La piccola pianta che seduce con la perfezione del suo sorriso

Per certi versi esteriormente simile alla cactacea nota nelle Americhe come Peyote, la pianta sudafricana e della Namibia Conophytum pageae, membra di una famiglia nota come “piccoli fichi” o “piante sasso” ricorda piuttosto quello che potrebbe comparire innanzi ai nostri occhi, una volta consumata la materia della suddetta pianta, dalle ben note qualità allucinogene. Questo per il modo in cui, raccolta in colonie simili ad assembramenti, l’escrescenza dalla forma globulare composta da singoli elementi non più grandi di 2-3 cm presenta al centro delle sue foglie tipicamente simmetriche ma congiunte in un succoso recipiente di umidità e nutrimento presentano nel centro esatto una macchietta rossa-rosata. A sua volta suddivisa, nel punto centrale, da una linea mediana simile alla separazione tra le labbra superiore ed inferiore di un individuo umano. In altri termini, la notevole “pianta delle labbra” o “pianta sedere” potrebbe ricordare, nella descrizione di molti botanici, la parte inferiore di un viso che si appresta a stampare un bacio sulle labbra di una controparte altrettanto verde o spalancarsi per iniziare improvvisamente a cantare. Entrambi termini di paragona largamente sottoposti a disanima, assieme ad altri tipicamente meno appropriati, nelle numerose discussioni sull’argomento, diffuse su Internet a partire da un aumento di popolarità virale sui nuovi canali d’Instagram e TicToc, da parte di collezionisti concentrati nel massimizzare il trend mediante l’implementazione di soluzioni largamente al di fuori della semplice passione per la natura. Nella ricerca del massimo effetto visuale sul pubblico mediante l’aggiunta di un paio di semplici puntini neri se non addirittura gli occhietti adesivi noti googly eyes, ottenendo quella che potremmo individuare come una delle massime espressioni da giardino della pareidolia. Tanto che non sembrerebbe irragionevole pesare, in molti casi, che la pianta nel suo complesso possa essere una creazione artificiale, magari fatta con lo zucchero e la cioccolata come il buffo pasticcino di Halloween che tende periodicamente a riportare alla mente. Mentre la realtà dei fatti implica un esempio di come la natura possa ispirarsi a linee guida indifferenti allo specifico ambito di riferimento, in quanto determinate dalle leggi in ogni caso della massima conservazione dell’energia. Il parrebbe prevedere, nel caso specifico di questa pianta succulenta originaria di un clima particolarmente inospitale e suolo tutt’altro che fertile, la realizzazione di una possibile finestra di osservazione sulla natura occasionalmente tangibile dei cartoni animati.
Relativamente facile da accudire benché vulnerabile ad errori quali metterla sotto la luce solare ininterrotta o fornirgli un’eccessiva quantità d’acqua, questa pianta altrimenti nota come uno dei vygie (da figs) o “(piccoli) fichi calendula” ha dunque spopolato su Internet incrementando le sue vendite internazionali di un alto numero di unità, con un conseguente innalzamento dei prezzi dovuto soprattutto alla difficoltà di reperirne esemplari commercialmente vendibili. Questo non tanto per la rarità, viste le condizioni tutt’altro che a rischio allo stato attuale delle circostanze, quanto il modo in cui dall’attecchimento del singolo seme fino all’emersione della pianta fatta e finita possono trascorrere anche parecchi anni, tra i 10 ed 20, mentre un’intera colonia per l’effetto completo può richiedere anche cinque volte tale cifra. Praticamente la metà di un’intera vita, se vogliamo prendere ad esempio la longevità del secolo trascorso tra gli uomini e donne di questa Terra. Una pianta che si eredita, come se si trattasse di un pappagallo…

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Non è un miraggio: esistono foreste nel deserto

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Nell’immaginare pianeti alieni, i creatori di film e romanzi tendono a concentrarsi sulle forme di vita appartenenti alla categoria animale dei chordata, ovvero simmetriche e dotate di una notocorda, generalmente analoga alla nostra stessa colonna vertebrale. Per poi spendere appena due parole, oppure un singolo paragrafo, su quel che getta le radici in mezzo al suolo extraterrestre. Ciò è perfettamente funzionale nell’affascinare il pubblico, visto come le piante del pianeta Terra siano tanto distanti da noi, ed all’apparenza primitive, da non poter parlare o pensare, né dimostrare alcuna consapevolezza della propria semplice esistenza. Eppure, sarebbe impossibile negarlo, si tratta della più grande opportunità sprecata della narrativa di genere moderna: perché esistono soltanto un certo numero di varianti possibili, in ciò che deve muoversi, dormire, procacciarsi il cibo e una compagna. Due, quattro, sei, otto zampe. Occhi per vedere e un senso del tatto, oppure antenne per rilevare le sostanze chimiche presenti nell’ambiente circostante… Mentre quante varianti sono a nostra disposizione, se tutto ciò che un organismo deve fare dalla nascita alla morte è assumere i suoi nutrienti dal terreno e dal Sole, per poi disseminare il proprio DNA sfruttando le forze naturali del pianeta stesso? Quante volte può dividersi lo stesso ramo? Non più di un paio, nel caso dell’Aloe dichotoma della Namibia, comunemente detta “Albero faretra” prima che alla sommità delle biforcazioni appaiano quei vortici di foglie simili alle lame di un coltello, piene di spine ai bordi, strutture che noi conosciamo molto bene in forza di alcune delle piante succulente più utili dei nostri giardini. Nel caso degli esemplari adulti, ciò avviene all’altezza media di 8-9 metri. “Ma il più celebre rappresentante di questo genere di vegetali, l’Aloe vera…” qualcuno potrebbe anche affermare: “…L’ho sempre visto con la forma e l’altezza di un piccolo cespuglio!” Beh, in effetti, questo è vero per la maggior parte della categoria. Ma ci sono specie, come questa e come questa o l’Aloe barberae del Mozambico, che raggiunto lo status ideale per poter contare su di un posto in un appartamento, continuano a crescere ed a crescere, ad un ritmo rallentato e per un tempo che può facilmente raggiungere i 20 anni. Finché a un certo punto, sono alberi. E le colonie del passero tessitore, costruttore di enormi alveari cinguettanti, vanno a farci il nido. Anche perché l’alternativa vegetale più prossima, generalmente, si trova a centinaia di chilometri di distanza.
La ragione di una tale ipertrofia non è certamente voluttuaria: essa mira, piuttosto, a risolvere il maggior problema della pianta. Perché a queste latitudini, e nelle regioni di cui stiamo parlando, sarebbe un caso straordinario se cadessero più di 15-20 cm di pioggia l’anno. Mentre la vegetazione più comune, per pura necessità di preservare il nutrimento, non emerge dal terreno più di quanto possa farlo un filo d’erba. Quasi ovunque, tranne che in tre specifici raggruppamenti di A. dichotoma, site in diverse zone dell’antica terra del Namaqualand, oggi abitata dalle popolazioni boscimane dell’Africa Meridionale. Stiamo parlando della fattoria di Gariganus, luogo turistico dall’alta visibilità all’incrocio tra le strade M29 e C17. Dell’area desertica sita a nord-est della città di Keetmanshoop, ove si trova la maggiore concentrazione di fossili di mesosauri, rettili acquatici del Permiano. Del parco di Garas sulla B1, meno celebre ma decorato con figure totemiche di bambole, figure scolpite ed altri insoliti arredi. Il visitatore, scendendo dall’auto in corrispondenza di uno di questi tre punti di riferimento, si ritroverà nel mezzo di un deserto brullo e almeno all’apparenza, disabitato. Ma dinnanzi a lui… Dozzine, centinaia di tronchi!

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