L’uccello che raggira la tribù dei suricati

Drongo

In Australia e Nuova Zelanda, se vuoi dare blandamente dello sciocco a qualcuno, c’è un’usanza che prevede di chiamarlo drongo. Parola che proviene direttamente dal nome di un uccello simile ad un merlo, dal comportamento insistente ed ossessivo, che ripetutamente si tuffa giù dai rami degli alberi, plana fino a terra, fruga nell’erba in cerca di cibo e poi ritorna precipitosamente all’elevato punto di partenza. Quindi, nel silenzio e nello stato d’immobilità, saltuariamente lancia un grande grido, simile a un terribile starnuto. Nell’interesse dell’analisi situazionale, ipotizziamo di essere distanti dalla stagione degli accoppiamenti. L’obiettivo di un tal suono non si palesa quindi chiaro, e sembrerebbe solamente un qualche bizzarro sfogo personale. Ma le apparenze spesso ingannano, o come in questo particolare caso, vengono fraintese da chi ha poco senso d’osservazione. Perché il drongo (Dicrurus) in effetti, potrebbe essere tra i volatili più intelligenti di tutto il suo areale, che si estende dagli stati d’Oceania fino all’Indonesia, e da lì in Cina, in India e… Africa, per l’effetto di una colonizzazione che risale a circa 15 milioni d’anni fa. Qualcuno, in via preliminare, ha addirittura ipotizzato che esso sia dotato della capacità intellettiva definita teoria della mente, ovvero l’abilità di astrarre e comprendere le altrui intenzioni. Una dote riscontrata, per via sperimentale, unicamente negli scimpanzé, in alcune specie di pappagalli e nei corvi. E che lui sfrutta, con intento alquanto turlupinatorio, al fine di semplificarsi per quanto possibile la vita. Assieme all’altra dote innata di cui è dotato, che consiste nell’imitazione esatta del verso di moltissime altre specie d’animali.
È una combinazione veramente scoppiettante, questa qui… Volete un esempio? Vi basterà osservare all’opera questo esemplare di Dicrurus adsimilis, drongo dalla coda biforcuta o drongo comune africano, che si era trovato suo malgrado con il ruolo di protagonista principale di un documentario della BBC Earth, che come suo solito distribuisce lo spezzone rilevante tra il pubblico di Internet, specificando la sua provenienza dalla serie intitolata Africa, con l’irrinunciabile commento audio del naturalista Attenborough. E ci sarebbe veramente di che lamentarsi, da parte dell’uccello, se non fosse che per sua fortuna, i suricati caduti preda delle sue furbizie non dispongono di apparecchi radio-televisivi. Il suo segreto metodo, dunque, resta al sicuro qui con noi. E che approccio, quale piano diabolico! Tutto inizia con quella che potrebbe essere definita, in linea di principio, la classica interrelazione di mutua assistenza del regno animale. Un rapporto simbiotico, in cui il drongo, pur non facendo parte del famoso branco molto unito di queste agili manguste scavatrici sul confine del Kalahari, fornisce loro un valido supporto, agendo da vedetta contro il sopraggiungere dell’occasionale, pericolosissimo uccello predatore. Vedendo il falco di turno, quindi, il nostro passeriforme emetterà istintivamente il suo richiamo d’allarme, che i mammiferi hanno appreso a riconoscere, alla stregua del complesso sistema di vocalizzazioni che essi impiegano per comunicare tra loro. Soltanto a quel punto, fatto il suo dovere, il sagace pennuto si metterà in salvo dal formidabile rapace in arrivo. Quale splendido altruismo, nevvero? Non ci piove (del resto, siamo estremamente vicini al quarto maggior deserto del pianeta). Tranne che… Non tutte le allerte del Dicrurus sono esattamente, per così dire…Vere. Può qualche volta capitare, infatti, e capita in effetti almeno due-tre volte al giorno, che l’uccello chiami senza che sussista alcun tipo di pericolo. Il che è davvero molto vantaggioso per lui. La casistica vuole, infatti, che in un dato momento X ciascuno dei suricati all’opera immediatamente fuori dalla propria tana, stia svolgendo unicamente quell’attività che consiste nell’effettuare la raccolta di provviste, per se stesso, per la femmina rimasta a guardia dei cuccioli e per loro, la vociante progenie di un popolo fin troppo delizioso (per il falco, per la iena, per tutti gli altri assatanati predatori…) Ma soprattutto pare che, una volta spaventato e intento a trarre in salvo la sua pelle, il suricato medio tenda a far cadere il proprio insetto, verme o scorpione di turno, lasciandolo del tutto incustodito sul crepato suolo delle lande equatoriali. Ed è allora che l’uccello, mostrando infine i suoi veri colori, piomba giù dal ramo soprastante, ruba tutto il possibile e immediatamente se ne vola via. Dico, ve l’immaginate? Derubati da una svelta cornacchietta nota come “la non-troppo intelligente”. Non è proprio un aneddoto da raccontare alle feste…

Leggi tutto

Fai silenzio! La caverna è illuminata da un esercito d’insetti

Glowworms Cave

Come svegliarsi sotto un mare di stelle, sognando lievi brezze che scompigliano i capelli. E il canto dei grilli distanti, la risacca del tiepido mare… Manca solo il grido dei gabbiani. Serve un attimo per ricordare la ragione: tu ti trovi, se puoi crederci… Nel sottosuolo! E l’acqua più che mai gorgoglia, tutto attorno allo pneumatico sul quale sei caduto addormentato. Dinnanzi a te, la fotocamera sul cavalletto, programmata per scattare una foto ogni 35 secondi; click […] click […] click. Il che riporta in mente la realtà effettiva: queste luci che t’illuminano il buio, non sono quel che sembrano, magnifici astri distanti. Ma qualcosa di molto più prosaico e soprattutto, estremamente VICINO. Allungando la mano, potresti persino toccarli. Questi vermi che strisciano lungo il soffitto, calando ancora il proprio filo appiccicoso… Nell’intramontabile speranza che l’umano, essere spropositato e pronto da mangiare, cada infine nella loro trappola dal fascino splendente.
È la cultura più alta degli autori letterari d’accademia, che allo scontro con il mondo dell’entertainment puro, genera scintille da cui nasce un grande fuoco. Da cui sorgono fenìci d’imprevista geografia: giacché difficilmente JRR Tolkien, veterano di guerra e linguista laureato, avrebbe avuto in mente la Nuova Zelanda, mentre descriveva il mondo immaginifico che l’avrebbe reso, essenzialmente, immortale. Ah, la Terra di Mezzo… C’è la verdeggiante campagna inglese degli scorsi secoli, coi pacifici hobbit che festeggiano e banchettano serenamente. C’è l’Europa continentale del Medioevo, con le sue dispute dinastiche, le guerre combattute a fil di spada. C’è l’Islanda inospitale in pieno inverno, nella terra brulla e vulcanica di Mordor. Certo, con l’aggiunta di un orchetto, oppure due. E poi gli Stati Uniti della distante Valinor, la promessa degli elfi a chi desideri lasciare le tribolazioni degli umani… Dove appare, quindi, l’Oceania? Molto semplice: nei film. Che in se stessi hanno lanciato, dinnanzi al mondo delle luci e l’entusiasmo popolare, una creazione che era il Primo Mobile della corrente fantasy moderna, un tempo la passione irragionevole dei “diversi”. Mentre adesso! Beh, pensate a quanto segue: chi sbarca oggi all’aeroporto di Wellington, il più grande ed importante del paese succitato, non troverà la statua di figure storiche, politiche, filosofi del mondo del passato. Bensì di Gollum, l’essere avido e deforme a causa di un antico male, convenientemente incapsulato nell’oggetto titolare di gioielleria. E inoltrandosi laggiù, nelle due Isole di quel paese, pure gli artropodi cannibali e i draghi e i mostri e gli alberi parlanti. E non sto affatto esagerando (bé, nel primo dei quattro casi citati, a voler essere pignoli) guardate un po’ voi, cosa vi attende nelle celebri caverne di Waitomo ed Aranui, visistate annualmente da molte migliaia di turisti. Non per niente le chiamano “galassie” con un’analogia che ha un puro senso metaforico, come chiaramente esemplificato dal qui presente video di Jordan Poste, l’avventuroso canadese che si è trasferito all’altro capo del mondo con l’amata Jenna, per produrre in modo regolare video e contenuti appassionanti sul paese d’adozione. Giudicate un po’ voi. Il soffitto da lui scelto, che in effetti dovrebbe appartenere a un’altra delle molte caverne nazionali, ad ingresso piacevolmente gratuito ma soprattutto molto meno affollata, appare chiaramente ben delimitata in tutti i suoi confini, grazie al bagliore sprigionato da quel misterioso assembramento di creature mobili, che osservano l’osservatore usando i loro occhi segmentati, e si puliscono le zampe pregustando l’impossibile pranzetto. Certo, non saranno forti e furbi come credono. Ma nel catturar lo sguardo, questi Arachnocampa luminosa, ottengono un certo grado di successo, ciò è difficile negarlo…

Leggi tutto

Il più strano e grosso pappagallo al mondo

Kakapo

Un suono grave, sordo e pulsante, udibile a grande distanza, come se fosse il prodotto di un diffusore acustico ad alto potenziale di cui qualcuno stesse mettendo alla prova le basse frequenze. Se ciò non fosse impossibile: siamo del resto, a molti chilometri dal più vicino centro abitato, sull’isola costiera di Resolution. E chi volesse risalire all’origine del suono, probabilmente arrampicandosi fin sulle vicine alture per scrutare dentro a dei fori ricavati ad arte nel terreno, lì dentro si ritroverebbe a scrutare una massa vibrante di splendenti piume verdi, concentrate come il loro proprietario su una singola missione: riprodursi, chiamando, riprodursi. Ogni 9 anni del resto, in questa e nelle altre antiche foreste della Nuova Zelanda, si verifica un’incontro di fattori tale da permettere il ripetersi di una particolare successione di eventi. Per prima cosa variazioni impercettibili nel clima, accennate nel corso di una prima estate e poi riconfermate in quella successiva, causano un rigoglio maggiormente significativo di diverse specie vegetali. Non è propriamente una rivoluzione ecologica, tale da trasformare i limiti dei campi coltivati o delle superstrade in alte quanto impenetrabili barriere fronzute… ma diciamo, quanto meno, che chiunque soffra di allergie, noterà la differenza! Per non parlare di quell’altro abitatore del vicinato, del peso complessivo di 5-7 Kg, quasi perfettamente mimetizzato nell’ambiente e molto spesso silenzioso, ma non sempre; perché in questa stagione prediletta dal destino, tra i molti risvegli dell’ambiente naturale, se ne verifica uno in particolare che lo riguarda in modo estremamente diretto: la fioritura dell’albero del rimu, una conifera sempreverde originaria delle regioni d’Oceania, che produce il particolare baccello coi semi che può essere tranquillamente definito il cibo preferito dall’uccello. Come, quale uccello? Il sacrosanto kakapo. Una creatura che, come innumerevoli altre di questo pianeta ma forse più della maggiore parte di noi, non ha mai conosciuto simili dinnanzi al suo ricurvo becco. E dire che è esistito da molto, molto tempo….
Un fossile vivente, un ibrido fantastico, come le creature mitologiche dei bestiari medievali: questo visitatore un tempo familiare delle terre circostanti gli insediamenti umani, di cui nel 2011 restavano soltanto 123 esemplari, è stato formalmente definito il pappagallo faccia-di-gufo: Strigops habroptilus (dove il secondo termine latino, invece, significa letteralmente “dalle piume morbide”) per la sua vaga somiglianza al tipico rapace notturno, mentre più di un biologo alle prime armi, guardandone i movimenti, il comportamento e il rapporto che occasionalmente può stringere con gli umani, è giunto a paragonarlo strettamente ad un cane. Ma la realtà è che l’insolito essere preferibilmente notturno e niente affatto volatile, ma dotato di vibrisse piumate simile ai baffi del gatto, occupa una nicchia ecologica direttamente paragonabile a quella dei nostri conigli, erbivori costantemente condizionati dalla necessità di sfuggire ai predatori. Con un’importante, significativa differenza: il kakapo (in lingua Maori: kākā – pappagallo; pō – notte) in origine, aveva un singolo nemico naturale: l’aquila di Haast, un rapace vissuto fino al 1400 d.C, la cui apertura alare poteva raggiungere i 3 metri di larghezza. Un vero mostro volante, evolutisi per poter ghermire gli imponenti Moa suoi contemporanei, lontani parenti locali degli struzzi. Eppure, strano a dirsi, sfuggirgli non era poi così difficile; bastava restare perfettamente immobili, contando sul proprio piumaggio mimetico; e spostarsi prevalentemente di notte. E se nulla fosse cambiato, questo avrebbe continuato a fare il grande pappagallo neozelandese, prosperando alla sua maniera fino all’eternità. Se non fosse che ad un certo punto, a massimo danno di ogni terza parte coinvolta, l’umanità non giunse fino a queste spiagge. Scaricando, assieme ad armi e bagagli, le presenze indesiderate di cani, gatti e mustelidi, tra cui furetti ed ermellini. Tutti predatori in grado di scovare il proprio pasto grazie allo strumento dell’olfatto…

Leggi tutto

Quanto è difficile rimuovere le vespe sotterranee

Vespula Germanica

Svegliarsi all’improvviso verso l’alba di un ronzio insistente. Proprio lì agli antipodi, in Nuova Zelanda. Una terra di creature che potrebbero ben dirsi, dai nostri remoti antipodi, diverse. Grandi quando dovrebbero essere piccole, più forti e più veloci. Velenose, qualche volta. Eppure cos’è, persino il pericolo individuale, rispetto alla capacità di primeggiare a lungo termine, in funzione dell’efficienza ecologica di un’intera specie! E non c’è altra insettile colonia, in tutto il mondo degli artropodi, che possa dirsi maggiormente adattabile e potenzialmente deleteria, di una che non vedi neanche, perché si trova incastonata tra le vecchie radici di un arbusto. Che non puoi fumigare. Né bruciare. Dunque, chi chiamerai? Nessuno ricorda, esattamente, quando e come queste Vespula germanica, chiamate dagli americani yellowjacket, mentre da noi semplicemente “vespe” si siano propagate allegramente al Nuovo ed al Nuovissimo tra i continenti, probabilmente per l’attimo di distrazione di un trasportatore di frutta e verdura. Dal punto di vista biologico, del resto, simili creature paiono davvero “fatte apposta”. Quando in autunno, mentre l’ormai vecchia generazione di regine si è inoltrata nella senescenza, le ali deboli, la forza che viene a mancare, ma le uova deposte diventano sempre più rare. Nessun altra operaia potrà nascere, bensì sorelle ben più grandi, a loro volta latrici di un prezioso patrimonio di DNA. Nuove sovrane in-fieri. Che saranno doverosamente fecondate dai maschi della colonia, poco prima di volare via lontane. Ad ibernarsi, in un lungo letargo, fino al distante ritorno della primavera.
Purché si renda veramente necessario, un simile passaggio. Giacché nel continente d’Oceania, presso la zona maggiormente temperata dei grandi oceani del Sud, l’alternarsi del ciclo stagionale porta ad escursioni termiche e climatiche davvero trascurabili. Con il risultato che i nidi di questa particolare specie, che qui neppure dovrebbe esistere, crescono e diventano davvero giganteschi, diventando essenzialmente, perenni. Come le conifere, che non si spogliano mai delle preziose foglie, ma ornano i giardini per dodici mesi l’anno. E tutti apprezzano la duratura bellezza della natura. Un diamante è per… Pensate, che meraviglia: una collana di vespe, un bracciale dalla colorazione gialla e nera con le zampe, o antenne come spille o piccoli orecchini, da indossare sul princìpio di serate memorabili, straordinarie! Giammai. Giacché, si dice molto spesso: “Non c’è creatura più detestabile della vespa. Almeno l’ape, prima di pungerti, ha impollinato i fiori e fatto il miele. Mentre la sua cugina molto, molto più aggressiva, a cosa potrebbe mai SERVIRE?!” Beh, diverse cose. Innanzi tutto, a farti un’insistente compagnia. Non che ci sia stima reciproca, purtroppo, tra le vespe e gli uomini, principalmente perché le prime hanno un comportamento di raccoglitrici d’occasione, come gli orsi essenzialmente, che le porta a spingersi presso le nostre tavolate, i delicati frutteti, talvolta fin dentro amichevoli alveari. Per rubare il nettare dolcissimo e far scempio, senza alcun ritegno, delle sue pelose produttrici. Ma almeno questo, sarebbe certamente difficile negarlo: si tratta di animali estremamente interessanti.
Da studiare ed ammirare, come sembra intento a fare il coraggioso Bob Brown, protagonista del presente video, che troviamo intento nel compito niente affatto accessibile di rimuovere un grosso nido di queste creature, costruito proprio sotto il suolo di quello che potrebbe essere un giardino. Senza l’uso di veleni o pesticidi (i cani del vicinato ringraziano) senza fumo né la pompa dell’acqua (…) ma soltanto grazie all’uso di una paletta, un rastrello ed una tuta. La quale, è importante notarlo, non può dirsi realmente “a prova di vespe” (nulla lo è, a quei livelli d’aggressione) ma soltanto parzialmente “anti”. Al punto che, ci viene spiegato nella descrizione del video, dopo il primo paio di minuti appena già iniziavano a moltiplicarsi le punture subìte…

Leggi tutto