Un evento abbastanza raro da riuscire a comparire, generalmente, come notizia nazionale ogni qual volta si verifica, con un notevole guadagno d’immagine da parte del tale o tal’altro orto botanico. Attraendo, senza falla, molte migliaia di persone oltre il normale pubblico di ciascun luogo ospitante, proprio perché pochi di noi, fin’ora, hanno avuto l’occasione di vederlo una, al massimo due volte nella vita. Ma è già dire tanto: perché ciascuna pianta di aro titano o aro gigante (scientificamente: Amorphophallus titanum) riesce ad espletarsi AL MASSIMO una volta ogni dieci anni, costituendo la singola infiorescenza alta 3 metri, la più grande del regno vegetale. Sprigionando di conseguenza quell’odore nauseabondo, concepito per attrarre gli insetti, che è stato più volte descritto come cadaverico, di pesci ed uova marce, di calzini usati, di formaggio gorgonzola… Non per niente, nella sua nativa terra d’Indonesia, lo chiamano bunga bangkai, il fiore carogna. Uno spettacolo per gli occhi quindi, ma anche per il naso. Che all’improvviso, per motivi che i botanici non riescono realmente a definire, sta diventando più comune delle repliche del telefilm Friends.
Ma iniziamo dal princìpio. Gennaio di quest’anno: dopo una lunga attesa, l’ufficio stampa dell’Università dell’Illinois, a Charleston, invia la lieta novella alle agenzie: il suo tubero interrato di aro, avendo raggiunto una forma sferoidale dal peso di 15 Kg, è finalmente pronto a dare fondo a tutte le sue risorse, per iniziare la preziosa, e spettacolare stagione riproduttiva della pianta. Così, piuttosto che produrre il solito fusto frondoso destinato a deperire dopo appena 12-18 mesi, in un continuo ciclo di morte e resuscitazione, la pianta sta letteralmente esplodendo alla velocità di 10 cm giornalieri, per trasformarsi nel poderoso fiore dinnanzi al quale tutti amano arricciare il naso. Nel giro di due settimane circa, quindi, l’aro si spalanca completamente, mentre da ogni parte dello stato e del resto del paese la gente accorre per assistere a quello che avrebbe dovuto essere, come tutte le altre volte, un’occasione irripetibile per molti mesi, se non anni. Considerate come dal 1889 al 2008 (119 anni!) in tutto il mondo non sono fioriti che 157 ari titano in cattività, di cui soltanto una minima parte erano a portata della popolazione generalista in un dato momento X. Appena una settimana dopo, invece, la notizia più inattesa: sta improvvisamente per fiorire anche l’aro dell’Orto Botanico di Chicago! Gioia, giubilo! Quale improbabile contingenza, pressoché priva di precedenti, nevvero? Ma aspettate, non è finita qui. Nel corso della prima metà dell’anno, i due apripista vengono ben presto seguìti dal fiore gigante del Rollins College, Florida. Mentre proprio in questi giorni è il turno di quello presente all’Orto Botanico di New York, di un’altro sito presso l’United States Botanic Garden di Washington D.C, di un terzo al castello di Bouchout in Belgio e di un quarto, custodito all’Università dell’Indiana presso Bloomington, nella contea di McLean. Un quinto fiore potrebbe farsi avanti di qui a poco a Sarasota, in Florida. Diventerebbe a questo punto difficile definire ciascuna di queste casistiche, come si usa generalmente fare, “l’evento botanico dell’anno” perché è in effetti l’intero anno, che sta diventando in se stesso una contingenza totalmente priva di precedenti. Tanto che si potrebbe finalmente giungere a una comprensione superiore di questa straordinaria pianta, dopo tanti anni di studi saltuari e poco approfonditi, per forza di cose. Un fiore che non soltanto richiede 10 anni per formarsi, ma appassisce in appena un paio di giorni… Ce ne vorrebbero un bel po’ per arrivare ad una qualsivoglia valida conclusione. Ed almeno per il momento, sembrerebbe che li abbiamo!
A questo punto sarà importante far notare come l’Amorphophallus (un termine latino che significa pene informe) non costituisca in effetti il singolo fiore più grande del mondo (primato che spetta alla Rafflesia arnoldii) ma la più grande “infiorescenza priva di rami”. Innanzi tutto perché esso, nonostante le apparenze, non è affatto singolo. Ma costituisce piuttosto una struttura massiva costituita dalla pianta, all’interno della quale, tra gli pseudo-petali chiamati spata, si nascondono due giri di piccoli fiorellini disposti attorno alla “torre” centrale, completi di pistilli, polline e tutto quanto sia necessario alla comune riproduzione vegetale. I quali sono rispettivamente, tutti maschi nell’assembramento superiore, e tutti carpelli, ovvero con funzioni riceventi del polline, per quanto concerne l’area inferiore. Questo distanziamento previsto ad arte dell’evoluzione, che causa l’appassimento di tutti i maschi prima dell’apertura dell’area in cui si trovano i carpelli, ha lo scopo d’impedire alla pianta di fecondarsi da sola, benché gli sperimentatori abbiano artificialmente dimostrato come forzare il verificarsi di un tale evento possa in effetti servire a produrre un frutto perfettamente fecondato. Ma la mescolanza del patrimonio genetico, si sa, è importante per tutti gli esseri viventi e ciò include anche le piante, specialmente se tanto particolari e rare. Il che costituisce, tra l’altro, il cruccio ed il nesso dell’intera questione, l’odore.
Quando si è pochi è magnifici, e si tenta la riproduzione soltanto quattro volte nel corso dei propri 40 anni di vita, diventa assolutamente fondamentale che le proprie possibilità di riuscita vengano massimizzate. Ed per riuscire in questo, l’aro titano ha sviluppato un’arma particolare. Proprio quel suo cilindro centrale, definito spadice, dalla forma e dalla colorazione comparabili a quella di una baguette. Il quale è cavo all’interno, ma dispone di un meccanismo cellulare che gli permette di surriscaldarsi durante la fioritura, liberando nell’aria la vasta quantità di sostanze chimiche contenute al suo interno. La cui orribile fragranza, come è noto, serve ad attirare uno sciame dei variegati insetti delle foreste indonesiane quali il mondo (per sua fortuna) non vede molto spesso, con numerose varietà di coleotteri, api ed altre creature di passaggio, le quali entrano tra i petali-spata e vi restano intrappolati, ricoprendosi letteralmente del polline della pianta, mentre si lasciano andare al più folle banchetto che abbiano mai sperimentato nel corso della loro breve vita. Quindi, con il rapido spalancarsi del fiore, essi spiccheranno nuovamente il volo, andando si spera alla ricerca di un altra simile meraviglia vegetale, pronta a ricevere il necessario per perpetrare la propria antica specie.
Ma ciò avviene molto, molto raramente. Che cosa, dunque, sta causando il verificarsi della proliferazione degli Amorphophallus a partire dall’inizio di quest’anno? Letteralmente priva di precedenti fin dall’epoca del primo esemplare fatto crescere in serra nel 1889, presso l’Orto Botanico di Kew, in Inghilterra… Gli esperti e gli addetti del settore hanno almeno un paio teorie, nessuna delle quali risulta facile da provare. La prima è che la maggior parte delle piante presenti in serra ad oggi risultano essere, nei fatti, imparentate tra loro. Questo perché ogni qual volta una di loro fiorisce, la prima cosa che viene fatta è prelevare ed inscatolare (imbustare?) una certa quantità di polline, per inviarla via posta rapida presso i propri colleghi di un orto botanico più o meno vicino. Ciò significa, in parole povere, che una buona parte degli ari titano statunitensi sono essenzialmente fratelli, e tutt’al più cugini con quelli custoditi presso le altre nazioni del mondo. Non ci sarebbe poi tanto da stupirsi, quindi, se essi dimostrano un ciclo vitale con tempistiche simili tra di loro. Tale ipotesi risulta tuttavia soltanto teorica, in quanto nessun registro degli spostamenti del polline è mai stato tenuto.
L’altra spiegazione è che semplicemente, ad oggi, di ari titano in cattività ce ne sono molti più di prima. Il grande successo mediatico e di visite ottenuto da ciascuna istituzione botanica nel momento della fioritura ha infatti reso questa pianta, negli anni, un semplice sine qua non di chiunque desìderi essere preso sul serio nel ramo (Ah!) e voglia per di più poter contare su qualche giorno di successo futuro assolutamente garantito. I tuberi della pianta, dopo tutto, non sono così difficili da ottenere, e vengono addirittura venduti su Internet, per un prezzo che si aggira attorno agli 80 dollari a pezzo (ad esempio su Plant Delights, Inc). Procurarseli è piuttosto elementare. Ciò che resta difficile, invece, è riuscire ad accudire la pianta correttamente per i 10 anni successivi, allo scopo di fargli raggiungere la sua giganteggiante, atrocemente pestifera forma finale. Però la soddisfazione… Dico, ve l’immaginate l’approvazione dei vostri i vicini? E tutti gli insetti che verranno a visitare i terrazzi o giardini, ronzando di gioia letteralmente inesprimibile a parole. Sarebbe impossibile negare l’importanza di una simile esperienza karmica verso un miglior domani. Sarebbe addirittura, pericoloso.
N.B: cercando su Google, sembra che l’Amorphophallus più famoso d’Italia sia custodito presso il Giardino dei Semplici, a Firenze. La pianta ha fiorito per l’ultima volta nel 2007.