Quanto corre uno pneumatico alle prese con la duna più elevata dell’America Meridionale

Quando minacciato da un predatore, il ragno delle dune Carparachne aureoflava raccoglie le sue zampe attorno al corpo ed effettua un tuffo carpiato in avanti, dando inizio a una valanga che vede soltanto se stesso come protagonista. Ruotando e rotolando si trasforma in una ruota, in modo da sfruttare il più comune dei meccanismi di sopravvivenza: la fuga. Se ora immaginassimo, all’interno delle valli di un qualche pianeta, la creatura nata per nutrirsi della gomma e suoi derivati, diventerebbe relativamente facile determinare la perfetta forma di colui o colei che cerca in ogni modo di aver salva la propria esistenza. Tale essere dovrebbe risultare rapido, se necessario. Leggiadro quando in corsa. E adeguatamente circolare, affinché la propria migrazione verso il basso possa proseguire fino al termine dell’ora del pericolo nel dipanarsi del frangente sopra indicato. Da ogni aspetto rilevante tranne l’effettiva appartenenza ad un contesto veicolare, una ruota. E come parte di quel treno fatto degli oggetti nati per interfacciarsi con tale contesto, idealmente caratterizzato da ogni tipo di caratteristica perfettamente funzionale al rotolamento. Dopo tutto, cos’è l’asfalto? Se non un apostrofo grigiastro tra gli eoni e l’insorgenza geologica di un ridisegnato paesaggio figlio di un flessibile prospetto trasformativo? Tutto quello che oggi è carreggiata, sabbia era un tempo. E quella stessa sabbia tornerà un domani ad essere, dopo il semplice trascorrere di una quantità di secoli superiore al centinaio, migliaio… O magari una scarsa dozzina.
Questo il fato e tale la possibile aspirazione, del gesto e la parola connotati dalla squadra dietro il successo virale da circa 800.000 visualizzazioni “Longest Tyre Roll IN THE WORLD” consistente di una scena consistente nel dar luogo a una cascata successiva di cause ed effetti. In tre parole riassumibili nell’espressione: ruota, corre, verso. Il Fondo, se vogliamo essere maggiormente specifici (per oltre tre minuti!) di questa valle di assoluto nulla e neanche un filo d’erba nel raggio in cui possono spaziar gli sguardi, come parte di un contesto che possiamo eventualmente ricondurre al deserto dell’Atacama. Non grazie a particolari caratteristiche inerenti della scena, quanto i materiali di supporto al viaggio che ne configura il pretesto, complessivamente caricati online dal gruppo di quattro amici britannici, Jasper, Ivo, Josh e Robbie facenti parte della squadra di Tuk South, iniziativa avventurosa con fini benefici che li ha portati precedentemente ad esplorare l’Africa, ed in tempi più recenti il Sudamerica, a bordo di una quantità variabile tra uno e due Ape Piaggio preventivamente ed adeguatamente modificati. Impresa già sufficientemente difficile, senza doversi portare al seguito anche gomme di ricambio per tutt’altra categoria di veicoli dotati di due sole ruote…

Trattasi dunque di un gesto spontaneo o “esperimento”, se così vogliamo chiamarlo, sebbene reso interessante dall’abilità del pilota di droni della compagnia (Jasper) alla guida di un velivolo dalla risoluzione particolarmente alta nonché predisposto a compiere manovre straordinariamente puntuali e ben calibrate. Tanto che tenuto facilmente al centro dell’inquadratura, lo pneumatico in questione pare animarsi di una volontà del tutto autonoma mentre sobbalza da un ostacolo ad un altro, vira tra le asperità ed accelera in maniera esponenziale alla difficile ricerca di un luogo idoneo a contrastare l’inesorabile attrazione gravitazionale della Madre Terra. Impresa tutt’altro che semplice, quando un calcolo del tutto empirico permetterebbe di assegnare qualche numero approssimativo alla questione: ipotizzando una duna di 150 metri d’altezza, almeno 120 Km/h di velocità massima e 800 metri/1,2 Km di distanza. Comparativamente più difficile, nel frattempo, dotare di un contesto geografico la scena, che gli auteurs qualificano nella didascalia come ambientata unicamente presso “la più alta duna di sabbia del mondo”. La quale almeno da un punto di vista letterale, si troverebbe effettivamente non distante dall’itinerario dichiarato quest’anno dal gruppo Tuk South, che vede il viaggio dipanarsi tra Cartagena in Colombia ed Ushuahia in Argentina, trovando celebre corrispondenza nel rilievo noto come Duna di Federico Kirbus, situata nel deserto meridionale di Fiambalà. Il che presenta oggettivamente un dilemma perché tale luogo, a giudicare dal comparto fotografico reperibile su Internet, non presenta lo stesso aspetto complessivo né il giusto colore di sabbia, oltre ad essere caratterizzato dalla presenza di scarna e bassa vegetazione, laddove la scena titolare ha come unico sfondo la scarna bellezza di un luogo totalmente privo di alcun tipo di osservabile forma di vita. Circostanza esemplificata dall’espressione usata nella descrizione di YouTube, che cita la somiglianza della scena al prototipico paesaggio marziano, fornendo anche un’implicito suggerimento di dove potrebbe nei fatti aver trovato compimento l’impresa. Giacché tra tutti i luoghi dove la NASA ha compiuto esercitazioni relative al nostro ipotetico sbarco sul Pianeta Rosso, trova preminenza un altro luogo guarda caso sul sentiero dell’avventuroso Ape Piaggio, cui potremmo facilmente attribuire il nome di deserto cileno dell’Atacama. Ed in modo particolare la regione di esso nota come Mare delle Dune di Copiapò, una zona battuta da forti venti che accumulano la sabbia nelle formazioni lunate note con il termine kazako di barchan, fino a proporzioni spropositate che raggiungono una percentuale significativa, e qualche volta competono direttamente, con la spettacolare imponenza del gigante argentino a Fiambalà. Piattaforma in ogni modo idonea, alla dimostrazione pratica di quanto corrano le ruote se scagliate con l’intento manifesto di condurle verso il trionfo e la celebrità universale.

Altri gruppi di turisti usano spesso le dune di Copiapò per le loro avventure in discesa, come nella pratica oggettivamente affascinante del sandboarding, che vede tale paesaggio assumere prerogative comparabili alla cima di una montagna innevata.

E qualche critica immancabile sul territorio internettiano, come sempre. Giacché molti dei commenti al video paiono in effetti concentrarsi, con contegni che variano dall’umoristico all’accusatorio, sul tema del difficoltoso recupero dello pneumatico al termine della sua corsa, in qualche modo suggestivo della pratica notoriamente lesìva, da parte dei turisti internazionali che si ostinano a trattare i luoghi limpidi della natura come luoghi dove accumulare senza conseguenze la spazzatura. Un’ipotesi di mala condotta molto ingenerosa nei confronti dei Tuk South, non soltanto per la grande attenzione verso il patrimonio terrestre già esemplificata dalle loro raccolte fondi per le riserve naturalistiche durante il viaggio africano, ma anche un semplice ragionamento di contesto. Non è forse chiaro, a tal proposito, che impiegando un drone fornito di localizzatore GPS per seguirla, il recupero e restituzione della ruota in questione al portabagagli del mezzo di appartenenza sarebbe risultato estremamente semplice al mero profilarsi di una tale esigenza? E difficilmente chi percorre letterali migliaia di chilometri a bordo di un veicolo stradale a tre ruote, poi si farebbe fatto qualche problema nel percorrere qualche centinaio di metri a piedi…
Dal che l’osservazione, che potrebbe anche assumere l’aspetto di un consiglio riservato agli autori: sarebbero bastati pochi secondi al termine della sequenza, con una ripresa dei membri della spedizione che sollevavano in maniera trionfante la ruota recuperata, per evitare tali accuse che descriverei come probabilmente prive di fondamento. Dopo tutto fare un uso veramente produttivo di Internet richiede l’impostazione necessaria a comprovare i gesti ed evitare il sospetto delle moltitudini. Accorgimenti più necessari che mai, in quest’epoca di sofisticata e intenzionale manipolazione delle fonti tramite l’impiego degli algoritmi generativi.

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