
Nell’oscurità dello spazio, a migliaia di chilometri dalla superficie, osservo la rifrazione luminosa dell’alba al confine tra il pianeta ostile ed il nulla. La potente tuta da combattimento che racchiude il mio essere, rigida ed opprimente, non fa che accrescere il cupo senso di attesa: fra pochi minuti il reattore a fusione della nave stellare governativa, liberata l’energia al suo interno, trasformerà la mia pesante armatura nella risorsa più potente di questa inumana guerra interstellare. Di fronte a me i derelitti soldati della Section 8 caricano i fucili, controllano la dotazione di esplosivi, attivano le estensioni del loro sistema operativo. “Tre minuti al lancio” mentre l’I.A. del computer di bordo chiama uno dopo l’altro i nomi dei miei gregari per l’assalto di oggi, li vedo sparire in rapida successione attraverso le aperture nel pavimento d’acciaio. Mi chiedo brevemente quante tonnellate di munizioni anti-aeree stiano salendo ad incontrarci, e se provino anche loro dei sentimenti “Due minuti” la capsula meccanizzata, simile ad una bara di metallo sospesa nel vuoto, si affretta nel completamento del suo lavoro. Il lanciarazzi da incursione viene assicurato al mio equipaggiamento. Controllo per l’ultima volta lo schermo del fucile d’assalto: “Computer, proiettili ad incudine e sistema di puntamento al secondo livello della scala tattica” un regalo speciale per i reparti scelti di ARM. Il sistema compensa l’aumento del peso dell’arma con la riduzione dello scudo ad energia – “Alex Corde, prepararsi al lancio” la maschera protettiva del mio casco spaziale si chiude con il breve sibilo di un crotalo infuriato, quando perdo improvvisamente il senso dell’orientamento. La testa in avanti, percepisco più che vedere il condotto di lancio che sto percorrendo in accelerazione crescente verso 14.000 metri di vuoto, l’impatto terrificante contro il suolo granitico della città assediata e l’esaltazione della battaglia. Le chiazze di fumo dei flak nemici sembrano oscure meduse sospese nell’aria rarefatta.


