Allarme per un regicidio all’apice dell’alveare

Guarda, guarda bene questa scatoletta che assomiglia ad una confezione di cerini. Con un tappo di zucchero su un lato, e un piccolo reticolato per far fuoriuscire i feromoni. Al suo interno c’è un tesoro, il patrimonio inconsapevole della ronzante società. Che pare, nonostante tutto, pronta per gettarla nel figurativo vulcano prodotto da una “palla di fuoco” fatta del proprio stesso calore corporeo. Neanche fosse il sommo (sfortunato) Dio vivente della profezia dei Maya. Millenni di evoluzione, eoni sovrapposti, solamente per poter dire di essere arrivati a questo: la logica della sopravvivenza in gruppo, piuttosto che il deperimento dell’individuo. Poiché cos’è veramente un’ape, presa singolarmente? Nient’altro che una mosca a strisce gialle e nere. Ma prendine magari una dozzina, tra my Lady e il suo adorante seguito di fuchi, e avrai le basi per la nascita di una delle “creature” più versatili, longeve e potenzialmente persino immortali, dell’intero mondo artropode animale. Certo, a patto che tu sia disposto a definire tale un alveare. Del resto, di sicuro non è una “cosa”. Qualcuno potrebbe scegliere di definirlo, magari, un singolare tipo di aggregazione. Come un’allegoria del nostro vivere corrente, sospesi tra i diversi ordinamenti concepiti dai maggiori teorici del passato: democrazia, repubblica, federazione, comunismo… Monarchia non costituzionale (ovvero con lo scettro, la corona e tutto il resto). Quest’ultima, sempre più raramente. Poiché presenta alcuni lati estremamente positivi ma anche, indubbiamente, un difetto irrisolvibile di fondo. Pensateci: una singola persona che prende tutte le decisioni. Ciò significa uno stato privo di burocrazia, rapido, scattante. Se c’è il bisogno di effettuare una riforma, il giorno dopo sarà implementata. Se occorre dichiarare guerra, sarà meglio che inizi a correre, nemico. Colui che controlla il trono controlla l’impero e controllando l’impero, molto spesso, non c’è nulla che possa esimere dalle ambizioni di colui che può. Cosa succede, invece, se colui NON può? Del resto esistono diversi tipi d’individui. Alti, bassi, biondi, castani. Intelligenti, oppure dei completi idioti. E quel che è peggio è che il potere assoluto, tradizionalmente, veniva trasmesso per la via genetica. Il che vuol dire che ad un re incapace, molto spesso, ne seguiva uno ancora più incapace. Ed è così, alla fine, che si giunge alla rivoluzione dei francesi.
Ora, la questione delle api, se vogliamo, è ancor più problematica e complessa. Poiché loro è il singolare stile di vita per il quale ogni singolo membro della loro comunità, nessuno escluso, è una figlia o un figlio del sovrano. E per inteso non è questa certamente una metafora, visto che ciascuna singola larva nelle nursery esagonali, secondo il ben preciso ordinamento di cui sopra, è giunta in questo mondo tramite il-di-Lei ovopositore. E adesso immaginate di chi sarà la colpa, qualora tutto debba andare a scatafascio. Come càpita, talvolta. Vedi quando l’alveare non produce più abbastanza miele, oppure iniziano a mancare le nuove operaie, o non ancora non dimostra la capacità (o il coraggio) di sciamare verso una destinazione ancor più ricca di risorse alimentari. Oppure la regina muore di semplice vecchiaia. C’è un preciso protocollo, in tutto questo. Che prevede l’impiego di una sostanza molto importante nel ciclo vitale degli imenotteri volanti per eccellenza: la pappa reale. Generalmente data in pasto alle larve solamente per un paio di giorni, ma che a questo punto, viene letteralmente versata all’interno di alcune cellette più grandi, ricoprendo generalmente un’intera porzione dei futuri nascituri. Al che inizia la trasformazione: le giovani api si rafforzano e cambiano colore. E iniziano a sviluppare quel particolare tipo d’intelligenze che dovrà permettergli, un giorno non troppo lontano, di trasformarsi nel nucleo materno al centro del mondo. Benché sussista ancora un piccolo problema: soltanto una di loro potrà accedere allo stato di sovrano. Dopo che avrà ucciso, con le sue stesse mandibole di neonata, le proprie possibili concorrenti. Tale è l’inusitata crudeltà della natura. Qualcuno potrebbe definirlo un’approssimazione del concetto di Battle Royale.

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La rischiosa soddisfazione di aprire il favo

Apis Dorsata Honey

La paura non è altro che un’illusione. Mentre temere per la propria incolumità, un limite stringente a tutto quello che si può fare, dire o pensare. Così certe persone laggiù in Cambogia, camminando nel vortice tempestoso di schegge erratiche tra il veleno pronto all’uso di 100.000 piccole assassine potenziali, in qualche maniera ne escono cambiate. Non si tratta tanto di un pensiero sulla linea del “Non mi hanno punto oggi, non lo faranno mai!” Quanto l’esito finale, come la punta di un iceberg concettuale, di un’intera visione del mondo secondo cui, se la determinata cosa è sempre stata fatta dai tuoi genitori e nonni, e dai loro trisavoli e antenati ancor prima, non potrai certo essere TU, ad interrompere un simile filo comunicativo col passato. E poi, c’è una sola cosa migliore del miele a questo mondo: i soldi, che puoi fare vendendolo, per acquistare altre api e far sempre più miele. In un vortice appiccicoso che tutto sovrasta, persino la cognizione della propria stessa, insignificante mortalità.
Siamo a Siem Reap, nella regione che si trova tra i leggendari templi di Angkor e il grande lago di Tonle Sap, dove un’istituzione di nome Bees Unlimited, ben pubblicizzata e piuttosto proficua su vari livelli opera da anni, offrendo una finestra agli stranieri in visita sull’affascinante mondo naturale delle foreste del Sud-Est Asiatico, ma in particolare sul singolo approccio più frenetico alla produzione dell’ambrata cibaria insettile preferita dagli umani: andarlo a prendere, con soltanto un po’ di fumo ad aprirti la strada, presso l’alveare delle api giganti dell’India (Apis dorsata) creature notoriamente aggressive come ben poche altre delle loro dimensioni. Che una volta trovatosi sotto assedio, generalmente non esitano a sacrificarsi per andare a trafiggere chicchessia. Il che è davvero molto rilevante perché, come forse non saprete, questi particolari imenotteri eusociali non vengono assolutamente allevati in cattività, mediante la tipica soluzione dell’arnia artificiale, semplicemente perché farlo vorrebbe dire, in un singolo momento di distrazione, rischiare la propria stessa vita. Così la prassi prevedeva, fin dagli albori dei tempi, che una figura di cacciatore specializzato si recasse nel bosco, alla ricerca del gigantesco, singolo favo creato da queste creature, alto fino ad un metro e generalmente posto presso la sommità degli alberi, per farlo quindi a pezzi e trasportarne il contenuto fino al mercato del villaggio più vicino. Finché non venne scoperto un particolare approccio alternativo, molto efficace nell’incrementare la resa e soprattutto sostenibile, che consisteva nella creazione di una cosiddetta coltura con le travi inclinate (in inglese: rafters) per certi versi comparabile all’allevamento allo stato brado talvolta praticato con gli ovini. Che consiste, in parole povere, di creare un ambiente adeguato al sostentamento delle comunità d’api, approntando le strutture suddette in un’area di foresta degradata, e quindi ormai priva dei grossi rami generalmente preferiti dagli insetti. Tali habitat, naturalmente, saranno costituiti ad altezza degli occhi e resi facilmente raggiungibili senza l’impiego di tecniche di arrampicamento. Sopraggiunto quindi il primo sciame (le dorsata in cerca di propagazione si spostano di fino a 150 metri a partire dall’abitazione natìa) questo non potrà far altro che stabilirsi nel luogo a lui dedicato, trovandosi a quel punto perfettamente accessibile per la figura professionale dell’allevatore/ladro di miele. Ed è qui che comincia il bello.
La coppia all’opera nel video, potenzialmente padre e figlio o/e apprendista e maestro, prepara come prima cosa un fascio d’erba verde da far bruciare sotto il favo, al fine di creare una cortina fumogena adeguata. L’espediente risulta semplicemente fondamentale nella caccia al miele, perché induce nelle api una reazione che costituisce nell’ingozzarsi della preziosa sostanza e tentare la fuga da un presunto incendio, inibendo nel contempo l’odore dei loro feromoni, concepiti per trasmettere informazioni sull’aggressione del gigante armato di coltello alle simili dotate di pungiglioni, corroborato da un messaggio che potrebbe riassumersi come “UCCIDI, UCCIDI!” Ma niente di alato e ronzante potrà mai fermare i cacciatori/apicoltori cambogiani…

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L’ultima speranza delle api: l’energia del Sole

Thermosolar Hive

Immaginate per il prossimo paragrafo una società perfetta, in cui ciascuno ha il proprio ruolo, ogni bisogno del singolo è risolto dalla collettività, e l’abbondanza permea tutto di un’alone di magnifica serenità. Zero carestie. Un’abitazione sicura, inattaccabile dai predatori. Nessun pericolo dalle intemperie. Si tratterebbe, in effetti, della perfetta realizzazione di un paradiso in Terra, praticamente privo di qualsiasi controindicazione. Tranne quella, del tutto trascurabile, di veder sottratto il proprio miele. È una tassa ragionevole, nevvero? Del resto, se c’è una cosa che amano le api, è lavorare. E ciò che viene tolto, sarà ben presto ricreato. A meno che… Esiste una legge universale in natura, che determina il tendere di ogni creatura verso uno stato d’equilibrio generale. Così accade che il troppo benessere, dovuto alla benevolenza degli umani, le ha rese insetti prosperi, ma anche vulnerabili al destino. Di una catastrofe biologica letteralmente senza precedenti. Il cui nome, come molti già sapranno, è varroa. Varroa destructor, per la precisione. Una cosa molto piccola. E rossastra. Dalle eccessive zampe. L’individuo sovversivo, che penetrato in Paradiso dalle viscere del mondo, lo contamina con la propria presenza. Succhia il sangue e diffonde atroci malattie. Molto lentamente, si moltiplica. Finché al termine, non resta altro che un alveare silenzioso!
L’unica speranza dal loro punto di vista, allora, è arrendersi… Sperare in una morte rapida e indolore… Del resto, è improbabile che un’insetto possa comprendere l’incombenza minacciosa dell’Apocalisse…. Mentre noi, che invece sappiamo addirittura metterla in parole, siamo davvero inermi innanzi all’estinzione delle api? A giudicare da quanto sono qui a proporci, tramite la piattaforma di crowdsourcing INDIEGOGO il Dr. Roman Linhart e Jan Rája, dell’Università di Palacky in Olomouc, Repubblica Ceca, non sarebbe possibile fare un’affermazione più distante dalla verità. Gli strumenti esistono, sono tecnologici ed innovativi. Tutto quello che serve: 20.000 dollari per cominciare. Non a caso già in molti hanno scelto di offrire il proprio contributo. Dopo tutto, in gioco c’è molto di più del solo miele! Il video di accompagnamento del progetto, usato per indurre il grande pubblico a comprare i gadget che sostengono la raccolta fondi, quando non il prodotto stesso con consegna in un imprecisato futuro, esordisce con una celebre affermazione, da sempre tradizionalmente e stranamente attribuita al fisico Albert Einstein: “Se le api dovessero perire, l’intera umanità le seguirebbe entro un periodo massimo di quattro anni.” Una profezia facente riferimento, ovviamente, non tanto al crepacuore per la scomparsa del nostro gustoso miele, quanto per il contraccolpo ecologico dovuto alla scomparsa di queste fondamentali impollinatrici, da sole responsabili per la continuazione ininterrotta di circa un terzo delle specie vegetali adatte alla nostra consumazione. Ed ecco, dunque, il loro piano di salvezza: creare un nuovo tipo di alveare artificiale, per così dire “standard” da sostituire alla classica scatola di legno usata dagli apicultori. Che possa, grazie alle sue particolari caratteristiche progettuali, sterminare letteralmente l’odiato parassita della società ronzante. Grazie a uno strumento ambientale letteralmente gratuito, e da sempre a nostra massima disposizione: l’estremo calore dell’astro solare. È un sistema interessante per affrontare il problema. Basato sull’energia solare. Del resto, fin dai primi anni ’90, i giornali scientifici internazionali avevano pubblicato diverse ricerche, prevalentemente provenienti dal Giappone, mirate a dimostrare come il varroa fosse naturalmente vulnerabile a temperature superiori ai 40°, tollerate invece facilmente dalle loro vittime a noi care. Si era capito, quindi, come un possibile approccio alla rimozione di un’infestazione fosse il surriscaldamento indotto, per periodi a medio termine, tramite l’impiego di appositi dispositivi. Un proposito, tuttavia, decisamente complicato…

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L’uomo che ronzava sottovoce agli alveari

JPthebeeman

Video pregni, scene molto significative. Il ciclo dei momenti in cui la sapienza tecnica fa molta differenza, e solo aver sperimentato prima quella cosa, in cento e più occasioni, può permetterti di giungere a risoluzione del problema. Momenti che restano in piena evidenza, sopra il catalogo spropositato di YouTube, per essere citati a più riprese, ogniqualvolta l’argomento sembri significativo. Finché diventano leggenda. Ed a quel punto si dimentica, è uno strano paradosso, il nome di colui che fa l’impresa: chi è JP the Bee Man? Chi è che osa manipolare le api senza tuta, guanti o altre protezioni? Cosa fa muovere l’autore e protagonista di alcuni grandi classici del web, come “Sciame che infesta l’auto nel parcheggio” oppure, “L’alveare incastrato nel doppio muro di mattoni”? Sequenze famose non soltanto perché mostrano un qualcosa che non vedi certamente tutti i giorni (a meno che non sia tu stesso un apicultore) ma per la serie d’importanti informazioni elargite, con il suo consueto tono pacatamente entusiasta, del più celebre 50% del duomvirato dei Bickering Beekepers, formato da lui Jeff Armstrong “JP”, di Metairie Louisiana, e Bruce Scharwath detto Schawee, occasionale mano dietro la telecamera nonché socio in affari a partire dal 2010. Perché fare una cosa simile, portarsi via le api, non è dev’essere necessariamente traumatico, per il disinfestatore, per il proprietario, oppure per le api. Tutto ciò che serve è la conoscenza dell’approccio giusto, la non violenza che contagia addirittura loro, ospiti indesiderate ed altrettanto inconsapevoli di ciò che può accadere.
Come esempio del modus operandi di questo grande accaparratore di cose ronzanti, potrebbe tornare utile in modo particolare questo intervento del febbraio del 2014, in cui le condizioni d’illuminazione pressoché ideale, nonché la totale solitudine e il silenzio, permisero a JP di spiegare in modo particolarmente esaustivo ciascuno dei passaggi compiuti, offrendo la chiave per trovarli e comprenderli nei suoi numerosi video precedenti e successivi. Si trattava, tra l’altro, di un caso piuttosto atipico, in cui un’intero sciame in corso di migrazione, ben prima di aver trovato un punto in cui stabilirsi definitivamente, si era fermato a riposarsi temporaneamente in un grande copertone da camion, abbandonato in una zona forestale presso il fiume Mississipi. Qui dunque, lasciate a loro stesse, le api avevano iniziato ad apprezzare l’ombra e l’apparente tranquillità locale, iniziando a costruire il favo, in luogo troppo basso e alla portata di uccelli ed altri predatori. Finché qualcuno, forse un agricoltore locale, oppure un escursionista che passava di lì, non ha fatto girar la voce tra i locali, finché la presenza delle eterne impollinatrici non è giunta fino all’orecchio di chi aveva in loro un interesse, per così dire, particolare. Il prezzo di un alveare completo, o come potremmo definirlo noi esterni del settore: “la piccola fabbrica del miele” può infatti aggirarsi tra i 150-250 dollari, per non parlare della rendita difficilmente calcolabile che detta comunità potrà fornire al suo padrone nel corso di settimane, mesi ed anni. A differenza di qualsiasi altro animale che fa produzione, come galline, mucche o maiali, le api sono operative 24 ore su 24, non hanno il problema della gioventù o della vecchiaia, non richiedono le cure di un veterinario. Semplicemente lavorano in eterno, oppure, come purtroppo sta accadendo sempre più di frequente negli ultimi tempi, si ammalano tutte assieme e cessano di assolvere al fondamentale compito dell’impollinazione. Un motivo questo, se vogliamo, di essere ancor più veementi nella loro ricerca, e salvare quante più comunità possibili, perché un giorno potrebbero essere l’ultima speranza di sopravvivenza dell’intera biosfera terrestre.

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