A proposito del pesce che ha colpito il mondo col suo sorriso

Potete crederci che mentre guardavamo dall’altra parte, distratti da economia, politica e complicazioni della condizione umana, sia capitato un’altra volta? Il sottile velo che divide la nostra realtà di superficie dalle misteriose tenebre abissali è stato sollevato, per una mera contingenza del destino, mostrando al mondo una realtà difficile da conciliare con le pregresse conoscenze della collettività. “Le sue labbra sono più calde delle mie” scrive nella didascalia semiseria RaffNasir, utente di Twitter e Instagram dalla Malesia, in abbinamento alla sua foto della bizzarra creatura che definire stupefacente sarebbe, sotto la stragrande maggioranza dei punti di vista, assolutamente riduttivo. Visto da davanti, il pesce si presenta come un essere oblungo in senso longitudinale, grigiastro e privo di occhi visibili da davanti, compensati dalla grande bocca con labbra rosa semiaperta ed esattamente 12 denti perfetti, di un colore comparabile a quello dei tasti di un pianoforte. E quando dico perfetti, intendo appena usciti dalla pulizia effettuata in uno studio dentistico, tanto umani paiono per forma ed apparenza, così poco attesi per l’idrodinamico soggetto delle circostanze. Il che ha del resto comprensibilmente suscitato il collettivo grido al “Photoshop”, moderno sinonimo dell’incredulità di San Tommaso benché non sia facile toccar con mano tutto quello che riemerge, per una ragione oppure l’altra, dall’increspato mare del Web. Eppure c’è del vero ed anche un po’ di fantasia come spesso avviene, nell’alone di leggenda nato quasi subito attorno a queste foto social, che in maniera piuttosto evidente riproducono la specie ittica nei fatti reale del Rhinecanthus verrucosus, esponente indo-pacifico del genere Balistidae, normalmente noto con i termini di moderni di pesce balestra o triggerfish. In riferimento al suo “grilletto” di una corta spina sulla testa, che una volta sollevata per autodifesa causa il dispiegamento di una caratteristica cresta triangolare, presente in tutte e 40 le diverse varietà presenti in molti mari e zone tropicali della Terra. Nonché un’implicita allusione, o se riferimento metaforico, al noto comportamento bellicoso e quasi marziale dei nostri mordaci amici, talvolta paragonabile a quello di un pitbull che ringhia per difendere l’abitazione dei suoi padroni. E che come quest’ultimo, non si fa certo troppe remore nell’aggredire con mordace lena, tutti coloro sufficientemente lenti nel reagire ai primi segni di pericolo prodotti a suo beneficio. Il che risulta indubbiamente problematico poiché mentre noi esseri terrigeni possediamo l’istinto ed il timore nei confronti di mammiferi e carnivori del nostro stesso ambiente, al di là della tetra fama di particolari famiglie ittiche come lo squalo, non associamo certo nulla d’automatico all’aspetto buffo, divertente e spesso variopinto di una simile creatura, che può in determinati casi raggiungere il metro abbondante di lunghezza. Ed ha la dote innata di distruggere qualsiasi cosa capiti, per sua sfortuna, in mezzo all’articolazione della sua mandibola possente…

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Sorseggiando caffè turco nel salotto volante di Hasan Kaval

Si tratta senza dubbio del più classico, magnifico e al tempo stesso terribile dei sogni: fluttuare senza peso tra le nubi, senza rete, senza funi di sicurezza, senz’alcuna sicurezza di riuscire ad atterrare. Tutti l’abbiamo provato, magari in un momento particolarmente stressante della nostra vita ed in un certo senso, tale esperienza è diventata una parte inscindibile del nostro stesso rapporto con la gravità terrestre. Dura del mondo che al tempo stesso sembra imprigionarci e proteggere la nostra stessa esistenza, impedendoci di volar via come se fossimo dei palloncini pieni d’idrogeno o metano. Una presa di coscienza, questa, che tanto spesso conduce alla ribellione.
Così tra aerei e deltaplani, o semplici paracadute, tanto spesso spicca il metodo che avremmo valide ragioni per definire “il perfetto punto d’incontro” tra le alternative. Poiché parapendio significa, nel contempo, poter fare affidamento sulla forza del vento e l’aerodinamica di un qualcosa che non può cadere (salvo casi eccezionali) ma elegantemente fluttua, trasportato come fosse il cuore di una magica mongolfiera. E di aspetti vagamente sovrannaturali ne traspaiono diversi, nella storia raccontata dall’ultima coppia di video dell’istruttore di volo a vela turco Hasan Kaval, diventato famoso improvvisamente la scorsa settimana grazie all’iniziativa di trasformare la sua poltrona rossa in un insolito velivolo, con tanto di lampada, poggiapiedi e televisione (accesa) sintonizzata sui cartoni animati di Tom & Jerry. Episodio, questo, valido ad accaparrarsi tali propositi di fama con i suoi milioni di visualizzazioni online da giustificare il rilascio di un’intervista, possibilmente seduto ad un tavolo e di fronte a un paio di tazzine accompagnate da una scatola di lokum, il tipico dolcetto turco di gelatina ricoperta dallo zucchero a velo. All’interno del suo ufficio, chiaramente, che poi sarebbe l’azzurro tratto di cielo tra la Terra e il Sole a Ölüdeniz, sopra il vasto Mar Mediterraneo che ogni cosa avvolge, in una scatola di un profondo azzurro più splendente di una notte ammantata di stelle. Ecco circostanze, dunque, in cui la stessa persona incaricata di fargli da controparte non poteva certo essere chiunque, così che l’amica o forse studentessa del maestro di parapendio parrebbe tutt’altro che messa a disagio, dall’evidente distanza del paesaggio sottostante ai due, mentre con assoluta ed invidiabile nonchalance allunga il microfono recante il logo “AA” (Air Adventures?) verso l’alto lato del tavolino quadrato, avendo cura di non rovesciare la tiepida bevanda o l’accompagnamento gastronomico di tale insolita situazione. Il che parrebbe sottintendere, al tempo stesso, un qualche tipo di meccanismo magnetico o egualmente certo, affinché il semplice spostamento d’aria implicato dalla progressione durante l’esperienza fluttuante non faccia piovere le suddette cose sopra il pubblico in appassionata attesa, laggiù. Perciò è chiaro, dai molteplici e apprezzabili dettagli, che siam qui di fronte a un vero e proprio professionista…

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Oltre il tetto degli abissi, un tuffo nello stomaco del nero ingoiatore

Angusto, stretto, buio. Privo di qualsiasi prospettiva di ritorno. Mentre le pareti cuoiose si stringevano attorno ai fianchi e la testa, e la pinna, e la coda, il malcapitato essere si chiese come avesse fatto per finire in questa situazione. Da dove, ed in che modo, il suo torturatore fosse scaturito all’improvviso, avviando l’iter degli eventi che a tutti gli effetti, avrebbe presto condotto alla sua irrimediabile dipartita. “Ma un pesce non ha certo alcuna cognizione della sua mortalità” pensò lo Sternoptychidae con l’alta pinna e il corpo segmentato: “Quindi perché mai dovrei preoccuparmi?” Il suo mondo, adesso, era ormai quello e ad ogni modo, presto le cose avrebbero trovato il modo di migliorare. Per un attimo, come all’apertura di una possibile via d’uscita, s’intravide innanzi un tiepido bagliore.. Proveniente dall’imbocco, se non vogliamo usare il termine specifico di “bocca” del padrone della camera pulsante, colui che aprendola e chiudendola, riusciva a controllare il fato degli sventurati nuotatori abissali. Mentre come sbarre alle finestre, gli appuntiti denti piegati all’indentro ricordavano al malcapitato l’ora esatta del suo ultimo capitolo, già cominciato. Senza luce, senza fiato, senza spazio per aprire le sue branchie, per qualche ultimo minuto di coscienza egli pensò: “Se SOLTANTO almeno una volta, avessi potuto cogliere il suo sguardo, guardare negli occhi il mio carnefice, chiedendogli il nome…”
Chiasmodon niger: se lo conosci lo eviti, se lo incontri, cambi strada e vai dall’altra parte perché dopo tutto, nel profondo dell’oceano a 700-2.500 metri, che differenza vuoi che possa fare? Sebbene come lascia presagire il nome, non sia facile riuscire a scorgerne la forma nei recessi tanto remoti dell’altissima colonna marina, ove i flutti confluiscono in un Maelstrom e le scie svaniscono, come la coda di una cometa in una sera oscurata dalle nubi. Così egli piomba, sfruttando l’agilità superiore alla media concessa dalle lunghe pinne pettorali e quella coda con tanto di spina velenosa, sulle prede inconsapevoli, iniziano efficientemente a fagocitarle. Ora se dovessimo giudicare il pesce ingoiatore sulla base di ciò che mangia, un po’ come vorrebbe lo stereotipo, penseremmo di aver parlato fino ad ora di un piccolo squalo o equivalente predatore, vista la dimensione degli esseri che gli riesce d’inserire all’interno del suo corpo relativamente allungato. Fino a 86-100 cm di bestie, consumate a fronte di un laborioso sistema di slogatura reiterata della mascella, con avanzamento di pochi centimetri alla volta lungo l’estensione di quegli scagliosi corpi o spuntini dell’ora di cena. Questo perché l’astuto e temibile anti-eroe, nella realtà dei fatti, possiede una lunghezza massima di circa 25 cm pari a quella di un sovradimensionato pesce rosso, cionondimeno sufficiente a trangugiare esseri che superano di fino a quattro volte la sua complessiva capacità di spostare l’acqua durante una placida nuotata verso arcane destinazioni. E come ciò possa succedere non è difficile giungere a capirlo, nel momento in cui osservando dal basso l’affamato dominatore riesce ancora possibile apprezzare facilmente l’intera sagoma di ciò che ha catturato attraverso la membrana semi-trasparente di ciò che potremmo paragonare, senza particolari dubbi, all’effettiva forma di un pallone da basket o volleyball di una tipologia particolarmente inquietante. Non che tale scena debba in alcun modo apparirci strana ed innaturale, essendo essa stessa una diretta risultanza del sistema evolutivo della natura…

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L’oceano atomico del Seamaster, idrovolante più veloce della storia

Secondo la teoria degli universi plurimi, parte dell’analisi quantistica dell’universo, l’oscillazione delle microparticelle può determinare percorsi alternativi della storia che coesistono, in maniera parallela, negli stessi spazi geografici e temporali. Così nella versione non-identica del più potente paese nordamericano, attorno alla metà degli anni ’80, una scolaresca visita il museo newyorchese dedicato alla breve quanto apocalittica terza guerra mondiale: “E qui bambini, potete osservare una replica della sala da cui il presidente Eisenower diede l’ordine di bombardare le città sovietiche, come unica possibile risposta alla distruzione radioattiva di San Fran. Con questa stessa mappa gli strateghi parte dello staff presidenziale aggiornarono man mano la posizione dei velivoli e le testate a disposizione.” Incuriosito dal diorama, completo di manichini ragionevolmente realistici, il giovane Elijah si avvicinò al tavolo dove fu deciso, sotto pressioni incomparabili, chi sarebbe vissuto e chi avrebbe lasciato il regno dei viventi. Quindi scorse qualcosa d’inaspettato: “Signora maestra, dev’esserci un errore. Come mai quell’aereo galleggia nel Mar Baltico, invece di trovarsi su un qualche tipo di pista d’atterraggio?” L’insegnante osservò, sorrise per un attimo, quindi annuì con consapevolezza. “No vedi Eli, quello è l’Enola Gay II. Quando tutte le armi contenute nei sommergibili furono state scagliate verso gli obiettivi, e prima che l’introduzione dei missili balistici potesse restituire l’equilibrio auspicabile dello status quo, il nostro presidente scelse di ricorrere ad ogni strumento di cui potessimo disporre per fermare la follia del nemico. Incluso un certo progetto sperimentale della marina…”
Scene fantastiche, velivoli futuristici ma un singolo e importatante dato reale. Perché il Martin P6M “Maestro dei Mari” fu effettivamente costruito e non soltanto in forma di prototipo preliminare, bensì in 12 esemplari che avrebbero dovuto anticipare, nell’idea dell’ammiraglio James Russell, il metodo del secondo corpo delle forze armate per tornare rilevante verso il delicato inizio della guerra fredda, rispetto all’aviazione che poteva, in qualsiasi momento portare il carico all’uranio fino all’ultima destinazione. Un bombardiere, sostanzialmente, dal ruolo e prestazioni comparabili a quelle del B-52 Stratofortress, dotato tuttavia dell’ulteriore capacità di riarmo e rifornimento presso qualsiasi tratto acquatico sufficientemente calmo e lungo. Nient’altro che un’adattamento, strategicamente rivoluzionario, del concetto all’epoca primario dei cosiddetti aerei di pattuglia, ovvero in grado di operare lontani da quelle basi che, senza ombra di dubbio, avrebbero costituito il primo bersaglio degli ordigni provenienti dall’Est. L’aereo persino nella sua accezione sperimentale con numero di serie XP6M-1, fatta decollare per la prima volta il 14 luglio del 1955 con una missione segreta condotta dal pilota sperimentale George Rodney, si dimostrò persino più veloce una volta in volo dell’alternativa con partenza e atterraggio sulla terraferma, potendo raggiungere i 1.104 Km orari (mach 0,9) grazie all’uso di quattro turbogetti Allison J71-A-4 prelevati direttamente dal cacciabombardiere F-84 Thunderjet. Benché ciò rappresentasse comunque una riduzione necessaria delle aspettative rispetto ai turbo-ramjet originariamente previsti, non dissimili da quelli che avrebbero trovato posto sull’aereo da ricognizione SR-71 Blackbird esattamente 11 anni dopo, così come il raggio di “appena” 3.352 Km, comunque compensato dalla capacità di operare a partire da qualsiasi superficie acquatica del mondo. Ciò detto, già l’uso di un sistema propulsivo a reazione per un velivolo anfibio presentava una serie significativa di problemi, largamente responsabili della linea insolita e gli strani limiti di questo improbabile pellicano dei cieli…

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