L’antica soluzione agricola del villaggio con l’aspetto di una foglia

Guardate questa foto aerea della piacevole cittadina polacca di Sułoszowa, nella contea polacca di Cracovia, le cui case si susseguono lungo il sentiero della strada Olkuska come altrettanti pezzi del Monopoli, ciascuna l’espressione di un particolare nucleo familiare, con le proprie idee in materia di decorazione dei cortili, colore della facciata, dimensione e numero delle finestre. E la stessa distintiva inclinazione, per quanto possibile, a servirsi di una porta sul retro usata per accedere a un cortile, per così dire… Particolare. Lungo esattamente un furlong (201 metri) e largo una catena (20 metri) nella stretta e incuneata losanga multicolore che prende il nome di selion, in qualità di appezzamento basico all’interno di una specifica suddivisione dei terreni. Quella nata attorno al XIV secolo in Europa e che oggi continua in certi luoghi a sopravvivere grazie all’eredità diretta delle famiglie, soprattutto nel territorio del Regno Unito e presso l’area oggetto della cosiddetta Ostsiedlung, ovvero il processo di colonizzazione da parte dei tedeschi delle zone oltre i confini orientali della loro nazione.
Di certo, questo è il sogno di ogni abitatore del moderno contesto urbano è sempre stato quello di riuscire a lavorare “vicino casa”, eliminando in questo modo le costose e spesso problematiche trasferte in macchina, con traffico dell’ora di punta, lavori stradali ed altre odiate amenità inerenti. Ma senza il compromesso del mestiere svolto a distanza tra le mura domestiche, luogo spesso troppo angusto, e personale, per riempirlo con l’ingombro dei doveri imposti dalla propria dura quotidianità professionale. Per questo siamo soliti sognare, dai nostri appartamenti senza nessun tipo d’orto né giardino, l’ideale vita del possidente terriero, che tramite la divisione tra “dentro” e “fuori” è in grado di determinare il suo destino interamente tra i confini del concetto abitativo di fattoria. Ciò detto e anche prendendo in considerazioni simili premesse, fatta eccezione per chi ha ricevuto il compito di amministrare un territorio solitario, è comunque difficile riuscire a disporre di un’assoluta unità topografica tra casa e campi coltivati, soprattutto quando si fa parte di una specifica comunità agreste, dove nondimeno occorre muoversi con il trattore ad ogni sopraggiungere dell’alba. Una problematica senz’altro esacerbata in epoca del Medioevo, quando l’uso dell’aratro e del cavallo risultavano inscindibili, motivando la necessità continua di spingere l’equino fino allo specifico appezzamento, costituente l’obiettivo di giornata per il contadino e la sua intera famiglia. Considerate, a tal proposito, la problematica di un qualsivoglia signore del feudo, che non possedendo direttamente alcunché, deve semplicemente amministrare i territori del suo sovrano, dandoli in gestione ai sottoposti che a loro volta precorrevano il concetto di proletariato nullatenente, fatta eccezione per la proprietà degli attrezzi e la capacità di usarli. Ecco dunque il più comune approccio del sistema dei “tre campi”: grano, cereali e legumi, ciascuno frutto di uno specifico sistema di conoscenze, progressivamente ereditato da una particolare linea familiare di codesti utili, ma poco adattabili servi della gleba. Perché non togliere semplicemente, si giunse a chiedersi attraverso i secoli, ogni tipo di confine o recinzione tra i diversi settori? E delimitarli, già che siamo a questo punto, in modo lungo e lineare, risparmiando per quanto possibile a colui che guida il vomere, con la sua carente maneggevolezza, le necessarie quattro curve ai margini del suo rettangolo assegnato. Sto parlando, per usare una metafora, della testina meccanica di una grossa stampante ad aghi umana….

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Trattori che costruiscono colline, coltivando l’arte nobile dell’insilaggio

Sofisticata deve necessariamente risultare, la progressione logica che porta la affamate moltitudini a soddisfazione gastronomica continuativa nel tempo. Poiché la civiltà presente non ha nulla, se non l’essenziale concezione che ogni cosa debba essere per forza “degna” delle proprie tavole, ovvero in altri termini, frutto di un apprezzabile sacrificio di tempo, vita o spazio di stoccaggio per un tempo abbastanza lungo. Poiché “L’umanità non è costituita da formiche!” Ma cicale armate di avanzate tecniche industriali, che consentono di mettere in secondo piano sostenibilità e ragionevolezza; per lo meno, verso l’ultimo anello di questa catena gastronomica dei giorni. Basta tuttavia decidere di risalire temporaneamente, lungo l’estensione tintinnante di una simile interconnessione tra causa ed effetto, per trovarsi circondati dalla prova pratica che collaborazione nella costruzione di colonie o cumuli, comuni agli imenotteri a sei zampe, in qualche modo ci appartiene ed la base stessa di un’industria particolarmente remunerativa: quella utile, più di ogni altra, ad arrecare nutrimento al bestiame.
L’insilaggio, in quanto tale, è un’arte particolarmente antica che consiste nella fermentazione indotta dei mangimi per mucche, pecore o capre risalente (almeno) al 1500 a.C. Sebbene non figuri alcun metodo ancestrale, nel particolare approccio alla questione dimostrato in questo video timelapse della cooperativa agricola statunitense Green Earth Ag Services, nel corso del quale viene portata a termine l’ultima fase preparatoria di una quantità approssimativa di 36.800 tonnellate di mais. Abbastanza da nutrire, per un tempo di svariati mesi, l’intera popolazione super-densa di bovini all’interno della gigantesca proprietà committente. Mentre il gruppo di trattori, avendo già deposto a strati sovrapposti quanto di dovere successivamente compattato grazie al loro stesso peso, attendono pazientemente che la ruspa con il braccio scavatore guidi fin sopra la cima, mentre il gruppo di operatori dispone il velo di plastica a tenuta stagna. Ciò affinché l’ossigeno venga bloccato dal penetrare in mezzo al cibo granulare ed ultradenso, accuratamente messo sotto-vuoto, per quanto possibile, mediante l’impiego del risucchio di un ventilatore da campo. Segue quindi, lo srotolamento della tela impermeabile trainata grazie al mezzo da cantiere, che dovrà essere bloccata in posizione tramite l’impiego di pneumatici tagliati a metà, affinché il vento e le intemperie non possano raggiungere il prezioso contenuto sottostante, linfa letterale della vita non-umana in fattoria.
I vantaggi dell’insilato rispetto a fieno e cereali prelevati direttamente dai campi risultano del resto estremamente significativi: non soltanto per la conservazione a medio-lungo termine, ma anche per l’apprezzabile incremento di cibo prodotto in proporzione agli acri coltivabili, senza per questo causare la decrescita del contenuto proteico necessario al benessere dei consumatori quadrupedi finali. Grazie ad un altra particolare genìa del mondo animale, a suo modo addomesticata e soggetta alle volontà storiche mediante la semplice e posa in essere di condizioni funzionali allo scopo: quella dei batteri, bacilli e clostridia, che cooperano nella disgregazione delle cellule vegetali. Consumando ossigeno, per produrre zuccheri tutt’altro che nocivi…

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L’ingegnoso espediente del tronco giapponese a due piani

Piattaforme in legno e fronde oltre la curvatura dell’orizzonte, fin dove l’occhio riesce a spingersi lungo l’irto declivio. Alberi sul lato della strada, sopra cui crescono ulteriori Alberi. Geneticamente uguali; ma esteriormente, diversi. Cos’ha creato il surreale paesaggio che caratterizza la regione giapponese dei villaggi di Takagamine, Takao, Kumogahata e Kitayama? Di certo, in una simile stranezza, dev’essere coinvolta la possente ed instancabile mano dell’uomo!
La moda è quell’influsso, simile a una carica elettrostatica, che ogni cosa percorre modificandone profondamente le caratteristiche fisiche immanenti; non sottovalutate mai, se potete, l’effetto che la moda può avere sull’aspetto dei luoghi e le persone, le preferenze operative di quest’ultime, la stessa forma e l’aspetto del paesaggio in cui abitiamo. Ci fu un tempo, nel Giappone dell’epoca pre-moderna, in cui colline intere attorno alla città di Kyoto vennero dedicate alla coltivazione di uno specifica tipologia di materiale. Ciò era legno e poco più di quello, ma anche molto un quantum straordinariamente significativo, oltre a quello. Era il tempo dei guerrieri in armatura, pronti a cavalcare dentro il turbine della battaglia. Che al ritorno dal caos e gli spargimenti di sangue del Sengoku Jidai (Paese in Guerra) pretendevano di riposarsi in uno spazio sereno e quasi mistico, la più perfetta applicazione della filosofia al concetto di spazio creato da, in base agli specifici bisogni e per l’uomo. Zen: se c’era stato qualcuno responsabile, in prima persona, di averlo trasformato in una linea guida dei processi architettonici vigenti, quel qualcuno fu senz’altro il monaco, filosofo e “maestro del tè” Sen no Rikyu (千利休, 1522 -1591) consigliere del signore della guerra Toyotomi Hideyoshi il quale, come molti altri nella sua non troppo comoda posizione, fu infine messo a morte per un disaccordo mai realmente chiarito dalla storia. Non prima di creare e regolamentare una specifica eredità culturale, tuttavia, che sarebbe diventata il fondamento stesso di un particolare approccio alla bevanda tanto utile per affrontare le vicissitudini e le ansie dell’esistenza. Chi creda che agitare il frustino di bambù nella preziosa ciotola, mentre ci si libera i pensieri prima di servire l’ospite d’onore, sia l’essenza e il fondamento ultimo di questa Cerimonia, sta rischiando di mancare essenzialmente il punto. Che consiste nel creare uno specifico momento, a cui si accompagna un contegno, una ragione, un sentimento. L’esperienza in cui lo stesso ambiente, la fondamentale Chashitsu (茶室 – Stanza del Tè) diviene un’interfaccia con il regno della mente sgombra da pensieri che riescano a offuscare la percezione del Tutto (禅 – Zen).
Con la pacificazione del paese, e l’istituzione della somma pax dei Tokugawa successivamente alla battaglia di Sekigahara (1600) l’approccio sobrio ed elegante alla concezione di simili ambienti venne quindi trasformato in un’intera corrente architettonica, dal nome specifico di sukiya-zukuri (数寄屋造り – Stile Raffinato) per distinguersi da quello pre-esistente di shoin-zukuri (書院造 – Stile della sala del tempio) in cui tutto era attentamente definito fino al benché minimo dettaglio, intrappolando la mente nelle regole del mondo terreno. Tale novità portava, tuttavia, anche un problema significativo e del tutto nuovo: poiché le più sontuose residenze realizzate dai signori di un simile società feudale, essendo assai più vaste ed imponenti di qualsiasi sala da tè, richiedevano una quantità proporzionale di pilastri, travi ed altri materiali simili. Che secondo la concezione nata sotto l’egida del mai abbastanza compianto Sen no Rikyu, dovevano essere naturalmente lisci, splendidi e perfetti tronchi, prelevati direttamente da una specifica tipologia di foresta collinare. Doveva necessariamente trattarsi nella maggior parte, in altri termini, del fusto centrale appartenente a un cedro rosso giapponese (Cryptomeria japonica) l’unico albero giudicato degno di costituire i pilastri della fondamentale nicchia del tokonoma (床の間) sancta-sanctorum dell’abitazione rispettabile, innanzi cui far sedere l’ospite, ovvero la tradizionale controparte nell’ormai diluita ed esteriorizzata cerimonia del tè. Il che richiese un’approccio funzionale alla foresteria che si sarebbe rivelato, nei secoli, davvero assai particolare…

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L’insetto a causa del quale non tutta la frutta è vegana

Sarebbe bello, sarebbe pratico senz’altro, se il colpevole si presentasse immediatamente visibile sotto i nostri occhi: il vorace verme del lucente pomo, nel suo buco prelibato, parassita della pianta che è sfuggito, in qualche modo, al processo di trattamento, preparazione e commercializzazione del frutto. Quando assai più subdola e decisamente meno facile da rilevare, si prospetta l’indiretta presenza del minuscolo Kerria Lacca, creatura affine alla comune cocciniglia europea, che dalle foreste dell’India e il meridione d’Asia è stato portato a trascendere la sua forma fisica meno affine; per entrare a far parte, in maniera indiretta, della stessa rete industriale che intrappola e circonda il mondo. Se avete mai preso una pillola, l’avete assaggiato. Se vi piacciono le caramelle, o i cioccolatini colorati tipo le M&M’s, ne avete assunto la più pura essenza nelle oscure profondità del vostro organismo. Se vi piacciono mele, pere o gli agrumi come arancio, mandarino etc, dovreste ormai chiamarlo una parte importante della vostra dieta quotidiana. E non per una situazione meramente accidentale, come si potrebbe essere indotti a credere considerata la natura di un simile parassita dei vegetali, bensì a causa di una ben precisa scelta operativa dell’uomo, che getta le radici in un’epoca straordinariamente remota e culmina con l’utilizzo in forma di spray, finalizzato a incrementare la durata della frutta prima di essere consumata. Si parlava già brevemente, in effetti, di un impiego architettonico di tale materiale nella sua forma più solida già nel grande poema antico del Mahābhārata, risalente al IV secolo a.C, al fine di costruire il gran palazzo dei Kaurava per commemorare la vittoria nei confronti dei Pandava. Sebbene in epoca moderna, a nessuno verrebbe in mente di edificare delle alte mura utilizzando la gommalacca o shellac, come viene chiamata in lingua inglese.
E probabilmente ne avrete già sentito parlare: la copertura solida e lucente, dalla colorazione in genere uniforme, impiegata in buona parte dell’Estremo Oriente al fine di rifinire una vasta quantità di oggetti, mobilia ed opere d’arte. Tale lacca tuttavia, estratta dalla resina della pianta Toxicodendron vernicifluum, è quanto di più indigeribile e potenzialmente nocivo sia possibile immaginare per l’organismo dei suoi utilizzatori; tutt’altra storia rispetto al corrispondente prodotto indiano, giunto sulle nostre tavole attraverso le lunghe e tortuose vie della storia. Considerate, a questo punto, la secrezione di una piccola e innocente creatura, affine a ciò che rappresenta il miele per le api e allo stesso modo, causa di un allevamento intensivo finalizzato alla produzione sistemica di un tale approccio al miglioramento della qualità della vita. Mediante un processo che risulta essere, inerentemente, assai diverso…

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