Lungamente percettibile più fini estimatori di un parallelismo latente è la possibile sovra-cultura primordiale, in qualche modo in grado di connettere le prime civiltà terrestri. Forse grazie all’opera di antichi esploratori, o mistiche tecnologie perdute. Magari soltanto perché l’umanità è più antica di quanto si creda, ed esistono stilemi tramandati prima di geologiche separazioni dei continenti. Metodi figurativi per rappresentare tipici motivi ricorrenti, dinamici disegni dedicati al ragno, il bue, l’uccello, che paiono egualmente frutto di strutture ricorrenti nel sistema della mente, così come il flusso in qualche modo prevedibile dell’evoluzione di ogni creatura vivente. Poiché l’universo la natura non possono elevarsi da una serie di effettive leggi. Cause, effetti conseguenti. Lezioni apprese fin dall’epoca dei dinosauri. E dei loro discendenti col mantello di piume. Così come il curol chiamato alternativamente il cuckoo-roller o nella sua terra d’origine, semplicemente vorondreo. In quella scheggia circondata dall’Oceano Indiano, ultimo residuo della terra segmentata del Gondwana, cui oggi siamo inclini a riferirci con il nome di Madagascar. La cui estrema singolarità compare chiaramente nelle date interconnesse alla tassonomia, ordinate in modo cronologico al contrario: da Leptosomus (genere) nel 1816, a Leptosomidae (famiglia) del1838, fino all’ordine dei Leptosomiformes, inserito nei cataloghi soltanto a partire dal 1891. Ciò a partire dalla presa di coscienza, dolorosamente ma necessariamente tardiva, che nonostante l’aspetto vagamente familiare dovuto ad esigenze meramente tecniche, questa era una creatura totalmente solitaria nello schema generale dell’albero dell’esistenza. Incapace di appartenere a qualsivoglia categoria precedente! Nonostante il becco lievemente curvo e la postura allungata da cuculo. Tralasciando le ali larghe ed il volo volteggiante dei comunque ben più piccoli Brachipteraciidi (roller). E poco importa il metodo di caccia consistente nel restare immobile per lungo tempo prima di piombare sulla preda, che ricorda vagamente il modus dei rapaci o nel suo specifico ambiente forestale, i buceri dell’Africa o dell’Asia distante.
Per questa presenza dai 25 ai 49 cm in base alla zona di appartenenza, la striscia cupa dietro l’occhio simile al trucco di un mimo, capace di avvicinarsi concettualmente a ciascuno di essi allo stesso tempo. Fluttuando via lontana, immantinente, da ogni sogno mai sognato tra coloro che conoscono i suoi simili tra valli e monti del nostro affollato pianeta…
creature
Hundun senza occhi, bocca o un volto, principio alato dell’inconoscibile realtà immanente
La consultazione degli antichi testi letterari cinesi è un’attività capace di restituire grandi presupposti di conoscenza e cognizioni, anche quando, nell’assenza delle necessarie competenze linguistiche, si scelga di ricorrere a una traduzione verso un diverso idioma. Esiste tuttavia il caso di un testo specifico, le cui ricche illustrazioni tradizionali permettono un elevato grado di fruizione anche senza la conoscenza di un singolo ideogramma. Esso è lo Shanhai Jing (山海经) “Il Libro dei Monti e dei Mari” una sorta di enciclopedia compilata probabilmente per la prima volta attorno al IV secolo a.C, costituita da un catalogo degli animali, mostri e fenomeni naturali che caratterizzavano la Terra di Mezzo, ivi incluse le forme terrene di diverse divinità. Tra cui la più celebre resta probabilmente Nüwa o Nügua, donna creatrice con il corpo di serpente, lungamente venerata dall’antico popolo dei Miao. È tuttavia possibile, continuando a sfogliare quelle pagine, imbattersi in qualcosa capace di suscitare un immediato senso di perplessità e smarrimento, giungendo al cospetto di un’essere probabilmente tra le più bizzarre creature mitologiche di qualsiasi cultura, la cui stessa esistenza fu in effetti concepita come allegoria dell’inconoscibile principio dell’Esistenza. La creatura, identificata con il doppio nome di Hundun (混沌 – Caos) o Dijiang (帝江 – Sovrano del Flusso) era in effetti il nume tutelare di talune scuole ancestrali della filosofia Taoista, posizionandosi all’incontro tra elucubrazioni filosofiche sulla natura dell’esistenza ed il modo in cui taluni princìpi generativi, che oggi saremmo inclini a definire “evoluzione”, possono rendere manifeste le ideali verità inumane. Danzante, volante essere chimerico, dotato al tempo stesso di un corpo peloso dalla forma discoidale e sei zampe come un insetto, nonché quattro ali che battevano in maniera discontinua e imprevedibile, dando l’origine a dei movimenti irregolari capaci di assomigliare ad una mistica danza tra le nubi del Palazzo Celeste. La cui caratteristica fondamentale restava l’assenza di alcun tipo di organo necessario all’acquisizione della conoscenza, nonché una testa propriamente detta, così da rendere difficile la distinzione tra il dietro e il davanti. Con dimensioni imponenti probabilmente paragonabili a quelle di un drago, benché ciò non venisse esplicitamente specificato, il misterioso Hundun fluttuava dunque nello spazio interstiziale tra fenomenologia e significato, volendo alludere in maniera trascendente ad una delle primordiali consapevolezze identitarie della collettività terrena. Una sua analisi più approfondita, grazie alla comparsa in una serie di parabole sia letterarie che folkloristiche, avrebbe per certi versi occupato gli oltre due millenni a seguire…
Ultima speranza per la lumaca pelosa del Tamigi, che anticipa direttamente i tempi grigi
I cappelli con visiera per proteggersi dal sole, le calosce per mettere i piedi l’uno innanzi all’altro, nel fangoso spazio ripariale di uno dei più celebri, sporchi e navigati fiumi cittadini dell’emisfero Occidentale. In questo scenario di Isleworth Ait, stretta terra emersa tra le anse del fiume londinese, si aggirano i concologi dotati di strumenti videografici, sacche di raccolta e blocchi per gli appunti dalla copertina cerata. Il loro obiettivo: contare per quanto possibile, in mezzo a una città di 9 milioni di persone, gli esemplari che persistono di una specie considerata ormai in via d’estinzione nazionale. Il cui nome comune tradisce una morfologia non priva di corazza e un vello irsuto di estrusioni pilifere perimetrali. Trattasi nello specifico di German Hairy Snail, ovvero la Lumaca Tedesca Pelosa. Così chiamata perché risalente, dal punto di vista evolutivo, all’epoca remota in cui le isole inglesi facevano ancor parte della principale massa continentale europea. Ed i due corsi del Tamigi e del Reno erano consequenziali, senza l’odierna intromissione salmastra del Mare del Nord. In un singolo fiume ininterrotto la cui rotta costituiva un habitat esteso in senso longitudinale, ricco di nicchie ecologiche tra cui quella in mezzo al fango, tra foglie e radici disparate, dove piccole creature avevano prerogativa di nutrirsi e moltiplicarsi indisturbate per quanto possibile dai predatori. A patto di rispettare delle linee guida, traendo beneficio dalle proprie caratteristiche speciali, che nel caso della Pseudotrichia rubiginosa non più larga di 7 mm trovano conferma in quel particolare aspetto tangibile, coadiuvato dal possesso di quella peluria dalle plurime finalità protettive. In primo luogo nei confronti della secchezza, ancestrale nemico dei molluschi di terra, combattuta tramite le gocce catturate e mantenute in trappola come un mantello dalla fibbia a spirale. Agendo nel contempo a guisa dei denti di un pettine, così da garantire l’aderenza della piccola creatura sulle sabbie, impedendogli di venire trasportata via dalla corrente. E infine trattenendo il fango ed i detriti per mimetizzarsi, durante le opportune fuoriuscite dalle tane occulte, alla ricerca di quel cibo quotidiano dello strato di microrganismi, batteri, microfunghi ed altro, da raschiare con la propria radula dai chitinosi dentelli. Solida e morbida al tempo stesso, la lumaca di questi recessi ha continuato dunque a prosperare per millenni, del tutto indifferente ai profondi mutamenti geologici del mondo. Finché l’uomo non ha cominciato a costruire il necessario tipo di opere, posizionate sulle rive degli antichi affluenti, finalizzate a render netto quel confine, così da scongiurare il rischio di eventuali esondazioni ed allagamenti. Un gesto che potremmo definire imprescindibile ed irrimediabile anatema, nei confronti di quegli esseri che avevano l’umile prerogativa di chiamarla “casa maggiore” in aggiunta a quella “minore” trasportata, eternamente, dentro il guscio dell’unica e umida pertinenza situazionale…
La trasformazione robo-iconica di un androide nell’incubo notturno della donna ragno
All’incirca 7 milioni di anni fa, nella fascia di territorio africana nota come piana del Sahel, alcuni esemplari di ominide iniziarono a mettere in pratica una strana metodologia di deambulazione. Eretti sulle gambe posteriori, alti e instabili, essi guadagnarono immediatamente alcuni importanti vantaggi, tra cui la predisposizione ad osservare in lontananza, scorgendo in anticipo il pericolo di tigri dai denti a sciabola ed immensi orsi primitivi. Per non parlare della liberazione degli arti anteriori dal bisogno di sostenere costantemente il peso della testa, dedicandoli primariamente alla sistematica manipolazione di oggetti e strumenti. Approccio modale non costante, almeno all’inizio, la postura eretta implicò profonde modificazioni muscolo-scheletriche, diventando totalmente obbligatorio entro una manciata di generazioni. Ciò cambiò essenzialmente, cosa volesse dire essere dei proto-umani comportando nel contempo una significativa perdita di velocità, agilità e versatilità nell’arrampicarsi attraverso un certo tipo di territori. Tanto oggi ora la più funzionale via creativa in grado di condurre alla riproduzione di quell’asse dell’evoluzione, il campo della robotica, sembra soprattutto incline a imporre ai propri figli di metallo & cavi la stessa serie di punti forti accompagnati dalle debolezze intrinseche, sebbene tali esseri del mondo attuale non abbiano il bisogno di scrutare innanzi la savana, né alcun bisogno di essere simmetrici nella disposizione di una quantità e tipologia di arti che risulta più che mai arbitraria. Eppure con l’imposizione pressoché automatica delle logiche dell’economia di scala, i primi automi veramente indipendenti che hanno popolato l’interscambio del mercato globale sembrerebbero effettivamente appartenere a due categorie: un quadrupede chiamato convenzionalmente “cane” ed il cosiddetto androide, a noi simile in qualsiasi aspetto tranne volto, pelle, ossa, muscoli ed organi assembrati attorno al vivente marchingegno del sistema nervoso centrale. L’ultima e forse maggiormente iterazione del quale, può essere individuata nel prodotto largamente programmabile della compagnia cinese di Wang Xingxing, la Unitree Robotics, dal costo unitario di 13.000 dollari ed il nome commerciale alquanto descrittivo di G1 – Humanoid Agent Avatar. Un cui esemplare oggi sappiamo essere stato acquistato, nella primavera del 2025, dall’appassionato del settore nonché possessore di un curriculum pregresso nel campo della programmazione Logan Olson, proprietario di un profilo su X dove appaiono periodicamente i risultati dei suoi esperimenti non del tutto privi di una chiara ed evidente verve creativa. Tra cui l’ultimo e di gran lunga più apprezzato dal pubblico di Internet, che aveva preso come pretesto la ricorrenza di Halloween per fare un qualcosa che nessuno aveva mai tentato fino ad ora: insegnare al suo fedele servitore cibernetico una particolare mossa egualmente familiare ai cinefili e gli amanti dei videogames. Quella consistente, in parole povere, nel chinarsi in modo innaturale a terra, per incedere mediante l’uso di gambe e braccia piegate ad angolo, in un modo che ricorda sottilmente alcune categorie d’insetti o aracnidi, passando per la bambina posseduta ne “L’Esorcista” o il perverso combattente Voldo nella serie di picchiaduro Soul Calibur. O ancora e in modo più calzante, le guardie artificiali diventate ostili all’umanità nella stratificata arcologia decaduta dell’opera di animazione dal manga di Tsutomu Nihei, Blame…



