Felicità: che cos’è un lungo serpente di monopattini brasiliani?

Silenziosi e non troppo desiderabili monumenti, spuntati in mezzo al centro storico delle nostre città turistiche e rinomate, questi arcani attrezzi rappresentano il bisogno più evidente di dare una scossa significativa alla mobilità urbana: niente chiasso, né parcheggio, zero emissioni grazie alla metodo della propulsione elettrica, grande bandiera degli obiettivi tecnologici nell’immediato futuro. Per chiare e significative linee di ragionamento, tuttavia, appare ormai poco probabile che il monopattino possa giungere a sostituire l’automobile nell’intera gamma delle sue funzioni, persino all’interno delle mura che delimitano i nostri più vicini e semplici bisogni nel quotidiano. Rischio d’incidenti, flessibilità atletica, prontezza di riflessi, coraggio di affrontare i pericoli che corrono a lato degli affollati marciapiedi… Queste ed altre simili ragioni, qui convergono a ridefinire il senso di una soluzione maggiormente utile al ragazzo in cerca di svago, il turista incuriosito ed altri simili recessi del variegato consorzio umano. Eppure dove mai sarebbe, nella scelta di un tale noleggio, la spontaneità? Dove il senso creativo dell’individuo, incline a dare un senso a un pomeriggio privo di computer, cellulare, Playstation e Nintendo Switch? Per un servizio creato e dedicato esclusivamente ad un pubblico adulto. E persino nei riguardi di quest’ultimo, severamente regolamentato dalle stringenti norme della responsabilità e sicurezza civile. Pensiamo d’altra parte di poter chiamare a noi un’intera dozzina di questi dispositivi. Ed in qualche maniera combinarne il potenziale nascosto all’interno, verso la creazione di un qualcosa di radicalmente nuovo e programmatico nel suo significato apparente. Creato sul modello (perché no!) di questa impressionante attività dei giovani di Rio, San Paolo e Salvador, consistente nell’evocazione tecnologica di una creatura che in un certo senso, diede i natali e alimentò il primordiale amore degli umani nei confronti della Conoscenza. Serpe tentatrice, boa dai sentimenti nebulosi, cobra delle circostanze uniche e segrete: senza zampe eppur dotata, nella sua accezione qui presa in esame, da una lunga pletora di cuscinetti a sfera…
Nessuno è in questi lidi abituato, s’intende, a chiamarli propriamente “monopattini” bensì carrinhos de rolimã ovvero semplicemente “carretti a rotelle” benché le implicazioni di una simile definizione riescano a sottintendere ulteriori aspetti, che trovano corrispondenza in una specifica attività giovanile diffusa e praticata in buona parte dell’America Meridionale, consistente nella messa in opera di un veicolo nettamente definito. Poco più che un asse con un sedile attaccato sopra, in buona sostanza, dotata di quattro cuscinetti per uso meccanico due dei quali montati su una traversa dotata di un perno, da manovrare mediante l’impiego diretto dei piedi secondo i bisogni dell’utilizzatore. Siamo di fronte, in altri termini, al prototipo essenziale di quello che Red Bull avrebbe reso celebre negli Stati Uniti con le sue gare anti-convenzionali della rinomata soap box race, riconoscibili per le sfolgoranti personalizzazioni mediaticamente concepite per stupire un pubblico su scala internettiana…

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Io, futuristico robot pompiere costruito in Estonia

L’idea che l’essere artificiale debba necessariamente essere costruito a nostra immagine è profondamente radicata nella genesi del concetto originale di robot: dalla genesi del termine, adottato su scala internazionale a partire dal dramma teatrale R.U.R. dell’autore cecoslovacco Karel Čapek in cui si parlava di esseri maggiormente simili a dei cloni, fino alle moderne opere creative che trattano di androidi, come Blade Runner, Terminator o Westworld. L’ideale tecnologico della macchina indistinguibile dall’uomo, tuttavia, si fonda sull’ideale secondo cui forma & funzione risultino inscindibili, connotato da una capacità tecnologica pressoché illimitata. Laddove all’interno dell’effettivo mondo fisico, l’esperienza c’insegna che il tipico agente artificiale dei nostri bisogni o desideri assume normalmente un aspetto configurato sulla base dell’evoluzione, ideale percorso che conduce al perfezionamento delle sue caratteristiche, con soltanto un parziale interesse in merito a quale impressione possa suscitare il suo aspetto. Immaginate, a tal proposito, di trovarvi intrappolati all’interno di un edificio, circondati da un turbinìo di fuoco e fiamme che minaccia ad ogni attimo di togliervi il respiro. Sareste veramente pronti a dubitare delle circostanze, se in quel drammatico momento l’equivalente su scala ridotta di un minaccioso carro armato facesse la sua comparsa oltre la soglia, spruzzando in ogni direzione copiose quantità di schiuma candida come la neve della salvezza?
Lungo una scala da 1 a 10 il nuovo modello della serie Multiscope Rescue di Milrem Robotics risulta dunque 11, in termini di aspetto aggressivo ed anti-antropomorfo. Il che non dovrebbe certamente sorprenderci, trattandosi dell’adattamento civile di uno strumento concepito da principio per un tipo d’impiego esclusivamente militare. Chiamato al momento soltanto “pompiere robotico” dai suoi produttori con base in Estonia ed equipaggiato con un sistema di multipli cannoni idrici a schiuma antincendio forniti dalla compagnia olandese InnoVfoam, questo veicolo a controllo remoto che rientra a pieno titolo nella categoria degli UGV (Unmanned Ground Vehicles) rappresenta la conveniente applicazione di un vasto comparto tecnologico allo scopo che dovrebbe accomunare, nella maggior parte delle circostanze, i pompieri di tutto il mondo: poter spegnere l’incendio senza mettere a rischio la loro stessa personale incolumità. In un video totalmente creato al computer e indicativo del funzionamento ipotetico di questo concept, dunque, il mezzo viene mostrato mentre avanza senza nessun tipo di timore verso il pericoloso incendio chimico, trascinando i lunghi tubi di rifornimento all’interno di un qualche tipo di stabilimento industriale. Pilotato a distanza di sicurezza, dunque, il robot riporta grazie ai suoi sensori la presenza di un perdita di gas, mentre l’operatore, reagendo di conseguenza, orienta i propri getti dove maggiormente se ne sente la necessità. In breve tempo, quindi, la situazione torna chiaramente ad uno stato di quiete, con una quantità minima di danni alle cose e persone coinvolte maggiormente in questo piccolo dramma digitale. Il che rappresenta un tipo di risoluzione che potremmo definire ideale, ancor prima che realistica, benché offrendo alla proposta in questione il giusto beneficio del dubbio, il suo svolgersi secondo tali presupposti non fuoriesca totalmente dal reame di un possibile futuro…

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Da un tempo di guerra, l’anello mancante tra il carro armato e la moto

Quando si considera lo stile di guida e lo stato d’animo, per non dire il modo in cui si guardano le curve, implicati da un particolare approccio veicolare agli spostamenti, non esistono probabilmente estremi più distanti che le due e le dodici ruote. Corrispondenti, le prime, al tipico implemento molto popolare anche in tempi di pace, con l’aggiunta di un motore alla versione più pesante di una bicicletta, meno i pedali; ed il secondo al caro panzer, corazzato sfondatore delle linee nemiche, oggetto di manovra ed ottima risorsa tattica della Wehrmacht, durante molte delle sue campagne condotte prima e dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale. E chi si mette dentro i panni del pilota, volta per volta, deve necessariamente riadattare i limiti delle sue aspettative, all’uno o all’altro caso, sulla base di capacità o prospettive ben diverse. Anche per questo fu inventata, in tempi soltanto lievemente sospetti, l’unione concettuale delle due cose, ovvero equivalenza veicolare di quello che potremmo definire un centauro delle valli, o una sirena dei mari. Sd.Kfz. 2 (Sonderkraftfahrzeug: veicolo speciale) o Kettenkrad (letteralmente “moto cingolata”) era una soluzione pratica a una grande quantità di problemi: spostare fino a due passeggeri, in aggiunta al guidatore, da una zona all’altra del fronte di battaglia, trainare pezzi d’artiglieria o aerei, consegnare bagagli o svolgere bobine di cavi. La sua popolarità, tuttavia, non avrebbe raggiunto l’apice fino all’operazione Barbarossa del 1941, quando i tedeschi s’inoltrarono attraverso il fangoso territorio della Russia coi loro mezzi, armi e bagagli, scoprendo quanto poco fosse nei fatti utilizzabile su tali superfici la moto con sidecar BMW R75, principale veicolo leggero da loro impiegato sui diversi fronti di battaglia. Ecco allora che i soldati Schmidt, Schulz, Koch o Bauer afferravano saldamente il rigido manubrio, riuscendo finalmente a trovarsi lungo i diversi punti della sovra-estesa catena di rifornimento militare della Germania.
La (o il) Kettenkrad costituiva, nei fatti, l’ottima espressione di un bisogno percepito da molte nazioni coéve, quello di un veicolo capace di essere impiegato attraverso le più diverse situazioni militari, un po’ come la Jeep dell’esercito americano. Sebbene fosse, rispetto a quest’ultima, sensibilmente più costosa e difficile da mantenere in condizioni operative. Questo perché il tipo di trasmissione e cingoli impiegati, l’onnipresente Schachtellaufwerk o sistema delle ruote sovrapposte era già sufficientemente complesso ancor prima di considerare il cingolo tenuto assieme da una lunga serie di cuscinetti a rullini, ciascuno chiuso in una capsula e da lubrificare individualmente, pena progressiva cessazione del funzionamento veicolare nel suo complesso. Benché la presenza di una ruota anteriore montata su una forcella a parallelogramma potesse costituire essa stessa un significativo vantaggio, capace di rendere più istintivo l’impiego del mezzo aumentandone nel contempo stabilità e agilità di sterzata. Dal che deriva la ragionevole questione di come, effettivamente, tale approccio relativamente poco significativo all’interfaccia di controllo umana potesse influenzare in qualsivoglia modo la direzione di spostamento di un qualcosa che pesava, tutto considerato, circa una tonnellata e mezzo esclusi i passeggeri. Ed è proprio in questo che possiamo trovare il genio fondamentale della compagnia costruttrice, la NSU Motorenwerke di Neckarsulm, vicino Stoccarda: poiché nel momento in cui si esercita pressione contro il suddetto manubrio, lungi da limitarsi a operare su di esso, il pilota mediante un complesso sistema idraulico interagisce con il sofisticato differenziale della moto/rimorchiatore, capace di arrestare l’uno o l’altro cingolo esattamente come avviene nella maggior parte degli altri mezzi cingolati. Verso l’ottimo e auspicabile raggiungimento della meta originariamente prefissata…

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Il treno con la testa rotativa che fagocita l’Inverno

Diventò d’un tratto chiara, al suono sibilante del vapore, l’effettiva portata di quanto stava ormai per capitare: dopo esserci scontrati con il mostro tante volte, lungo i ripidi sentieri della “mezza” vita, qualcosa di fondamentale si era trasformato nel profondo della nostra anima e nel cuore dei guerrieri. Così che al mutare della notte verso il giorno, sopra l’alto passo di Donner a ovest di Trucker, California, mentre indossavamo l’uniforme, l’elmo disadorno di colore giallo e impugnavamo l’essenziale ricetrasmittente d’ordinanza… Per un attimo fugace, solamente un singolo momento, arrivammo a chiederci: “É realistico? Che sia ancora la natura, a brandire l’arma del Destino con intento inverecondo, piuttosto che noialtri detentori del potere inusitato del Drago?”
Ai posteri, come si dice, l’ardua sentenza. I posteri che siamo noi, dinnanzi alla realtà davvero sconvolgente di un veicolo che viene dal passato, pur essendo ancora vivido e perfettamente funzionale, in quanto, ad essere sinceri, cosa mai potrebbe giungere a sostituirlo… Questo Rotary (la Rotativa) più che altro una locomotiva. Ma dotata di una bocca tanto larga da sembrare più che altro un pesce, che quando esce, non ti lascia neanche l’ombra di un candido cumulo residuo. Puro acciaio ed energia feroce, proveniente in via indiretta dall’ormai remoto 1868, quando un tale di nome J.W. Elliot, dentista di Toronto, ebbe a disegnarlo senza mai riuscire a farlo costruire. Obiettivo conseguito solamente alla distanza di vent’anni, grazie all’operosità e opulenza finanziaria di Orange Jull di Orangeville, Ontario. Eppure simili tempistiche, quando si prende atto della cosa che cammina lungo la montagna, non dovrebbero lasciarci stupefatti: occorre tempo, per dar forma ai sogni e un tempo ancor più lungo se si parla d’incubi proibiti. Anche quando in forma ferroviaria, si trasformano in amici dell’umana società. 10 anni, 10 anni dopo e 10 anni ancòra: questo il tempo necessario, normalmente, perché l’Essere venga di nuovo messo in movimento. Perché costa, in termini di carburante e ancor di più nella manutenzione, al punto da essere impiegato solamente in caso di “notevoli” e possenti nevicate. Così che fece notizia, a settembre del 2017, il fatto che le ferrovie dell’Union Pacific avessero di nuovo messo in campo la versione ammodernata di uno dei loro tre pezzi-unici, una belva dalla sagoma squadrata, alta 5 metri e lunga 15, con 130 tonnellate di peso. Facilmente riconoscibile per una parte frontale che tentar di definire “caratteristica” potrebbe a conti fatti, risultare riduttivo. Cubitale, spalancata enorme bocca, con un trapano-ventilatore largo ed alto quanto il veicolo stesso, se ancora tale può essere in effetti definito. Questo poiché una rotativa, nella sua concezione classica e anche la versione ancora in uso in California, non prevede nessun tipo di capacità di spostamento, in quanto il suo intero, enorme motore resta dedicato al solo scopo di far continuare a girare, con la massima potenza, il suddetto apparato simile alla testa di una trivella. Il che la rende, in gergo tecnico, uno dei pochissimi esempi nella storia della ferrovia di snail (trad. lumaca con il guscio) ovvero primo vagone privo di capacità motrice, come inversione concettuale della ben più classica slug (trad. lumaca SENZA guscio) definizione attribuita alle motrici inserite in posizione intermedia nel treno e normalmente sottoposte al controllo remoto. Ciò detto è palese e prevedibile che i segreti nascosti all’interno di un simile gigante, messo in moto dalla forza stessa delle circostanze, non possano esaurirsi in tale accenno di descrizione…

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