Mini-mantide Vs. ragno salticida: chi sopravviverà?

Kung-fu Mantis

Una vista estremamente sviluppata, la massa complessiva superiore a quella della maggior parte dei suoi zampettanti vicini. Pericolosi artigli fatti per ghermire, ricoperti di rostri acuminati simili a pugnali. Tra gli artropodi, la mantide non ha rivali, mentre persino i predatori fuori scala, come uccelli, rane o grosse lucertole, nel caso di particolari specie vengono sconfitti, grazie all’impiego di tecniche di mimetismo ben circostanziate. Ma persino i più grandi sperimentano un umile inizio e addirittura questo superpredatore del suo phylum, prima di raggiungere l’età adulta, è vulnerabile all’attacco dei suoi pari. Siamo nelle foreste tropicali del Sud-Est Asiatico, benché il segreto del luogo specifico, come di consueto per le clips promozionali dei documentari della BBC, venga riservato a chi abbia la fortuna di vedere l’episodio per intero. Qui alcune telecamere, dalla messa a fuoco e nitidezza superiori, ci mettono in condizione di assistere all’intero svolgersi di un dramma tanto articolato, nonché visualmente affascinante, da sembrare quasi il frutto di un copione attentamente predisposto. “Le mantidi mangiano di tutto.” Esordisce la riconoscibile voce fuori campo del naturalista veterano David Attenborough, ormai un vero e proprio sinonimo di questo tipo di programmazione: “Incluse…Le altre mantidi.” Quindi l’inquadratura si sposta, per mostrare l’incredibile livrea di una ninfa di Hymenopus coronatus, destinata a diventare uno degli insetti più spettacolari ed attraenti al mondo. O per meglio dire, che POTREBBE andare incontro ad una simile soddisfazione, visto come nello stato attuale immediatamente successivo alla schiusa della sua ooteca (sacca delle uova) l’insetto misuri all’incirca 3 cm, risultando il pasto potenziale di ogni sorta di visitatore occasionale. Tra cui…Lui dalle quattro paia d’occhi, il ragno della famiglia dei Salticidae, che non tesse mai la tela, ma piuttosto invade occasionalmente quella dei suoi quasi-simili, per ghermirli e risucchiare i loro organi con gusto sopraffino. Un essere che anche da adulto, tuttavia, misura solamente poco più del piccolo di mantide, e costituisce quindi un avversario che può essere sconfitto. In vari modi, tra cui quello scelto dal protagonista del presente video, ovvero l’implementazione di una condizione illusoria in cui sia lo stesso aracnide, posto al cospetto di un qualcosa di più grande e forte, a scegliere di ritirarsi verso lidi più propizi. La mantide orchidea, del resto, persino nel suo stato non adulto, è una creatura che fa del suggestionamento un utile strumento di sopravvivenza. Mutando l’esoscheletro più volte, nel corso del suo unico anno di vita, passa infatti da una colorazione all’altra, cominciando dal rosso vivace con le zampe nere dell’esemplare qui mostrato, fatto apposta, da Madre Natura (?) per sembrare quello che non è: ovvero un insetto assassino della famiglia Reduviidae, predatore terrestre dalla saliva corrosiva, che per mimetizzarsi ricopre il proprio corpo di rifiuti o degli stessi cadaveri di ciò che ha trucidato. È facile immaginare come una simile creatura, oltre che pericolosa per la forza del suo morso, scoraggi i suoi simili dall’attaccare grazie al gusto spiacevole del suo “vestito”. Ma l’antagonista qui rappresentato, come dicevamo, ci vede benissimo, e questa prima barriera difensiva del nemico viene facilmente superata dal suo piccolo cervello, seppur dotato di meno di un milione di neuroni. In effetti sono anni ed anni che gli etologi, assieme agli altri studiosi delle creature piccole e selvagge, vengono stupiti dall’evidente capacità di pensiero tattico delle oltre 5.000 specie di ragni appartenenti a questa famiglia, che dimostrano approcci predatori insolitamente sofisticati per la loro stazza: aggirare il nemico, tendere agguati col veleno, muoversi a zig-zag per suscitare confusione. Finché non raggiungono la posizione idonea e, dopo aver piazzato un filo setoso come dispositivo di recupero in caso d’errore, balzano all’attacco grazie al sistema idraulico delle loro otto zampe, per una distanza di fino a 40 cm (fino a 15 volte la lunghezza complessiva del corpo dell’animale). Quindi, una volta individuata come un pasto potenziale, non c’è più nulla da fare per la piccola preda rossa e nera? Uh, uh, uh…

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Come prendere le vongole-rasoio americane

Long Beach Clams

Nascere come mollusco bivalve può sembrare la peggiore delle reincarnazioni punitive, ma la realtà è che la vita, persino come un semplice organismo privo di cervello propriamente detto, può riservare innumerevoli soddisfazioni. Simili creature, nascoste sotto la sabbia,  davvero conoscono il significato del termine RELAX. Sostanzialmente immote per definizione, allo scopo di nutrirsi non devono far altro che filtrare l’acqua, usando le loro branchie lamellari per intrappolare, e lentamente digerire, ogni sorta di pregevole micro-organismo. Impervie a tutti i predatori naturali, proprio in funzione della loro residenza prevalentemente sotterranea, sono dotate di un mantello (il “corpo” dei molluschi) lungo e flessibile, usato come un periscopio per sperimentare il mondo. Con esso scavano, fino alla superficie, praticando il foro di cui hanno bisogno per l’ossigeno ed il nutrimento. E se pure un gabbiano, con la bassa marea, oppure un pesce dei fondali bassi, nelle ore di totale copertura acquatica, dovesse ghermirne la preziosa estremità, poco importa: tutto quel che serve è un paio d’ore, affinché il suo padrone da guscio sottile e tagliente la rigeneri al 100%. Ben pochi sono i rischi che competono a vongole, ostriche o cozze, quella vasta classe di animali (oltre 9.200 specie) a cui gli americani attribuiscono il nome generico di clams. Anzi, essenzialmente ne permane solo uno, quello per così dire endemico di ogni cosa che tutt’ora abbia la superbia di camminare, strisciare o nuotare su questo pianeta. È il pericolo del buon sapore.
E chiunque abbia mai avuto la fortuna di assaggiare quel gusto unico, etereo e pungente, che tuttavia non ha nulla dell’acredine del pesce, ma piuttosto pare quasi un fungo morbido, con il sale aggiunto che deriva da generazioni di tranquilla permanenza nell’Oceano, può ben comprendere l’impresa del qui presente capitano Milt Gudgell, uomo di mare complete and thorough, che si avventura la mattina presto sulle coste della penisola di Long Beach. Non quella sicuramente più celebre, presso la città di New York, né l’altra sita in California, ma l’omonima striscia di terra sita nello stato di Washington, subito sotto il freddo Canada e non troppo distante da Portland, la città più popolosa dell’Oregon. Vedere l’esperto all’opera è davvero affascinante: l’abile pescatore di mitili, armato di un attrezzo poco visto fuori dagli Stati Uniti, percorre la spiaggia in lungo e in largo, in cerca di quello che viene definito normalmente un “tell” ovvero un qualche indizio, il segno dell’adorabile presenza sotterranea. Due sono i sensi coinvolti, ovvero la vista, perché recandosi subito dopo l’alta marea, in genere, si evita il problema della terra smossa dagli altrui passi,  avendo quindi la possibilità d’individuare facilmente i tipici buchini, ed il tatto, la capacità di percepire, battendo forte con i piedi, l’esistenza di un vuoto sotterraneo, generalmente causato dai piccoli ma laboriosi scavatori. Individuata, quindi, la presenza di una vongola, si passa al punto critico dell’operazione. Una clam gun, sostanzialmente, è un dispositivo portatile di carotaggio, che può essere realizzato in plastica se si tratta di un modello economico, oppure, come in questo caso metallo. L’operatore dovrà piantarlo in corrispondenza del punto in cui si ritiene di aver individuato il mitile, quindi spingerlo in profondità. Per un effetto naturale di suzione, la sabbia così catturata verrà fuori assieme allo strumento e, almeno si spera, la propria preda di giornata. L’impiego di un simile attrezzo non è particolarmente semplice, innanzi tutto per la posizione in cui si deve lavorare e il peso della quantità di materiale rimosso ad ogni singola estrazione. Ma soprattutto, c’è il problema della precisione: più di una vongola è stata rovinata, dall’impatto con il bordo tagliente dell’attrezzo, ancora prima che fosse possibile condirla con il burro e metterla in padella. Proprio questa, forse, la più spiacevole ingiustizia che possa derivare dal suo sacrificio. Il capitano, proprio per evitare tale infausta conseguenza, risulta fornito del tradizionale tubo in PVC, comunemente inserito nel terreno prima dello scavatore, al fine di determinare la precisa collocazione del mollusco, benché dopo i primi tentativi riesca facilmente a farne a meno. A tal punto conosce la sua spiaggia, e le sue prede, da aver superato una simile ulteriore necessità. Mentre per ogni ottimo ritrovamento, risuona il suo empatico grido di soddisfazione: “AHA!”  Non per niente ad oggi, la cattura commerciale delle vongole-rasoio è consentita solo limitatamente a pochi esemplari per pescatore (Mint parla di 15 al giorno) e richiede una licenza speciale dal costo di qualche centinaio di dollari, concessa in numero rigorosamente limitato. Ma vi siete già chiesti l’origine di questo nome, per così dire, tagliente?

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L’irrefrenabile pulsione dei procioni

Washer of smarphone

“Pronto, parlo con l’ente Animaletti Acme Inc? Si, buongiorno. Chiamo perché ho un problema con il mio Pom Poko.” (Rumore di piccoli passi in sottofondo) “Ah signora mia, lei non ha idea! Siamo una famiglia versata nell’accudire ogni sorta di creatura con quattro, due o nessuna zampa. Abbiamo avuto gatti, cani, pappagalli, pesci rossi. Ma MAI, davvero…Una tale situazione…” (Stoviglie fatte muovere in cucina) “È cominciato tutto il 15 di questo mese. Vede, Pom Poko è sempre stato un esserino tranquillo. Da quando l’abbiamo trovato lungo l’Interstatale 36, durante un viaggio in macchina verso la Florida, solo e smarrito, dalle irresistibili striscette nere sulla coda, si è adattato alla vita domestica con sorprendente facilità.” (La luce si spegne, unghiette graffiano sulla parete) “Oh, ooooh lo sapevoo, sta succedendo di nuovo. Non è possibile…Cosa fare, CHE fare?” Silenzio. Passano i secondi, mentre all’altro capo della linea, l’operatrice chiama un gruppo di colleghi a gesti e mette la telefonata in vivavoce. “D’accordo, ho capito. Continuerò con la mia storia, però cerchi di capirmi se inizierò a farlo più in fretta. La situazione è molto seria. Dunque, l’altro giorno c’era la luna piena. Di ritorno a sera inoltrata dal lavoro, io e mio marito cenavamo in veranda, godendoci il silenzio della vita di campagna. Poko vagheggiava, come al solito, tra la porta del salone ed il cortile, spronato dalle abitudini notturne della sua specie. Non c’è mai stato nulla che potesse sfuggire a quelle agili manine unghiute: sassi, pallette, rami d’albero. Ogni giorno una scoperta nuova, seguito da quel suo strano verso deliziato, a metà tra l’abbaio stridulo di un chihuahua e la risata di una jena.” (Ora, quasi a sottolineare il significato pregno del momento, il procione lancia un grido. FRRR-KAI, KAI, KAI) “Ha sentito? HA SENTITO? No, devo avere fede in me. Posso farcela. Ecco, dunque…Terminato un lauto pasto, ci apprestavamo a ritornare dentro casa. Quando davanti alla porta-finestra, una strana sorpresa: la mia scarpa destra era sparita. Dapprima non ci pensammo granché, finché la mattina dopo, lo sa dove l’abbiamo ritrovata? Era incastrata nel WC, le dico. Siamo dovuti andare..Oh, la vergogna…Siamo dovuti andare dai VICINI!”
“Da allora le cose non hanno fatto che peggiorare… Io non lo riconosco più. Il nostro mascherina-nera si è dato al ladrocinio più spietato e nulla al sicuro dalle sue spedizioni di quelli che io chiamo lavaggi-distruttivi: telecomandi della Tv, fogli di giornale appallottolati, fermacarte, soprammobili d’antiquariato. Tutto quello che non fosse, per così dire, imbullonato a terra, Poko ha iniziato a prenderlo ed immergerlo, nell’acqua. È diventato diabolicamente bravo a trovarla, come una sorta di dannato mini-rabdomante: apre i rubinetti, sottrae le bacinelle. Una volta abbiamo ritrovato l’unico ombrello di casa a 25 metri dalla porta d’ingresso, nel torrente che malauguratamente scorre accanto al mio garage. Amo alla follia il mio grazioso batuffolo di pelo però, le dico davvero, non so più… Che…fareee…” (Un solletico alla caviglia, mentre lo scricciolo da quattro Kg circa sfreccia sotto il tavolo. Ora, nel relativo buio del vespro sulla costa del Pacifico, s’intravede una sagoma contro il rettangolo della finestra. In piedi sulle zampe posteriori, che allarga le braccia, quasi a lanciare la sua sfida al mondo intero. Quindi volta il viso aguzzo verso l’interno di casa, socchiude la bocca piena di dentini aguzzi. Il Cacciatore, finalmente, ha individuato la sua preda.) “Quindi vede, ho un bisogno disperato di aiuto, mandate un esperto, un manuale, QUALSIASI cosa. Ma ho già capito cosa sta per accadere. Devo togliere la batteria del cellulare, prima che sia troppo tardi.” *CLICK
Ciao Poko, come va? Si, bello lui, che bello che sei. No, fai piano, non mordermi di nuovo. Lo so come sei, capisco cosa vuoi. PIANO! Ecco, questo è il mio vecchio Blackberry, tanto avevo intenzione di cambiarlo. E poi, ho sentito che da spenti i cellulari qualche volta sopravvivono all’inzuppamento. Sono certa che se ti privassi di questo piacere, troveresti qualcosa di peggio da distruggere prima del sorgere del Sole…

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Il più grande cuore mai studiato da scienziati umani

Big Blue Live

La scena si apre in modo graduale. Lei che tira fuori, nell’ordine, un barattolino con il principale organo circolatorio del topo, poi quello di un tacchino (decisamente più ingombrante di come ci si aspetterebbe) e a seguire di una mucca, delle dimensioni approssimative di un grosso melone. Infine, nella riproposizione della scena classica del film degli anni ’80 Mr. Crocodile Dundee, esclama: “No, [basta scherzare] QUESTO è un vero cuore.” Silenzio in sala. Questa non è una semplice pompa da giardino. Un monumento dal peso di 180 Kg, di 1,50×1,20×1,20 metri, talmente grande che può battere soltanto 6 volte al minuto. Per sparare a gran velocità, lungo una creatura che da viva poteva facilmente misurare 30 metri di lunghezza, una quantità stimata di 220 litri di sangue per ciascuna contrazione, contrastando tra l’altro le significative pressioni delle profondità abissali. Perché si, naturalmente, stiamo parlando di un essere che vive in acqua, altrimenti di che scheletro avrebbe mai avuto necessità, e di quali muscoli, per sostenere la sua massa senza eguali? E sarà a questo punto altrettanto ovvio, per un semplice processo di esclusione, che si tratta di lei, la magnifica, titanica ed azzurra (si fa per dire) balenottera, che da sempre si moltiplica nei principali grandi oceani della Terra. Ma sempre meno frequentemente, incontrando le difficoltà che vengono dall’essere un gigante prevalentemente solitario, largamente inoffensivo, la cui stessa essenza è fonte di prodotti e pratiche convenzionali amate da coloro che le praticano, ancor più che la mera e semplice necessità. Assieme ai miti e leggende, le presunte convenzioni che gelosamente custodiamo, in merito ai nostri cugini più distanti, che vorremmo totalmente eccezionali, ancor più di quanto non lo sono già.
Che la storia della scienza venga fatta sotto l’occhio delle telecamere è già piuttosto raro, ma ancor maggiormente è che avvenga durante le riprese di un programma televisivo, come fieramente enunciato in questo spezzone di Big Blue Live, la nuova serie di documentari oceanografici della possente BBC inglese che andrà in onda dalla fine della presente settimana. Qui compare infatti la biologa marina Jacqueline Miller del Royal Ontario Museum di Toronto, con quello che potrebbe facilmente definirsi il Sacro Graal del suo mestiere: un intero esemplare, perfettamente conservato nella formaldeide, di ciò mantiene in vita l’impressionante Balaenoptera musculus, singolo animale più massivo del pianeta. Introvabile perché, come è largamente noto, la più grande percentuale di ciò che sappiamo su queste creature l’abbiamo appresa grazie all’opera di caccia e successivo sezionamento portata avanti dalle navi baleniere, che si stima ne abbiano uccise, a partire dai primi del 900, addirittura centinaia di migliaia. Prima che si scoprisse come, tutto considerato, non fosse poi eccessivamente pratico far fuori e poi tagliare a pezzi un mammifero lungo quanto un palazzo di dieci piani, in grado di nuotare, se minacciato, a velocità di fino a 50 Km/h per dei tratti alquanto lunghi e indipendentemente dalle onde in superficie. Il che, incidentalmente, fu la sfortuna dei più lenti capodogli, ma questa è tutta un’altra storia. Ciò che ci interessa, invece, è il modo in cui non si ebbero misurazioni affidabili sul peso dell’unico vero mostro marino, finché un’intera truppa di scienziati, tecnici e ingegneri non si diedero appuntamento presso qualche spiaggia, a seguito del disastroso approdo di un cetaceo che lì aveva scelto di morire tutto intero.
Qualcosa di non poi così dissimile da quanto capitato in questo caso, visto come l’occasione di mostrare l’organo derivi, nei fatti, da una catastrofe avvenuta l’anno scorso, presso le coste sud-orientali del Canada: 9 di questi titanici animali, una percentuale relativamente alta degli ormai complessivi 2.000 rimasti, che per cause ignote si ritrovano bloccati sotto i ghiacci del golfo di St. Lawrence, incapaci di raggiungere la superficie e respirare. Così, parecchi mesi dopo la solida calotta inizia a sciogliersi, e mentre le bestie ormai defunte vanno alla deriva, un team del ROM, guidato dalla qui presente portavoce, assieme ad alcuni tecnici della loro azienda fornitrice Research Casting International, operativa nel campo della preparazione di campioni museali, ottengono il permesso di recuperare due delle carcasse, giunte infine presso la costa della remota isola di Terranova. Un’impresa straordinariamente valida per il museo, visto come gli scheletri ed altri “pezzi” completi di balenottera, fra tutti gli spazi espositivi del mondo, siano una delle attrazioni più amate dal pubblico pagante. Nonché una missione difficile, macabra e maleodorante. Quale miglior modo, dunque, di dare inizio ad una serie per la Tv…

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