La piccola reggia in mezzo ai monti della California

Mike Basich

C’è un attimo, nel segmento televisivo che la BBC dedica all’ormai famosa casetta auto-costruita di Mike Basich, celebre ed ancora giovane snowboarder in pensione (fotografo per tutta la vita) in cui compare una particolare immagine, destinata a restare bene impressa nella mente. Un rettangolo azzurro nel preciso formato della rivista Snowboard UK dell’Ottobre del 2009, in cui s’affollano tre elementi distinti: titolo, persona e mezzo di trasporto. Sarebbe lui che salta con la tavola, come niente fosse, dall’altezza di quaranta metri verso i monti dell’Alaska da un elicottero, sapientemente incastrato proprio fra la corsiva “N” e relativa “O”, nonostante l’ampio spazio vuoto disponibile sul resto della pagina. È un montaggio strano e attentamente ricercato, dove manca il più importante personaggio ovvero il suolo, e tutto quello spazio sfumato verso il vasto azzurro finisce per simboleggiare la ricerca di un singolo individuo che ha saputo osare, giungendo a realizzarsi in molti modi tanto fuori dal comune. Non migliore per partito preso, non più coraggioso né (soltanto) fisicamente straordinario. Ma lontano, diverso e in grado di sorprendere comunque chi volesse mai seguirlo sulla strada della sua creatività ed estremo dinamismo. Per qualcuno, una simile sconvolgente circostanza avrebbe potuto costituire il non-plus ultra del suo Dopo, quando già terminata la carriera dell’atleta professionista e poi quella dello scavezzacollo esagitato, l’uomo raggiungeva l’attimo che l’avrebbe iscritto chiaramente nella storia del suo sport, poco prima di andarsi a ritirare dalle scene della fama e rumorosa visibilità. Ma il paradiso addirittura, se adeguatamente supportato da ragioni di contesto, può costituire una ragione d’influenza culturale. E così l’architettura stessa frutto di un suo sogno personale, messa al servizio della sua voglia di distinguersi e lasciare il segno, gli ha fornito un metodo diverso di esulare dagli schemi.
La bicocca è stata denominata Area 241, assieme al terreno in cui si trova e, per improbabile estensione, pure la compagnia di abbigliamento messa in piedi parimenti dal campione. Già vista da lontano con la sua forma spigolosa, il finestrone e il patio di pietre non lavorate dotato di Jacuzzi ante-litteram, si capisce che è qualcosa di speciale. “Nel periodo del mio maggiore successo” Racconta l’atleta, dando voce a un’opinione assai diffusa nel suo ramo: “Ho vissuto l’American Dream. Una grande dimora nella colossale città, una macchina potente, viaggi da un lato all’altro del mondo, guadagni di fino a 170.000 dollari in un anno. Poi mi sono reso conto che con quello stile di vita mi mancava il tempo per pensare. Stavo perdendo il mio contatto con la natura.” La soluzione? Presto detto: spostarsi in-toto Off the Grid, come si dice in gergo, ovvero vivere per una buona parte dell’anno in un luogo scollegato dalle reti idrica ed elettrica e nello specifico sui monti della regione di Truckee, al confine tra il Nevada e l’assolata California, giusto in prossimità del celebre resort sciistico di Soda Springs. Ma non in mezzo agli altri, chiaramente. Isolato sulla cima della pagina del mondo, come in quell’exploit che seppe renderlo tanto famoso. Un investimento probabilmente assai considerevole, frutto dei suoi molti anni di carriera, gli aveva permesso di aggiudicarsi quel terreno scosceso dall’estensione considerevole di 40 acri, che avrebbe costituito il punto di partenza della sua più duratura creazione.
Quindi, con qualche amico a dargli una mano, ma soprattutto in solitario fatta l’eccezione del suo simpatico Siberian Husky, ha iniziato a mettere una pietra sopra l’altra e poi di nuovo. Ciò che ne è venuto fuori, è…

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San Francisco 1906: il video del traffico prima del caos

San Francisco Market Street 1906

Un predicatore di strada con due cartelli al collo, uno davanti, l’altro dietro, la campanella tintinnante in una mano e la pesante bibbia dalla copertina nera, il titolo dorato, stretta saldamente sotto braccio, percorreva certamente Market Street. Era il 14 aprile 1906, quattro giorni prima del più grande terremoto mai subito dagli Stati Uniti. “Repent your sins!” Faceva lui. Incombeva, nel frattempo, l’assoluta distruzione del maggiore centro urbano sulla Costa Ovest, senza Twitter, senza Facebook e Instagram per raccontarla, come tristemente avviene adesso, sotto gli occhi della collettività. Una disgrazia persa per i posteri, purtroppo. Eppure… Difficile individuarlo tra la folla, tale uomo, l’evoluzione iettatoria degli evangelisti di frontiera, guardando fuori da un prototipo della moderna Google Car. Ma con la neve, con il sole, lui su quella strada c’era sempre. Noi, invece, possiamo percorrerla soltanto in questo modo, guardando fuori da una lente in vetro posta sopra il ferro e quattro ruote. Cos’era dunque, quest’arnese semovente, un calesse con la cinepresa? Mike Upchurch, proprietario del canale, la definisce in modo criptico “streetcar”. Un’automobile rudimentale, meravigliosamente priva di cavalli? Le diverse soluzioni veicolari, in quell’epoca, ancora si contendevano ferocemente lo stesso spazio, andando all’invidiabile rapidità di 10 miglia orarie. In tutte le direzioni possibili, allo stesso tempo, come qui si può ben osservare. Non ci è dunque immediatamente chiaro, con che stiamo percorrendo quell’arteria urbana. Finché*
Colui che ci propone questo interessante video, tra l’altro, è riuscito pure a dargli vita nuova, aggiungendovi il sonoro. Non le voci, purtroppo: “Hellfire and brimstone, to those who offend the Lord!” Avremmo sentito a un certo punto, altrimenti. “Pentitevi, abitatori dell’odierna Gerico dalle mura (troppo) fragili, finché siete in tempo!” Magari, e così via, con l’aggiunta di un realistico effetto doppler, come fatto per il resto. Nel video, aguzzando gli occhi della mente, di quel castigatore se ne percepisce vagamente la presenza. C’era sempre, pure oggi e come allora, nell’immaginario popolare americano. Nessuno avrebbe mai pensato, dopo tutto, di trovarlo tanto gravemente confermato.

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