La collezione dei serpenti mortalmente velenosi

Viperkeeper King Cobra

Preso crudelmente tra ganasce ben cromate, ormai defunto da diverse ore, bianco pasto di scagliosi esseri dalla mascella spalancata. Immedesimarsi nel comune topo, a conti fatti, potrebbe essere un errore. La preferenza umana è riservata ai predatori, agli avventurieri ed agli eroi. Il funambolo che percorre il sentiero posto in alto sopra il circo, mentre il pubblico trattiene il fiato. Egli non conosce più il terrore di cadere. Anni di pratica e vibranti passeggiate, frutto del senso innato che ha dell’equilibrio, lo hanno reso impervio a un tale sentimento, oltre che sicuro nel suo passo, almeno quanto noi che andiamo a far la spesa sopra vasti e chiari pavimenti del supermercato; nel frattempo l’addomesticatore di leoni, suo vecchio amico sotto l’ombra del tendone, è come un androide meccatronico pre-programmato. Quando serve, sa ripetere precisi gesti con la frusta, la sedia e gli altri orpelli, attentamente impressi nella sua memoria muscolare, che gli consentono d’interagire con le controparti dalla folta chioma, quasi da pari a pari. Due figure, queste, differenti all’apparenza, eppure accomunate nei metodi con cui affascinare il pubblico pagante: far dell’incredibile, cosa di tutti i giorni. Ed è proprio in tale pratica che nasce e cresce quel segreto, ciò che porta i popoli a gioire fin da tempo immemore per la venuta di quel carrozzone; perché l’abitudine, si sa, è l’antefatto dalla svista e quindi l’imprevisto giace lì, in agguato. Pronto a fare nuove connessioni tra neuroni strabuzzati, occhi lucidi dati dal gusto di aver visto qualche cosa di… Terrificante. Come questo Al Coritz, alias Viperkeeper, erpetologo (amante dei rettili) con il pallino per le specie più pericolose della Terra. E un modo di fare affabile, informativo, accattivante che può far conoscere, e addirittura rendere simpatici, alcuni degli animali più intrattabili fra qui ed Alpha Centauri, come ad esempio Elvis il cobra reale (Ophiophagus hannah) che quel giorno doveva essersi svegliato con la luna di traverso, o per meglio dire annodata, visto il modo in cui subito balza fuori dal terrario trasparente, avventandosi contro le gambe in blue jeans del suo padrone. Aspetta un attimo…Non è normale, giusto? Perché questo signore libera sul pavimento quattro metri di belva feroce, direttamente fuoriuscita dai mangroveti del Sudest Asiatico? Beh…
Basta una rapida scorsa degli altri suoi video più famosi, per rendersi conto dei metodi assai particolari impiegati da questo grande rappresentante di categoria, talvolta fatto oggetto nei commenti di critiche piuttosto veementi da personalità maggiormente allineate al senso comune (ma questa resta, in fondo, un po’ una legge di YouTube). Il che guarda caso costituisce, occasionalmente, l’aggancio utile a promulgare una sua diversa visione di quello che è un hobby alquanto raro, e per questo tanto maggiormente cristallizzato all’interno di metodi ed approcci certamente sicuri per chi si prende l’incarico di accudire tali e tante creature potenzialmente pericolose, ma forse non proprio eccezionali per queste ultime, che a vivere sempre rinchiuse, perdono un po’ il senso di quel sibilo e il saettare della lingua tastatrice. Mai mostrare la paura, come per la fune ed il leone. Guardate qui: la circostanza è interessante e singolare, soprattutto vista l’impossibilità suggerita dal montaggio. Sembra addirittura che ad un certo punto il protagonista, mentre si occupa di offrire il pegno del suo amore alimentare ad Elvis, apra pure un’altro scompartimento, con dentro la velenosissima vipera del Gabon (Bitis gabonica) – due metri di lunghezza per 11 Kg di peso, nelle sue zanne un veleno citotossico dall’azione anticoagulante, forse non letale quanto quello del cobra, ma certamente in grado di rovinarti la giornata. Soprattutto quando si considera l’etichetta adesiva attaccata sotto il vetro scorrevole, sapientemente inclusa nell’inquadratura: “Attenzione a chi apre, il serpente attaccherà.” Ed è esattamente quello che succede poco dopo, però sia chiaro: soltanto ai danni di un topo già morto. Di nuovo in mezzo ai due fuochi, persino dopo il decesso, povero lui.

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La triste storia della rana scroto

Scrotum frog

Un fluido magico, frutto di ancestrali conoscenze peruviane. Nelle profondità del lago Titicaca, il più vasto sudamericano dopo quello di Maracaibo (che in realtà è una baia) talvolta s’intravede una creatura molto suggestiva. Gli occhi tondi e neri, le zampette arcuate, il dorso a pieghe sovrapposte pressapoco come quello di un bulldog. Ma la forma e le particolari dimensioni, nonché associazioni tipologiche non meglio definite, da sempre l’hanno fatta accomunare ad altre cose. Telmatobius culeus: la rana fatta come un sacco dei latini, ricolmo di…Nessuno può saperlo, in realtà. Pensate alla tavola rotonda con Artù e i suoi cavalieri. Lui che arringa gli elmi e le armature silenziose, descrivendo i meriti del Santo Graal: “La capacità di esaudire ogni desiderio. La cura a tutte le afflizioni delle carni. Si dice che colui che beva dalla sacra coppa, guarirà dall’artrite, la bronchite, l’asma, la tubercolosi. Godrà inoltre di un vigore nuovo nelle faccende passionali.” Due minuti di silenzio, il tintinnare d’armi variegate: “Cioé mio re, vuoi dire come il VIAGRA?” Già la porta si richiude rumorosamente, mentre l’ultimo di quelli, gli occhi spalancati, corre a prendersi una mappa da Merlino verso l’obiettivo della Cerca. Si, un Qualcosa di mistico e desiderabile. Il segreto alchemico e filosofale della medicina, dal medioevo fino alla modernità. Non esiste a questo mondo, dalle cime andine fino ai freddi deserti dell’Asia Minore, una prospettiva più importante per il senso del bisogno che l’ausilio ad un amore più completo. Novantanove cavalieri con pesanti palafreni, 15 archeologi dotati di fedora, 66 biologi, la faccia ricoperta da una maschera per immersioni e chissà quanti uomini comuni di una certa età. Tutti lanciati fra i turbini dell’acque d’alta quota per potersi procurare finalmente la sostanza che potrà aiutarli in un futuro, se non oggi, nel compiere l’Impresa più importante. Quella della camera da letto. Cos’è una rana, tutte quei batraci, al confronto di un paio o una dozzina di minuti d’entusiasmo? È stata tutta quanta, in fondo, una questione di reputazione. Si potrebbe dar colpa al modo in cui si spostano, fin dai tempi antichi, i grandi carri senza i buoi.
La notizia si di recente diffusa a macchia d’olio, con il contributo niente affatto trascurabile di questo pur ottimo documentario di Motherboard, costola scientifica del colosso dell’informazione Vice, responsabilmente teso a screditare quella che è una prassi (quasi) del tutto priva di basi scientifiche e che certamente, non varrebbe la persecuzione indiscriminata d’ogni cosa anfibia sotto quella superficie d’alta quota. Fatta eccezione per la dama che sapeva consegnare spade. Ma non puoi parlare di una cosa come questa senza suscitare un qualche tipo d’interesse, nonostante tutto. Un segnale fatto rimbalzare da una parte all’altra della sfera digitale, recitante pressapoco: “Gli uomini del Sudamerica hanno un alleato assai particolare nel momento della verità. L’estratto afrodisiaco della rana scroto.” Ora, fermo restando che non so quanto si possa definire tale una pietanza che consiste essenzialmente nel prendere l’intero animale, spellarlo e metterlo in un frullatore assieme ad altri condimenti, va pur fatto notare che in effetti il mitico succo dovrebbe avere molte doti di guarigione e ringiovanimento, tra cui si annovera, quasi incidentalmente, quella già citato dell’ausilio per le prestazioni sessuali. Strane priorità.
Non è del resto mai stato possibile, nell’intera storia dei rimedi magici sul modello dell’olio di serpente del Far West, soprassedere a quel bisogno di supplire alla mancanza di libido, letterale croce e delizia dell’umanità. Potremo quindi soltanto rammaricarci, ancora una volta, per l’effetto devastante che la leggenda sta avendo sulla popolazione di questa creatura dalle strane doti evolutive, tanto sfortunata da…

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Gli uomini che parlano coi coccodrilli

Chito Dragon

Scaglioso e silenzioso, rapido e gioviale; strisciando faccia a terra sulla sabbia della palude Finca Las Tilapias, si avvicina di soppiatto al suo lucertolone. Siamo in Costa Rica, presso la piccola città di Siquirres, e lui è Gilberto Shedden detto Chito, l’unico individuo della storia che sia stato in grado di addomesticare un coccodrillo. Almeno, intendendo questo termine nel senso maggiormente realizzato: non siamo qui al cospetto di qualcuno che, semplicemente, si azzardasse a porgere il mangiare all’animale innanzi a un pubblico trasecolato (anche se talvolta usava fare pure quello) né di un folle che, tra sguardi allucinati, mettesse la propria testa nella bocca del dragone (benché: neanche ciò si fosse risparmiato, sempre per il sollazzo dei turisti danarosi) bensì di un vero e proprio rapporto d’affetto reciproco durato per ventidue anni, durante i quali l’individuo in questione si è sposato, ha messo su famiglia, è diventato una celebrità. Si è giovato di una nuova fonte d’introiti tutt’altro che trascurabile, godendo nel frattempo di una splendida e sincera amicizia con la presupposta belva del boschetto di mangrovie. Mentre il coccodrillo, allegramente, si ingozzava di pesci, coccole e fama largamente inaspettata. Non sarebbe dunque giusto affermare, nel prendere atto di una simile correlazione interspecie, che sia stata largamente benefica per entrambe le parti coinvolte? E non sarebbe bello, dall’oggi al domani, conoscere anche noi un mostruoso dio dell’acquitrino, da accarezzare, abbracciare e sbaciucchiare….
In questo estratto ufficiale del documentario Touching the Dragon, realizzato nel 2012 con la regia dei fratelli sudafricani Craig, il rinomato cameraman subacqueo Roger Horrocks si approccia all’arduo argomento da un’angolazione inusuale, che vorrebbe presentarci il buon Chito come l’ultimo depositario di una tradizione sciamanica ormai decaduta, in grado di offrire un metodo infallibile per rapportarsi alla natura. E nel corso di una serie di interazioni, condensate in un crescendo di sequenze preoccupanti, ci riassume e dimostra la storia singolare del coccodrillo in questione, noto con l’eloquente appellativo di Paco, che significa letteralmente “bel ragazzone” o “forzuto”.  Tutto ebbe inizio, a quanto pare, nell’estate del distante 1989, quando l’allora trentaduenne Chito, in viaggio lungo il fiume Parismina, scorse ai margini del suo sentiero il giovane rettile, ferito alla testa dal colpo d’arma da fuoco di un agricoltore, che stava proteggendo i suoi armenti dalla fame incontenibile della creatura. Difficile biasimarlo. Le circostanze esatte dell’episodio restano largamente nebulose, benché sia chiaro il seguito: la futura celebrità locale, impietosita dalla bestia, la portò via con se per adottarla temporaneamente, e nel corso di alcuni mesi la nutrì e curò, fino a un completo ristabilirsi del suo stato di salute. Quindi, considerando la realizzazione naturale del coccodrillo, tentò più volte di liberare l’adorato Paco in zone meno battute dal consorzio civile, per poi ritrovarlo ogni volta, impossibilmente, sulla veranda della sua bicocca, mentre aspettava il pesce quotidiano. Ora, non è esattamente chiaro quanto l’operazione fosse stata gestita in modo tecnologico e professionale. Una volta messo un dinosauro di 450 Kg sopra un camioncino e portatolo a qualche chilometro di distanza, riesce difficile immaginarsi la sua massa considerevole che corre lungo l’autostrada, tenendo la destra fino a casa del suo padroncino beneamato. Però è un’immagine poetica ed è anche giusto, alla fine, che la fiaba venga intrisa di un briciolo leggiadro di magia.

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Solidarietà tra gechi e una zuffa di Natale

Gechi solidali

È stato recentemente portato alla mia attenzione, durante un dialogo sofistico tra salottieri, che il serpente simboleggerebbe il male. Diceva l’interlocutore di una simile occasione, addirittura, che un paio di milioni d’anni a questa parte, in una sorta di giardino di Eren, o dell’Enel non ricordo, uno di questi animali si sarebbe arrampicato sopra un albero per prendere…Una mela! Lucida e brillante, parecchio strana, perché infusa in qualche modo della conoscenza. Era tale pomo, a quanto pare, una sorta di pegno simbolico della fiducia, tra due persone e un’altra, per così dire superiore. “Beh” Ho risposto io: “Gli ofidi non mangiano la frutta. Al massimo, se fosse stato un uovo!” Così quello, stranamente innervosito ha ammesso di essersi sbagliato, usando la più strana delle strategie: “Vedi, amico…” (Ti conosco appena) “La creatura verde spiraleggiante del racconto non era proprio un ANIMALE” (Ah, no?) “Ma la manifestazione sibilante dell’Avversario, colui che sussurra sempre le più pessime insinuazioni” (Vade Retro!) Davvero, certe Storie andrebbero aggiornate col passar del tempo. Io capisco che c’è un Libro, stampato in molte copie, addirittura Rivelate, oltre al fatto che sostituirle tutte non è Facile, perché c’è un Costo da affrontare. Ma in quel contesto, sarebbe certamente stato meglio usare un geco.
In particolare l’Eublepharis macularius, lucertola crepuscolare maculata dei deserti dell’Asia e del Pakistan, è molto nota per le sue abitudini frugivore. Al risveglio dal suo letargo invernale, quando dissotterra se stessa al sopraggiungere di un clima temperato, puoi vederla che cammina sui muri delle case di mattoni con l’aria condizionata, costruite dai popoli un tempo nomadi al confine delle oasi sul sentiero della seta. Moderne alternative edificate, queste, all’epoca dell’oro di cui abbiamo tale e tanta nostalgia, noi senza il cervello rettiliano di chi ruba pegni altrui. Mentre quella discendente che non ci pensa, saettando a destra e a manca e usando polpastrelli zigrinati, qualche volta s’introduce nelle stanze con finestre aperte. E la senti, prima di vederla, mentre mastica i tuoi fichi, la papaya, mango e pesca e pure l’uva, che hai lasciato in piena vista sopra il tavolo, sbadato. Non lo sai che c’è il geco leopardo, a queste latitudini? Quindi resta lì e ti guarda. Leccandosi gli occhi senza palpebre, con fare impertinente. Difficile odiarla per quel poco che ti porta via. Mangia tutto! Viene unicamente sconsigliato a chi la prende in casa, come bestiolina da compagnia (si, può capitare) di offrirgli la banana, poiché il potassio gli è nocivo, come ai cani e gatti, la comune cioccolata. Che peccato.
Bella la vita per l’animale che vive fra le mura di un’abitazione, o così si usa pensare. Benché domestico non voglia dire familiare, né garantisca, per natura, una particolare protezione dalle regole del mondo. Soprattutto in Thailandia dove, come è noto, non è insolito trovare molte bestie, anche d’imponenza significativa, ben oltre il sacro uscio dell’abitazione. Chissà poi, perché? Convenzioni sociali differenti, forse, oppure sarà l’effetto imprescindibile di quell’ambiente, così selvatico per predisposizione, ricco d’insetti, uccelli e rettili, con zampe oppure senza, con le scaglie se gli va.
Come questo serpentello verde, che in qualche maniera si è trovato, chissà come e chissà quando, ad elevarsi dal terreno. A sufficienza, per lo meno, da poter ghermire la sua preda di giornata!

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