronico, per l’aviazione. Non sembra troppo difficile… Finché non si aggiunge, all’equazione, la problematica presenza di un cerino. Acceso, naturalmente! Ora, certamente già saprete quanto sia pericoloso, in potenza, tale materiale. Al punto che il solo guardarlo mentre brucia alla sua naturale temperatura di oltre 3000 gradi, a seguito di un frangente pericoloso ed imprevisto, può causare danni immediati alla vista. È proprio per questo che il rappresentante della FireIce vestito come un ufficiale del servizio antincendio mentre impugna l’indescrivibile palla di fuoco nella sua mano sinistra per la dimostrazione, sceglie di volgere lo sguardo altrove…
Come immaginate il pompiere del futuro? L’uomo addestrato, ed equipaggiato, per affrontare una delle emergenze che da sempre vanno a braccetto con l’intento di aggregazione dei popoli, quasi come se ogni invenzione utile del mondo, dall’acqua calda ai computer, non potesse prescindere dall’imbrigliare un potenziale d’incandescenza pari all’alito del drago ancestrale. Finché arriva… L’incidente. Che combatti con la pompa, con l’idrante, con l’accetta. E una tuta altamente tecnologica, del tutto impervia ad ogni lingua di fiamma che dovesse tentare di ghermirla. Droni, fibre ottiche, sistemi di telepresenza. Oltre allo strumento senza tempo del coraggio. E se vi dicessi che già oggi esiste un singolo sistema ancora più efficace di ciascuno di questi citati, forse escluso l’ultimo, ma pur sempre un qualche cosa che permette di risolvere il problema alla radice? Immaginate un vortice di lapilli, come l’eruzione di un vulcano fuoriuscita da un tombino. Allarme, signori! I cavi elettrici sepolti sono già cenere, per l’effetto di un cortocircuito accidentale. E il dipartimento che combatte strenuamente, per lunghi minuti ed ore, nel complesso tentativo di salvare gli edifici più vicini. Sembra quasi, a ben guardarli, che questi mutanti non temano la morte, mentre s’inoltrano all’interno delle porte incorniciate dal colore dell’Inferno. Perché oltre alla divisa, non indossano particolari protezioni. Qualcuno ha persino le maniche corte. Finché l’asse della battaglia non volge a loro (e nostro) favore, gradualmente, e tutto ciò che resta è qualche mero focolaio nei giardini circostanti. A quel punto il loro addetto inizia il giro di perlustrazione. Ogni volta che lui trova una fiammella, vi appoggia sopra delicatamente la mano. E ogni volta, quella lì si spegne, senza provocare ustioni.
È una di quelle questioni che una volta prese in considerazione, gettano dei dubbi sullo schema generale del progresso e della scienza tecnica in particolare. Lo sapete che il fuoco, come elemento, sono anni ormai che è stato formalmente ed effettivamente sconfitto? Tutto questo grazie all’uso di una gamma di prodotti, definiti gel ignifughi, capaci di neutralizzarne totalmente l’esistenza. E sia chiaro che non stiamo parlando di una semplice sostanza da gettarvi sopra in caso d’emergenza, come il contenuto di un comune estintore (non che sia un’approccio privo di efficacia) ma piuttosto il fluido, semi-denso e appiccicoso, che può essere disposto in via del tutto preventiva, potendo poi contare su diverse ore, se non giorni, di totale immunità. Questa classe di prodotti nasce verso l’inizio degli anni ’90, quando il pompiere della Florida John Bartlett, durante un intervento di routine per l’incendio di una discarica, ebbe l’occasione di notare un qualche cosa d’imprevisto. Ovvero che al passaggio delle fiamme, e l’incenerimento pressoché completo della spazzatura, c’era un qualche cosa che pareva non subire nessun tipo di conseguenza. E quel qualcosa erano i pannolini usa-e-getta di ultima generazione. Egli fece le sue prove. E qualche esperimento. Quindi, dopo attente considerazioni, giunse alla conclusione che questo avvenisse proprio in funzione della polvere assorbente al loro interno, una sostanza chimica nota con il nome di poliacrilato. Non troppo diversa dal contenuto di svariate sostanze o materiali basati sull’acrilico, come il plexiglass o la supercolla. Fu a quel punto che nella sua mente, iniziò a prendere forma l’inizio di un’Idea…

Senza nulla togliere ai prodotti concorrenti, è indubbio che le dimostrazioni effettuate dalla FireIce siano alcune delle più efficaci dell’industria. Non tutti i capi d’azienda sono disposti a puntarsi una fiamma ossidrica accesa sul palmo della mano!

La ragione per cui ciò avviene è da ricercarsi nella stessa capacità iper-assorbente della polvere in questione, concepita per tenere asciutta la stoffa a diretto contatto col neonato. Il poliacrilene presenta infatti l’incredibile capacità di incapsulare i liquidi per fino a 100 volte il suo peso, grazie alla sua capacità di avvolgerla all’interno di micro-particelle definite in gergo bubblet, sostanzialmente l’inverso concettuale di una comune bolla (bubble) in cui è invece l’acqua stessa ad aderire attorno a una piccola quantità d’aria. Ma sopratutto di liberarla nuovamente, all’improvviso, nel caso in cui il sopraggiungere di una temperatura eccessiva provveda a liquefare il guscio polimerico esterno. Ma far evaporare l’acqua richiede una grande quantità di energia, ed è per questo che il fuoco, trovandosi di fronte ad un simile ostacolo, non potrà superare la temperatura di ebollizione di tale liquido (circa 100 gradi) per almeno una sessantina di secondi. Abbastanza da estinguersi, o passare altrove. La strada percorsa dal pompiere John Bartlett consistette dunque nel riempire semplicemente un secchio d’acqua e poi gettarvi dentro una certa quantità di polvere. Per assistere con i suoi occhi ad un fenomeno di addensamento immediato, seguìto dalla formazione di un vero e proprio gel, descritto talvolta come avente “la consistenza di un purè di mela”. Egli non fu il primo: esistono in effetti alcuni esperimenti analoghi degli anni ’60, che tuttavia non diedero mai i natali ad un prodotto effettivamente commercializzabile. Mentre è proprio tale brodo risultante, una volta compresso e lanciato a pressione con un apparato apposito, a costituire l’applicazione ideale del gel antincendio. Quella preventiva, per l’appunto: il sito della NBC riporta ancora una notizia del 2007, relativa ad un grave incendio boschivo sopraggiunto quell’anno nella regione di Hot Springs, in Sud Dakota. Occasione in cui 27 case furono protette dall’incedere del fronte incandescente tramite l’impiego di copiose quantità del gel. Di queste, 25 sopravvissero del tutto integre al disastro, mentre alle due finite comunque distrutte andò male per la mancanza di una porta del garage in un caso, e perché la procedura fu iniziata troppo tardi nel secondo. Il problema di questo prodotto, in effetti, è che può proteggere unicamente l’esterno di una superficie o parete. Una volta penetrato all’interno, il fuoco potrà essenzialmente fare tutto quello che vuole. Eppure, gli usi sono letteralmente infiniti… Contenere, dirigere, soffocare. Oppure, come apparentemente suggerito da Peter Cordani della compagnia FireIce, ricoprire direttamente se stessi, per guadagnare l’opportunità di fuggire da una situazione apparentemente del tutto disperata. Resta indubbio, tuttavia, che esperimenti come quelli regolarmente inscenati dai suoi siano piuttosto pericolosi, e decisamente inadatti ad essere imitati.

Lo stesso John Bartlett commercializza un prodotto antincendio a base di poliacrilato, dal nome commerciale di Barricade Gel. Qui potete osservarne la straordinaria efficacia nel proteggere la metà di un lastrone di legno dalla furia inarrestabile del fuoco.

L’efficacia di simili prodotti risulta essere, molto evidentemente, superiore a quella delle schiume ritardanti usate tutt’ora, sopratutto per applicazioni ad alta sensibilità come quelle degli hangar degli aeroporti. Questa sostanza, inoltre, risulta assolutamente non nociva per l’ambiente, come chiaramente esemplificato dal fatto che trovasse convenzionalmente posto a contatto con la pelle dei neonati. Addirittura Peter Cordani, il capo della compagnia produttrice del gel FireIce, in diverse occasioni pubbliche l’ha mangiato, per dimostrare la sua assoluta non-tossicità. Mentre la diffusa schiuma LTTT, notoriamente, rappresenta un rischio significativo per l’ambiente e non viene usata durante gli incendi boschivi. Perché mai, dunque, il gel non è ancora lo standard dell’industria? Ci possono essere diverse risposte. Innanzi tutto non è particolarmente economico: si parla di almeno 1.000 dollari per un kit completo consumer con quattro secchi di polvere e una pompa a pressione, in grado di proteggere 116 metri quadri di superficie. Considerato quindi che il sistema funziona solamente nel caso in cui la casa a rischio sia stata ricoperta completamente, si può facilmente comprendere come siamo di fronte a un prodotto più funzionale se acquistato in grandi quantità, da enti ed organizzazioni governative. Ma i capi dei pompieri, notoriamente, sono degli individui piuttosto tradizionalisti, e persino oggi, oltre 20 anni dopo la reintroduzione della tecnologia grazie all’intuizione di John Bartlett, il gel antincendio sembra faticare a prendere piede. Se non in campo cinematografico e dell’intrattenimento, dove si è dimostrato uno strumento formidabile per far comparire a schermo più di uno stuntman apparentemente trasformato nella torcia umana, in realtà ricoperto di un sottile strato di questa miracolosa sostanza, e quindi reso, per circa un minuto, del tutto immune al fuoco. In un minuto possono succedere molte cose!
Eppure, esiste. Prima o poi, la gente lo capirà? Fino ad allora, tutto quello che ci resta da fare è continuare a versare l’acqua calda con attenzione e spegnere i computer, quando non li stiamo utilizzando. Saremmo davvero dei pazzi, a pensar di tastare il magnesio in fiamme…

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