Non è un miraggio: esistono foreste nel deserto

quiver-trees-3

Nell’immaginare pianeti alieni, i creatori di film e romanzi tendono a concentrarsi sulle forme di vita appartenenti alla categoria animale dei chordata, ovvero simmetriche e dotate di una notocorda, generalmente analoga alla nostra stessa colonna vertebrale. Per poi spendere appena due parole, oppure un singolo paragrafo, su quel che getta le radici in mezzo al suolo extraterrestre. Ciò è perfettamente funzionale nell’affascinare il pubblico, visto come le piante del pianeta Terra siano tanto distanti da noi, ed all’apparenza primitive, da non poter parlare o pensare, né dimostrare alcuna consapevolezza della propria semplice esistenza. Eppure, sarebbe impossibile negarlo, si tratta della più grande opportunità sprecata della narrativa di genere moderna: perché esistono soltanto un certo numero di varianti possibili, in ciò che deve muoversi, dormire, procacciarsi il cibo e una compagna. Due, quattro, sei, otto zampe. Occhi per vedere e un senso del tatto, oppure antenne per rilevare le sostanze chimiche presenti nell’ambiente circostante… Mentre quante varianti sono a nostra disposizione, se tutto ciò che un organismo deve fare dalla nascita alla morte è assumere i suoi nutrienti dal terreno e dal Sole, per poi disseminare il proprio DNA sfruttando le forze naturali del pianeta stesso? Quante volte può dividersi lo stesso ramo? Non più di un paio, nel caso dell’Aloe dichotoma della Namibia, comunemente detta “Albero faretra” prima che alla sommità delle biforcazioni appaiano quei vortici di foglie simili alle lame di un coltello, piene di spine ai bordi, strutture che noi conosciamo molto bene in forza di alcune delle piante succulente più utili dei nostri giardini. Nel caso degli esemplari adulti, ciò avviene all’altezza media di 8-9 metri. “Ma il più celebre rappresentante di questo genere di vegetali, l’Aloe vera…” qualcuno potrebbe anche affermare: “…L’ho sempre visto con la forma e l’altezza di un piccolo cespuglio!” Beh, in effetti, questo è vero per la maggior parte della categoria. Ma ci sono specie, come questa e come questa o l’Aloe barberae del Mozambico, che raggiunto lo status ideale per poter contare su di un posto in un appartamento, continuano a crescere ed a crescere, ad un ritmo rallentato e per un tempo che può facilmente raggiungere i 20 anni. Finché a un certo punto, sono alberi. E le colonie del passero tessitore, costruttore di enormi alveari cinguettanti, vanno a farci il nido. Anche perché l’alternativa vegetale più prossima, generalmente, si trova a centinaia di chilometri di distanza.
La ragione di una tale ipertrofia non è certamente voluttuaria: essa mira, piuttosto, a risolvere il maggior problema della pianta. Perché a queste latitudini, e nelle regioni di cui stiamo parlando, sarebbe un caso straordinario se cadessero più di 15-20 cm di pioggia l’anno. Mentre la vegetazione più comune, per pura necessità di preservare il nutrimento, non emerge dal terreno più di quanto possa farlo un filo d’erba. Quasi ovunque, tranne che in tre specifici raggruppamenti di A. dichotoma, site in diverse zone dell’antica terra del Namaqualand, oggi abitata dalle popolazioni boscimane dell’Africa Meridionale. Stiamo parlando della fattoria di Gariganus, luogo turistico dall’alta visibilità all’incrocio tra le strade M29 e C17. Dell’area desertica sita a nord-est della città di Keetmanshoop, ove si trova la maggiore concentrazione di fossili di mesosauri, rettili acquatici del Permiano. Del parco di Garas sulla B1, meno celebre ma decorato con figure totemiche di bambole, figure scolpite ed altri insoliti arredi. Il visitatore, scendendo dall’auto in corrispondenza di uno di questi tre punti di riferimento, si ritroverà nel mezzo di un deserto brullo e almeno all’apparenza, disabitato. Ma dinnanzi a lui… Dozzine, centinaia di tronchi!

quiver-trees-4
Le infiorescenze dell’Aloe dichotoma si sviluppano generalmente in inverno, il periodo più piovoso di queste regioni. Il frutto è piccolo, verde e pieno di semi. Normalmente non viene mangiato dagli umani.

Dal punto di vista morfologico, come avrete probabilmente già intuito, l’Aloe dichotoma è una pianta molto particolare. Pur essendo volgarmente definita albero, perché oggettivamente ciò è quello che sembra, essa non presenta in realtà una struttura biologica che possa definirsi vero e proprio legno. Il suo “tronco”, o per meglio dire gambo, perché questo è ciò di cui in realtà si tratta, è un singolo ammasso di fibre spugnose, ricoperto da una sottile corteccia che col crescere della pianta di ricopre di crepe simili a scaglie, dal bordo affilato e quasi tagliente. Il nome di albero faretra deriva, in effetti, da una pratica dei boscimani, che per fabbricarsi un contenitore per le loro frecce avvelenate, sono soliti tagliare un ramo dell’arbusto, svuotarlo ed applicare una striscia di cuoio nella parte inferiore, ottenendo così un perfetto contenitore oblungo da portare in spalla quando si va a caccia o a far la guerra con le altre tribù. Ma i suoi usi non finiscono qui. La polpa porosa che costituisce il corpo della pianta, infatti, lascia passare l’aria, ed ha caratteristiche di isolamento termico particolarmente efficaci. Proprio per questo, esisteva l’usanza di ricavare una nicchia nel tronco degli alberi, all’interno della quale veniva posto il cibo da conservare più a lungo, come in una sorta di frigorifero naturale.
Tutto, in queste piante, è concepito per sopravvivere con una quantità irrisoria d’acqua. Ma nel caso in cui la pianta ne stia ricevendo troppa poca, persino per lei, essa dispone ancora di un metodo per salvarsi. Essa può infatti lasciar seccare le proprie foglie a partire dalle punte, quindi lasciarle cadere a terra senza alcun danno per il fusto principale. Nei casi più estremi, a staccarsi sono degli interi rami, mentre l’arbusto fa ricorso ad un sistema particolarmente efficace di cicatrizzazione della ferita, che gli permette di restare impervio alle malattie ed ai parassiti. Tra le altre doti particolari della dichotoma, significativa è quella di ricoprire la sua parte superiore di una fine polverina bianca, che con la sua colorazione chiara contribuisce a dissipare il calore sviluppato dall’implacabile luce del sole.

quiver-trees-1
Una corrispondente del canale People’s Weather (purtroppo non ci viene detto il nome) lamenta il fenomeno dei molti alberi di aloe che stanno morendo sul lato nord di questa valle, mentre i nuovi esemplari nascono soltanto più a nord. “L’albero faretra” afferma sconsolata: “Sta lentamente fuggendo dal Namaqualand.”

L’albero faretra, pur essendo presente in concentrazioni significative unicamente in determinati luoghi dell’Africa, è diffuso con esemplari singoli per l’intera parte Sud-Occidentale del continente, mentre all’opposto in senso orizzontale troviamo la già citata A. Barberae, un altra specie di albero appartenente allo stesso genere del sistema di classificazione di Linneo. Tutte queste piante sono in qualche modo minacciate, dal ridursi del territorio e dall’aumento progressivo della temperatura media terrestre, ma ciò si applica in modo particolare alle due sottospecie più rare di A. pillansii (da i fiori penduli sotto le foglie) ed A. ramosissima (simile a un cespuglio, non più alta di 60 cm).
La relativa rarità della varietà più comune, nel frattempo, unita alla lentezza della sua crescita, rende la coltivazione sistematica in ambienti artificiali molto costosa, sopratutto per la difficoltà di procurarsi dei nuovi esemplari. Affinché la pianta possa prosperare, inoltre, si richiede una composizione della terra estremamente specifica, molto secca ma ricca di particolari minerali. Un potenziale vantaggio, nel frattempo, è che come molte altre succulente la pianta può riprodursi a partire da un singolo ramo reciso, successivamente piantato altrove ed appropriatamente trattato dalle mani umane. Ma probabilmente, l’unico modo per fare la sua conoscenza diretta è recarsi fin laggiù, nel più antico e misterioso dei continenti.
Una strana esperienza: ecco quella che potrebbe dirsi a tutti gli effetti una foresta, però priva di elementi che vorremmo dare per scontati in merito, quali un sottobosco pieno di piante più piccole e mammiferi che si rincorrono per fame, il desiderio di esplorare ed il bisogno di non essere da soli. In definitiva, pare di essere sbarcati sulla superficie di un distante pianeta. Il mondo alieno delle piante.

Lascia un commento