Persino il muletto non è privo di flessuosità

Muletto nel camion

Problema semplice, soluzione complicata: all’alba del primo giorno del settimo mese di lavoro, dopo un’estate passata al mare, giunge un camion sulla piazza dell’azienda di famiglia. È vuoto eppure carico di aspettativa, questo cupo e grosso e stanco mezzo di trasporto. Dovrà prendersi, secondo precisa bolla di accompagno non una, non tre, bensì esattamente due casse cubiche giganti. Piene di… Prodotte in… Polpette dal peso di 30centomille quintonnellate l’una e dalle dimensioni, neanche a farlo apposta, esattamente identiche allo spazio utile a disposizione. Come installarle nella stretta sede, spingerle adeguatamente a fondo, dunque, restava certamente un orrido quesito. Non puoi spingere a mano 30centomille quintonnellate x2. Ma sbrigati, che l’autista batte già nervosamente il piede a terra!
Il che ci porta a noi, anzi, a codesta coppia di campioni. L’uomo con la maglietta ed il cappello rosso, i pantaloni mimetici e l’inarrestabile carrello elevatore arancione n. 23503300, con il suo amico in maglia viola pronto a sollevarlo. Si tratta di una storia pregna e ricca di sorprese. Parla di un mondo in cui quello che conta non è partecipare, ma giungere a destinazione, portare a compimento l’obiettivo; di una consegna, di uno scaricamento, dell’ultima mansione assolta prima della pausa pranzo. Lavoro è quel compito per cui la società ti ricompensa, in funzione dei problemi che risolvi. Ma mentre durante le vacanze, più ti diverti, tanto maggiormente paghi e dopo piangi per i conti da pagare, sulla sedia dell’ufficio oppure del veicolo che guidi, trovando aspetti positivi nel trascorrere della giornata sarai sempre soddisfatto. Farai un lavoro, addirittura…Migliore? Più veloce (faster) agile (stronger) efficiente (better). Tre parole d’ordine che possono assegnarsi a molte cose, tranne forse, normalmente, al caro, piccolo e prezioso mulo da trasporto. Che non è un “animale” molto intelligente. Né disponibile a comprendere le situazioni, benché forte all’occorrenza. Anzi, non lo è proprio, un essere vivente (in questo caso, almeno) ma un sistema di pneumatici, motore e quattro leve di comando, con un uomo sopra, cavaliere delle fabbriche o dei magazzini. Tra tutti gli impiegati radunati sul piazzale, il guidatore di tale veicolo è dotato di una straordinaria aura di potere. Soltanto lui, fra tutti, grazie alla chiave di avviamento e al patentino, può risolvere il dilemma di giornata. E del resto, tanto meglio se si è in due!
Se fossimo in Spagna, li chiameremmo Don Chisciotte e Sancio, in Sudamerica, Zorro e Bernardo. Negli Stati Uniti, Batman e Robin ma qui siamo in Cina. E benché manchi l’alta canna di bambù, piegata appena dall’incedere lieve dei guerrieri trascinati oltre il suolo e dentro il vento, loro sono chiaramente: Drago e Tigrone, senza dubbio alcuno. Il primo sostiene, spingendo innanzi, e l’altro si ricava spazio dove non ce n’era: 力山 diceva, del resto, la sua candida livrea. 力山: carrello elevatore. 力山: forza di gravitazione? 力山: energia della montagna? Peccato l’altro assembramento di caratteri antichi, apparentemente, non voglia dire altro che “numero tre.” C’é un limite persino alla poesia. Finché lo scatolone non viene immediatamente fatto levitare. E messo in parte dentro al camion. Solo il giusto: perché subito dopo, neanche a dirlo, nello stesso modo viene maneggiato il primo agente, cavallo e cavaliere, supereroe e Batmobile in questione, per continuare l’opera e portarla a splendido coronamento. L’unione fa, la forza. Elimina, lo sforzo.  Ciò vale anche negli altri ambiti…

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Un origami dalla proboscide lunga 3 metri

White elephant

Tra le iniziative più interessanti finanziate mediante un portale di raccolta fondi online, oltre alle diavolerie tecnologiche, ai film indipendenti e ai videogiochi, spiccherà sempre questo candido pachiderma. Immobile, da qui all’eternità. Nasce in una grande sala del Centro di cultura e congressi di Lucerna (KKL) in Svizzera, dalle precise piegature di un unico foglio di carta, con 15 metri di lato. Era un semplice quadrato privo di spessore, prima di incontrare Sipho Mabona, professionista degli origami. Colui che l’ha così ricreato. Alto e splendido, stolido attrattore di sguardi: una vera opera d’arte. Niente di simile c’era mai stato, a questo mondo. E forse mai più ci sarà. Se non per il tramite della metafora pregna ed equivalente: l’elefante bianco, per l’appunto. Non una specie a parte, bensì lo stesso animale, albino e vivente. Antonomasia per eccellenza di un dono scomodo, quanto inutile, oppure di un arduo progetto. Si narra di come il re del Siam, l’antica Thailandia, usasse inviare una di queste creature ai suoi cortigiani meno graditi, causando enormi problemi. Un animale simile mangia, costa ed occupa spazio. Per non parlare di… A meno che sia di carta (e anche in quel caso!) Eppure, come rifiutarsi? In tutto il mondo, ed ancor più nei paesi di religione induista, il grande quadrupede orecchiuto rappresenta la saggezza e la potenza, qualità primarie di un governante. Indra, dio del tuono e della guerra, ne cavalcava uno in battaglia, bianco come l’osso, con quattro zanne e sette proboscidi. Evviva la ridondanza! Tale bestia poteva volare. Non c’è da sorprendersi, dunque, che la sua migliore approssimazione su questa Terra venisse considerata sacra. Guai a chi, trovandone uno, non l’avesse presentato, con tutti gli onori del caso, al suo caro monarca. Per poi riceverlo indietro, magari, come regalo. Al primo elefante, venivi considerato un magnate. Al secondo, un munifico paragone. Al terzo, un eroe del regno. Purché le finanze ti venissero dietro, come nel caso del re, ovviamente. L’attuale monarca di Thailandia, Bhumibol Adulyadej, di questi animali ne possiede dieci. Per fortuna, i tempi moderni gli permettono di tenerli tutti per se, usando contro gli indesiderati strumenti meno insidiosi di allontanamento.
L’espressione metaforica del white elephant, tanto cara ai paesi anglosassoni, ben si ritrova in molte delle moderne campagne di Kickstarter e Indiegogo. Promesse di prodotti futuribili, soluzioni a problemi che non sapevamo di avere. Non sempre realizzabili, né realizzate. Cose utilissime, oppure, come nel presente caso, semplicemente diverse. Fuori dal comune. Questa, indubbiamente, è la ragione migliore per finanziare degli esimi sconosciuti sul web: credere, piuttosto che in loro, nelle universali ragioni del bello. Sapendo che la promessa di un creativo, come questo maestro della piegatura della carta, non è fatta da lui, verso di noi. Ma riflessiva e rivolta a se stesso: “Si, posso farlo e lo farò.” Sorga dal suolo, quindi, l’ennesima meraviglia…

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La leggenda del cubo viaggiatore

Cubli

Naturalmente privi del vincolo della necessità, i robot sono liberi di assumere le forme più impensate. Grandi come montagne, striscianti come lombrichi, alati e con gambe di cavallo, pieni di lampadine colorate, oppure invisibili alla vista, percorrono le cronache dell’oggi e del domani. Hanno una caratteristica, su tutte: la riproduzione attraverso generazioni discordanti. Da cane nasce cane, per lo più, generalmente dello stesso tipo (razza) – ma da cosa, ebbene, può nascere ogni cosa; così arriva, rovesciandosi, questo cubo deambulante, prodotto nel politecnico federale di Zurigo. Che ha un solo padre, ma molte madri. Si fa per dire. Il principale creatore umano è Gajamohan Mohanarajah, studente in attesa di PhD, largamente consigliato e supervisionato dal suo relatore Raffaello d’Andrea, professore di Sistemi Dinamici e Controllo, nonché co-fondatore della Kiva Systems, un’azienda di cui abbiamo parlato precedentemente, proprio in questi lidi. Ma il vero genitore di un automa sarebbe l’artefice diretto, piuttosto che il predecessore concettuale, il papà-drone, la mamma-droide?  E soprattutto, chi mai potrebbe partorire un cubo? Giusto la terra stessa, con i suoi cristalli di pirite…
L’impossibile creatura del video soprastante, denominata Cubli – contrattura bi-lingue tra l’inglesismo cube e una desinenza diminutiva usata nel Cantone svizzero tedesco – costituisce una ragionevole approssimazione del secondo solido platonico, con 15 cm al vertice, di lato e in diagonale. Ad un secondo sguardo ci si accorge, tuttavia, che al suo interno c’è di tutto. Processori, batterie, motorini elettrici ed accelerometri, per fargli sapere sempre in che posizione è stato messo. E soprattutto, come gran finale, un coreografico trio di volani, della tipologia specifica chiamata reaction wheelQuesti ultimi, roteando vorticosamente, accumulano l’energia cinetica di un moto potenziale, poi si bloccano d’un tratto. Ed è allora, che il cubo si alza in piedi.

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Col suono del cartone nella testa

Zimoun

Carburanti fossili che avvampano senza un attimo di posa, trasformando i liquidi in vapore. Ecco il fuoco, strumento di creazione (o distruzione). Dal suo calore, l’energia meccanica, spinta con forza dentro alle dinamo di una mastodontica centrale. Tutto questo per produrre suoni musicali, ripescati dal passato! L’uragano delle scienze tecnologiche, al servizio di una o molte melodie. E giù miglia, miglia di cavi dal diametro importante, con l’anima in leghe innaturali, o minerali scavati dal profondo della Terra, direttamente collegati con la comune presa elettrica in un angolo della tua stanza.  Accanto a quella, una quantità variabile di altoparlanti. 2, 2+1, 5+1… Mossi dal carbone, dal petrolio, dall’uranio, che lì diventano, a distanza, strumenti d’intrattenimento. Favorendo soavemente l’ondeggiare di una minuscola bobina, piazzata sotto ad un piccolo magnete, dentro al cono affusolato intrappolato in ogni cassa dello stereo. Tutto, perché tu possa udire questo suono: TU-TUNZ-TU-TU-TUNZ-TUNZ-TUNZ […]  Se ti riesce, in mezzo a tante distrazioni; perché in effetti, persona incline all’astrazione, cosa stai sentendo? Le macchine di scavo dei cantieri minerari, lo scroscio del bacino idroelettrico in funzione, la ventola del computer che, sfacchinando, decodifica l’MP3? C’è un suono nel silenzio. Il rumore di fondo, sia astratto che effettivo. L’udito è un senso difficile a isolarsi, che segue con arguzia il tuo pensiero, l’immaginazione. Il contesto insostanziale di quella dimensione, per sua natura, non è soltanto frutto d’allucinazioni Si ritrova, ad esempio, nel battere ritmico della pioggia sopra i vetri, che tanto spesso diventa l’epicentro dell’introspezione. O nel respiro cittadino, fatto d’automobili o vociare in lontananza, diverso sulla base dei luoghi e dei momenti: l’ausilio all’operosità, per imprescindibile eccellenza. Secondo l’artista svizzero Zimoun, almeno a giudicare dalle sue molteplici creazioni, la natura del rumore artificiale cambia, si muove, in funzione dell’impianto usato per l’ascolto. Specie se si tratta di una cuffia, da poggiare sopra il cranio, che batte ricordando l’insistenza della TAC.
Nella sua ultima proposta, dimostrata su Vimeo e risegnalata sul blog artistico del portale FastCompany, due scatolette di cartone diventano la cassa armonica di una singolare attrezzatura, formata da batuffoli motorizzati su di un filo semi-rigido di ferro. I quali, colpendo la superficie senza alcuna regolarità, producono un’arcana sinfonia. Nessuno, prima d’ora, l’aveva mai sentita, né la sentirà di nuovo. Almeno, senza l’uso di un registratore.

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