L’intenso blu del pesce mandarino, colore splendido dei sette mari

“Oh, ma certo, tu credi di essere superiore. Apri l’armadio e scegli a caso quel maglioncino, senza sapere che non è effettivamente turchese o lapis, bensì CERULEO. Senza capire quanti milioni di dollari e posti di lavoro rappresenta…” Dal famoso monologo del film Il Diavolo veste Prada usato da Miranda/Meryl Streep per rimproverare la sua giovane dipendente traspare tutto il profondo significato che è possibile sottintendere, attraverso le scelte arbitrarie della moda, nella preferenza di un colore piuttosto che un altro. Ben poche tonalità in natura, d’altronde, possono trovarsi caratterizzate dalla stessa serie di profonde implicazioni di ogni possibile tonalità d’azzurro, risultato chimico particolarmente inaccessibile per le forme di vita di questo pianeta. Benché perseguito, e molto spesso ottenuto, mediante l’impiego di soluzioni alternative con la finalità di distinguersi e apparire, in qualche modo, diversi. Perciò non è realmente possibile affermare, come nel caso dell’assistente neolaureata Andrea Sachs, che farfalle, lucertole, parrocchetti o pavoni siano veramente CERULEI poiché un tale auspicabile aggettivo riesce ad essere meramente il frutto, nella scientifica realtà dei fatti, di una struttura fisica e cellulare (dell’epidermide, le piume, le ali) basata sulle molecole di primidiniche di purina, sostanza in grado di distorcere e deviare la luce. Al punto che se dovessimo prendere uno di questi esseri e ridurlo ai suoi singoli elementi costituenti, facendo venir meno il sottile equilibrio fisico incorporato in essi, neppur la più tenue tonalità azzurrina rimarrebbe in essere tra questi, lasciando svanire come un sogno ogni significante cromatico di partenza.
Esiste, tuttavia, una singola e importante eccezione all’interno del variegato mondo degli esseri vertebrati. O per meglio dire due, di specie largamente interconnesse tra di loro, all’interno di un gruppo tassonomico che viene chiamata in lingua latina Callionymidae, oppure più semplicemente, l’amichevole famiglia dei dragonetti. Ancora un altro pesce tipico della barriera corallina, benché sia diffuso anche a profondità maggiori del vasto e inconoscibile mare, con la forma direttamente riconducibile a quella di un ghiozzo (Gobiidae) ancorché si tratti, senza dubbio, di una creatura dalla genesi e una storia evolutiva nettamente distinte. Il più amato ed istantaneamente riconoscibile dei pesci caratterizzati da una reale pigmentazione azzurrina/bluastra è quindi il Synchiropus splendidus o in lingua inglese mandarinfish, da non confondere assolutamente con l’omonimo Siniperca chuatsi, una perca asiatica dall’aspetto piuttosto banale ed ordinario. Laddove questo suo distante parente, diffuso principalmente nel Pacifico occidentale tra le isole Ryūkyū (Okinawa) e la parte settentrionale del continente australiano, è probabilmente quanto di più fantastico e variegato sia possibile ammirare sotto il moto ondoso di questo pianeta, a patto di avere la pazienza, e capacità di osservazione, necessarie per appassionarsi in merito ad una creatura che assai raramente supera gli appena 4-5 cm di lunghezza. Il che non ha impedito in alcun modo a questo pesce di diventare, suo malgrado, un occupante favorito d’innumerevoli acquari domestici, data l’opportunità di osservarlo in condizioni ideali, potendo apprezzare finalmente la sua incomparabile magnificenza. Benché in effetti, date particolari cognizioni di contesto, molto meglio sarebbe stato lasciare il piccolino nel suo legittimo ambiente di provenienza…

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L’alato draghetto che dardeggia tra gli alberi della foresta asiatica meridionale

E quando l’uomo raggiunse l’assoluto predominio della terra, del mare, delle montagne, delle valli, dei fiumi e le pianure, si fermò per qualche generazione; egli ancora non era pronto, semplicemente, a rivolgere il suo sguardo verso il cielo. Così mentre la marcia dell’evoluzione (tecnologica) continuava la sua inarrestabile corsa, palloni aerostatici iniziarono a sollevarsi, quindi ali si spiegarono dai fianchi di scintillanti aerei, liberandosi dall’insistente tirannia del proprio peso gravitazionale ereditato. Perché quanto segue è quello che riesce a renderci, nell’opinione delle moltitudini, in qualche maniera “speciali”: la capacità di realizzare quanto ci sembra possibile, soltanto dal punto di vista teorico, verso l’ottenimento di uno stato o condizione che siano degni di essere considerati Migliori. Ma stiamo davvero parlando, in tali prototipiche circostanze, di una caratteristica dei soli ominidi discesi dalle scimmie dei primordi naturali? Poiché se il succedersi delle generazioni progressive ci ha donato, con notevole vantaggio, di un cervello tanto complesso e sofisticato, ancor più diretto verso il cielo quel processo è risultato per una particolare sottofamiglia delle lucertole agamidi, che includono per fare qualche esempio quella barbuta (pogona) il drago d’acqua cinese (P. cocincinus) e il compatto acantinuro dei deserti africani (Uromastyx a.). E poi ci sono loro, le Draconinae dotate di ali e addirittura una pinna di stabilizzazione collocata in corrispondenza della gola, che possono aprire o chiudere a comando neanche fossero una sorta di aeroplano a geometria variabile. Circa 40 specie differenti, benché alcune molto più comuni di altre e dotate di una serie di elementi e caratteristiche, che potremmo facilmente ritrovare disperse tra le sommità degli alberi dell’India, le Filippine e l’intero Sud-Est Asiatico. O ancor più facilmente, individuarle mentre balzano, come costituisce loro primaria prerogativa, dai rami protesi tra l’uno e l’altro, avendo cura di ricordare al mondo come il pavimento possa veramente essere lava, quando sei un rettile delle lunghezza di 20 cm circa che vive in un ambiente pieno di agguerriti e famelici predatori. Così che, per queste piccole e colorate creature, esistono soltanto due modalità: l’attività frenetica che le prepara al coraggioso balzo nell’infinito, o un assoluto stato d’immobilità mimetica, facendo affidamento sulla propria livrea generalmente specializzata nel ricordare la corteccia di particolari tipologie d’arbusti. Vedi il caso della Draco dussumieri della parte meridionale dell’India, che resta prevalentemente immobile per buona parte della sua giornata, facendo affidamento sul reiterato e prevedibile passaggio di letterali schiere di formiche arboricole, che divora con trasporto risucchiandole dentro la bocca dotata di denti piccoli e aguzzi, concepiti unicamente come ultimo strumento d’autodifesa. Almeno finché il suo cervello di rettile, per una serie di circostanze non sempre apparenti, non segnali che è giunto il momento di raggiungere un differente angolo del proprio territorio, portando allo spettacolare dispiegamento del patagium disteso tra costole specializzate, la membrana di pelle che permette all’animale di staccare tutte e quattro le zampe dal terreno solido, planando via verso destinazioni, anche piuttosto lontane: fino a 10 metri di distanza, in circostanze convenzionali, benché si abbiano notizia di lucertole che si sono dimostrate in grado di percorrere volando uno spazio anche tre volte superiore, grazie alla loro leggerezza inerente e la capacità di generare un elevato grado di portanza. Benché gli etologi sembrino dissentire, sostanzialmente, sul perché una simile situazione abbia avuto il modo e la ragione di verificarsi…

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Il più grande inganno perpetrato ai danni dello scarabeo stercorario

Mia madre diceva sempre: “Le antilopi vanno e vengono, come gli ammassi di vapore acqueo nel cielo di primavera. Ma chi trova una sfera di sterco, trova un tesoro.” Rotola, rotola, rotola. Spingi, spingi, tira. Le dure fatiche di un giorno di lavoro, infine ricompensate, quando si riesce a raggiungere la piccola buca nel terreno. Le stelle mi avevano guidato. L’irta pendenza mi aveva ostacolato, fino all’operoso consorte impegnato a rinnovare l’appartamento semi-sepolto. Ed ora, con un intenso sospiro di soddisfazione, ho aperto le aguzze tenaglie mandibolari, per dare inizio al nostro pasto che è anche il preludio della deposizione, con tanto amore e così tante uova da dare. Eppure, ecco l’estremo senso di sorpresa e di delusione: “Mio caro, questa palla è difettosa. Continuo a tentare d’aprirla, ma tutto quello che ottengo è un suono che potrei riassumere con l’ottima onomatopea descrittiva, TONK!” “Mia cara, direi che sembra più che altro un DONK!” Risponde lui, sebbene simili argute disquisizioni, in ultima analisi, falliscano totalmente nel suggerire una via risolutiva alla sconveniente faccenda. É colpa di quella dannata pianta; le nostre antenne erano state sviate dal suggestivo aroma. I nostri occhi, offuscati da quel marrone invitante. La trappola, frutto di tanti millenni d’evoluzione, si era serrata sulle nostre benevole aspettative. Ed ora cos’altro avremmo potuto fare, se non trasferirci, contando su un futuro migliore?
Molti sono i modi in cui poteva presentarsi, in linea di principio, il seme della pianta erbacea Ceratocaryum argenteum, una delle rappresentanti del genere Restionaceae facenti parte della tipica macchia fiorita sudafricana, che i primi coloni europei della zona avevano imparato a definire fynbos, dall’espressione anglofona fine bushes (bei cespugli). Poteva essere lungo, poteva essere bianco, piccolo, alato per sfruttare l’energia del vento. Ma caso vuole che esso, causa le ottime ragioni della natura, finisse per presentarsi con un aspetto ragionevolmente indistinguibile dalle feci sferoidali dell’antilope Damaliscus pygargus, comunemente detta damalisco dalla fronte bianca. Una somiglianza largamente ignorata dal mondo scientifico finché nel 2016 il Prof. Jeremy Midgley del Dipartimento di Biologia dell’Università di Città del Capo, nel tentativo di comprendere per quale ragione tale pianta affidasse il proprio materiale genetico a una capsula tanto strana, nonché la più grande della sua intera famiglia vegetale, pensò bene di riprendere le interazioni di alcuni esemplari del grazioso topo a strisce locale Rhadbomys pumilio, aspettandosi di vederlo consumare con enfasi la strana ghianda, o nocciola che dir si voglia. Se non che l’astuto roditore, una volta preso atto della durezza e la natura maleodorante di tale improbabile frutto della terra, sceglieva comprensibilmente d’abbandonarlo andando in cerca di un pasto migliore. E fu così che l’attento scienziato, osservando e contando attentamente gli elementi visibili nei suoi video, notò come alcuni dei semi sembrassero iniziare a muoversi all’improvviso, scappando fino ai margini dell’inquadratura. Non per strane anomalie gravitazionali, bensì l’intervento, entusiastico e testardo, di una particolare specie di scarabeo…

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L’ornato cimiero che campeggia sulla testa del pollo-piccione

Un solo suono che risuona, particolarmente nei mesi della primavera, sulle verdeggianti terre della seconda isola più grande al mondo: come l’intensa vibrazione aerea, della corda di un bassista senza forma fisica visibile tra gli acquitrini ai margini della foresta. Intensa e reiterata, naturalmente misteriosa per l’orecchio degli umani. Ma non quello, assai più esperto, della femmina in attesa; dondolando, sulle lunghe zampe decorate con un disegno a macchie, l’occhio rosso cerchiato di nero e fisso verso la radura, ecco che si allargano le ali di colore marrone. Mentre sulla testa, si ergono le piume prelevate in apparenza dalla coda di un pavone: è una Goura victoria, splendido uccello crestato della Nuova Guinea. L’affascinante perlustratore di un ambiente tanto eccezionale da sembrare quasi alieno. Eppure ragionevolmente familiare, in apparenza. Soprattutto per colui che si trovasse ad identificarla, da lontano, senza un senso chiaro di quei 70 cm di lunghezza ed i 2,1 Kg di peso, pensando che tutto sommato non sia poi tanto diversa dal comune piccione delle piazze cittadine europee. Benché sia ragionevole affermare che dal punto di vista delle dimensioni stia ad esso, in proporzione, come un tacchino americano al familiare pollo della fattoria.
Come potrà emergere da un rapido approfondimento, tuttavia, capiremo presto di trovarci innanzi a una creatura dalle abitudini ecologiche e comportamento nettamente distinte, la cui metodologia di cantare all’alba e poi mettersi alla ricerca del cibo preferito, che include frutta caduta, semi, vermi e lumache, assomiglia nettamente al tipico uccello razzolatore del sottobosco europeo. Inclusa l’abitudine di ritirarsi con l’intero gruppo di circa 5 o 6 esemplari, al sopraggiungere del vespro, sugli alti rami usati per sfuggire all’attenzione dei predatori. Il che del resto non è mai stato abbastanza per proteggersi dalla spietata caccia, per le carni e la bellezza delle sue piume, messa in atto attraverso i secoli dalle popolazioni locali. Nonché la cattura frequente per zoo, collezioni private e voliere, dove generalmente non riesce a riprodursi in modo particolarmente efficiente, causa le caratteristiche particolari della sua biologia. Tra cui soprattutto la necessità, comune al tipico colombo occidentale, di nutrire i propri piccoli con la particolare secrezione prodotta nel suo gozzo, comunemente detta il latte di piccione. Le cui doti antiossidanti e benefiche per il sistema immunitario dei pulcini possono soltanto derivare da un particolare equilibrio dell’alimentazione, difficile da riprodurre in cattività. Un ulteriore grado di complessità, per preservare la continuità genetica di questo animale progressivamente più raro e prezioso…

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