I vantaggi per chi indossa un secondo paio di gambe

Exohiker

Diventare più forti: uno dei maggiori crucci dell’umanità. Ma cos’è, effettivamente, la forza? Perché ci sono individui prestanti, che trascorrono le proprie giornate in palestre futuribili, i quali non si sognerebbero nemmeno di partire per località remote, in condizioni di sopravvivenza tra le giungle o i passi di montagna. Mentre tra popolazioni indigene superstiti alla modernizzazione, che devono strappare quotidianamente il proprio cibo alla natura, la massa muscolare media è spesso assai ridotta, mentre contano l’agilità e la resistenza. D’altra parte, a fondamento delle opposte situazioni qui citate, il fisico è soltanto una delle condizioni necessarie; perché non è affatto semplice nel mondo urbano, dal punto di vista mentale e/o psicologico, dedicarsi quotidianamente al raggiungimento della condizione atletica desiderata. Sempre concentrati giorno e sera. Senza cedere alle tentazioni. Così come il cacciatore-raccoglitore della distante savana, dovrà dimostrare dedizione e un forte senso di appartenenza alla tribù (specie quando nella sua capanna, come sempre più spesso avviene, campeggiano il telefonino e la Tv). Il che ci porta alla questione fondamentale, relativa al fatto che la salvezza, il più delle volte, derivi dall’acquisizione di capacità regresse. Cosa dire, quindi, della sua compagna d’avventure, la necessità? Poiché talvolta, compiere un determinato balzo, smuovere un peso, percorrere un tragitto, sono gesti utili alla collettività. Che molti di noi compierebbero, per purissima benevolenza e senso d’empatia. Benché siano pochi, all’indesiderabile stato dei fatti, quelli in grado di riuscire nell’impresa. Dal che nasce, sostanzialmente, l’immagine popolare del cyborg come super-uomo, una commistione operativa nata dall’incontro di tecnologia e virtù: una persona che controlla forze considerevoli, perché gli strumenti della civilizzazione sono stati incorporati nella sua stessa essenza, ovvero, fanno parte del suo vivere e sentire nel momento della verità. E c’è questa immagine, popolare almeno a partire dagli anni ’80 con la nascita del movimento cyberpunk, secondo cui ricevere prestanza fisica da un meccanismo comporti, quasi inevitabilmente, la perdita di un prezioso quibus che si aveva in precedenza. La visione che biologia e robotica siano del tutto incompatibili, mentre per ogni vantaggio acquisito sopra gli altri con l’aiuto di soluzioni attentamente ingegnerizzate, si debba superare una prova, pagare con il proprio sangue, sottoporsi a una trasformazione senza possibilità di ritorno…Considerazioni, queste, inerentemente utili connesse allo strumento del pathos, che indubbiamente favorisce una migliore narrazione da cui nascono le nostre fantasie. Forse un giorno arriverà un futuro, indubbiamente più fosco del nostro presente, in cui Robocop, coi suoi fratelli, camminerà per le strade di città disfunzionali e parzialmente rovinate. Al giorno d’oggi, tuttavia, non è così.
Basta pensarci, dopo tutto: non c’è niente di più semplice che migliorare il corpo umano. Indossa un orologio da polso, ora il tuo avambraccio è adesso in grado d’indicare il tempo. Usa un binocolo, i tuoi occhi sono pari o superiori al falco del mattino. Un abito in kevlar può renderti impervio ai colpi delle armi più spietate. Mentre quello che fin’ora ha sempre eluso tale pratico ragionamento, è soltanto quel concetto qui citato in apertura, della fisica prestanza. Basti guardarsi attorno: chi voglia correre veloce, o sollevare grandi pesi, o giungere lontano senza mai fermarsi, dovrà utilizzare necessariamente un qualche tipo di veicolo, con cingoli, ruote o altri meccanismi. Che risulteranno tanto più efficienti, quanto più scollegano il gesto diretto dall’ottenimento del lavoro desiderato. Ma questa è una limitazione soprattutto funzionale, come ben sapevano gli autori della fantascienza. Giusto mentre sto scrivendo, alcune compagnie e istituzioni specializzate, soprattutto statunitensi e giapponesi, stanno operando per perfezionare il concetto di un diverso tipo di potenziamento personale, basato sulla realizzazione di un cyborg in carne, fibra di carbonio ed ossa allungabili. Una di esse la vedete all’opera nel video di apertura, in cui uno sperimentatore in abito mimetico dimostra le capacità dell’ExoHiker della Ekso Bionics, il robot indossabile creato nel 2005 per assistere nel trasporto su lunghe distanze di carichi di fino a 70 Kg, rigorosamente assicurati alla schiena dell’utilizzatore. O per meglio dire, a quella del suo esoscheletro potenziato, un binomio che risulterà estremamente familiare ai moderni giocatori di videogiochi, benché scientificamente fuorviante dal punto di vista descrittivo. Questo perché in natura, il concetto di uno scheletro esterno, come quello posseduto da numerose specie d’insetti, ha funzionalità prevalentemente protettive, mentre la funzione di simili meccanismi è più direttamente associabile al concetto di un secondo apparato muscolare. Nel quale una batteria con durata variabile, generalmente assicurata sulla schiena, si occupa di mettere in funzione alcuni servomeccanismi, idraulici o affini al servomotore elettrico in uso nei più celebri robot antropomorfi, per assistere nel miglior modo possibile lo sforzo umano. I risultati, allo stato attuale delle cose, non sono (ancora) rivoluzionari. Ma già vengono compiuti i primi passi nella direzione migliore.

HULC
Il soldato del futuro: fiero, inarrestabile su quelle che vengono definite “le montagne afghane” (probabilmente siamo in Texas). Rigorosamente mostrato a una risoluzione di appena 240p.

L’ExoHiker era stato creato nella sua versione originaria da Homayoon Kazerooni, Russ Angold e Nathan Harding, un gruppo di ricercatori del Berkeley Robotics and Human Engineering Laboratory dell’Università della California, alla ricerca di applicazioni pratiche per quanto avevano realizzato all’intero di un contesto fino ad allora puramente d’accademia. Con la sua presentazione, i membri del gruppo fondarono nel 2005 l’azienda denominata Ekso Bionics, per promuovere e mettere in commercio la loro invenzione. Nel 2009, a seguito di una fruttuosa joint venture con il colosso dell’industria aerospaziale Lockheed Martin, l’esoscheletro ha ricevuto una ricca serie di perfezionamenti, utili alla creazione del prototipo definito dai militari, con piglio chiaramente fumettistico, HULC (Human Universal Load Carrier, pardon, era soltanto un’acronimo). Lo strumento robotico, notevolmente rinforzato e molto più affidabile della prima versione proposta ai civili, vantava un carico massimo aumentato a 90 Kg, divisi tra la parte frontale e posteriore grazie ad un nuovo sistema di distribuzione del peso. Nella sua ultima versione annunciata nel 2012, arrivava inoltre fino ad otto ore di marcia continuativa in territori tutt’altro che accoglienti. Le ultime voci parlano addirittura di un progetto ulteriore, mirato a fornire l’esoscheletro di pile a combustibile per supportare un’intera missione di 96 ore. Un notevole vantaggio rispetto alla soluzione simile proposta dall’intramontabile contractor privato dell’esercito statunitense, la Raytheon con il SARCOS XOS 2, una soluzione perennemente collegata a fonti di energia esterne.
Questo impiego con finalità belliche, tuttavia, non rappresenta che una parte dell’equazione sul concetto dell’esoscheletro potenziato, un sistema che può trovare numerosi impieghi umanitari e di assistenza alla popolazione civile. La stessa Ekso Bionics, a partire dal 2010, produce una versione alternativa concepita espressamente per l’impiego fisioterapico originariamente nota come eLEGS (oggi semplicemente “Ekso”), che può tra le altre cose permettere a persone costrette sulla sedia a rotelle di alzarsi e camminare per brevi e medi tragitti, benché tramite l’impiego addizionale di un paio di stampelle. In modo particolare sta facendo notizia, proprio in questi giorni, la storia di Ted Kilroy, paziente rimasto paraplegico a seguito di un incidente di moto, che si è dimostrato in grado di impiegare l’attrezzatura nel corso della sua routine quotidiana per periodi di fino a 40 ore pressoché continuative. Con un costo stimato di 100.000 dollari, tuttavia, l’esoscheletro non sembra ad ogni modo alla portata di chiunque. Nel frattempo, dal Giappone, si studiano approcci alternativi:

Cyberdyne
“Professore, a cosa servono le luci colorate sul robot?” Uuh, lo rendono più bello, favorendo il naturale senso d’empatia!

Il Prof. Yoshiyuki Sankai dell’Università di Tsukuba, sita a 70 Km da Tokyo, ha un background professionale non particolarmente dissimile da quello dei fondatori della Ekso Bionics, avendo anche lui contribuito nel 2004 alla fondazione di una compagnia specializzata in esoscheletri, denominata in questo caso Cyberdyne. Il loro prodotto principale, mostrato nel video soprastante, prende il nome di HAL (Hybrid Assistive Limb). Si tratta, nelle sue parole, di una tuta robotica concepita espressamente “per aiutare le persone” come ampiamente giustificato nel corso di un’intervista del 2013 per la rivista Motherboard, in cui tra le alte cose il professore faceva sfoggio della sua collezione di romanzi di Isaac Asimov e cultura Pop fantascientifica. Il prodotto, dall’aspetto relativamente più grazioso e rassicurante delle utilitaristiche proposte americane, è stato distribuito nel 2012 in 300 esemplari in 130 case di cura ed altre istituzioni mediche, per assistere il personale nel sollevamento reiterato di pesi, come macchinari, provviste o gli stessi pazienti affetti da disabilità motorie. La tuta funziona tramite l’impiego di sensori posti sulla pelle dell’utilizzatore, che interpretano e assistono ciascuno dei movimenti effettuati tramite l’impiego di una serie di servomeccanismi. In aggiunta al sistema delle gambe, HAL presenta anche una parte superiore, collegata allo zaino di alimentazione, in grado di assistere nei movimenti delle braccia. L’immagine ideale del cyborg a tutto tondo, dunque, appare sempre più vicina.

Fortis Exoskeleton
Un interessante approccio alternativo al concetto di esoscheletro è questo FORTIS, sempre della Lockheed, qui presentato al National Geographic da Trish Aelker. In tale dispositivo, pensato per l’uso in progetti d’ingegneria civile, non sono presenti motori o dispositivi di alimentazione. La sua finalità è quella di assistere nel mantenere una posa, ad esempio mentre si lavora con attrezzi alimentati.

Che l’essere umano possa diventare un cyborg a tutti gli effetti tramite un simile approccio, resta una questione tutta da dimostrare. L’esoscheletro perfetto, al momento, resta un’utopia. Ciò perché le problematiche da superare, in effetti, non sono poche: innanzi tutto, c’è quella relativa alla flessibilità. Alcune articolazioni del nostro corpo, come l’anca e la spalla, permettono l’enartrosi, risultando capaci di effettuare dei movimenti a 360°. Immaginate ora di riprodurre un meccanismo simile tramite l’approccio tecnologico, finalità tutt’altro che inaudita, ma poi di porlo necessariamente all’esterno del corpo umano, ovvero ad una certa distanza da quello naturale. Ciò che si verificherà a questo punto, sarà la sovrapposizione di un secondo arto posto in parallelo al primo, con un punto d’origine della rotazione a diversi centimetri da quello pre-esistente. Per preservare le capacità umane, oltre a potenziarle, tale secondo braccio o gamba dovrà quindi essere in grado di allungarsi quando necessario. Un ostacolo non del tutto indifferente. C’è poi la questione della velocità dei movimenti. Se l’arto meccanico dovesse effettivamente aumentare le prestazioni muscolari, si otterrebbe una tuta che, alla pressione effettuata dall’utilizzatore, si sposta più velocemente del suo braccio o gamba. I quali, trovandosi quindi a contatto con la parte contrapposta dell’apparato dei sensori, invierebbero un feedback diametralmente opposto, causando una sorta di oscillazione estremamente indesiderabile, oltre che potenzialmente lesionante. Un ultimo spunto d’analisi è la fonte di energia: più aumenterà infatti la sua capienza, maggiori saranno i dispositivi di raffreddamento necessari al funzionamento corretto dell’intero apparato. Che con il conseguente aumentare del suo peso, ne ridurranno le prestazioni.
Il conseguimento dell’obiettivo diventa quindi una questione d’equilibrio tra i fattori, come tra l’altro quella di chi volesse in futuro utilizzare tali dispositivi con profitto. Sono stati compiuti notevoli passi avanti da quando, nel 1986, il ranger americano ferito e costretto a letto Monty Reed concepì il suo prototipo di esoscheletro LIFESUIT, a seguito di una lettura appassionata del romanzo Starship Troopers di Robert Heinlein. Ma l’armatura di Iron Man, allo stato dei fatti attuale, resta ancora ben distante. All’orizzonte delle cose.

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