Consacrata finalmente a Bucarest la più grande chiesa nella storia dell’Ortodossia Orientale

Le aspirazioni e desideri di un popolo possono costituire un’energia del cambiamento, soprattutto ai fini di dar forma a cognizioni spirituali oltre le mere aspettative del quotidiano. Singolari testimonianze, magnifiche ed inconfondibili, delle priorità concettuali al centro di un’ideologia, intesa come senso comune della collettività indivisa. Almeno, in teoria. Così non mancarono di certo, fin dalla sua inaugurazione nell’ormai remoto 1997, i critici del giganteggiante Palazzo del Parlamento Rumeno, il mostro alto 84 metri che costituisce probabilmente il più pesante (ed uno dei più vasti) singoli edifici al mondo. La cui ombra squadrata a metà tra il Neoclassico ed il Brutalismo avrebbe già dovuto avere, nella pianificazione architettonica della piazza dell’Arsenale a Bucarest, una controparte di natura maggiormente leggiadra e metaforica. Un luogo di ritrovo finalizzato alla preghiera, immaginato ai tempi della Rivoluzione del 1877 per sostituire l’eccessivamente affollata Cattedrale Metropolitana vicina alla Camera dei Deputati. Centodieci anni sarebbero effettivamente bastati di gran lunga, in linea di principio, ad erigere le mura di una vera e propria cattedrale. Se non che l’assenza di fondi sufficienti nell’erario, uniti alla progressiva insorgenza di conflitti sempre più drammatici nell’Est Europa, costituirono frangenti capaci di spostare in avanti l’effettiva messa in opera di quel progetto, sia durante il regno dei monarchi della dinastia Hohenzollern-Sigmaringen che a seguito dell’istituzione del governo comunista, le cui priorità risiedevano chiaramente in tutt’altra direzione avendo in effetto promosso la demolizione di molti edifici di culto nella stessa capitale. Ci sarebbe voluto dunque fino al 1999, nella sussistenza di un clima politico favorevole e una leadership clericale sufficientemente propositiva, affinché la questione della Catedrala Mântuirii Neamului (C. della Salvezza della Nazione) venisse sollevata nuovamente grazie a un gesto plateale consistente nel posizionamento di una croce nella Piazza dell’Unione, originariamente consacrata dal patriarca Miron (in carica: 1919-39) ed a maggio di quell’anno benedetta per buona misura anche dal Papa cattolico in visita Giovanni Paolo II. Con il trascorrere di un ulteriore periodo di acclimatamento all’idea fino 2005, il sito venne giudicato tuttavia insufficiente, portando lo stesso Municipio cittadino a suggerire la collocazione possibilmente ideale: quel vasto spazio istituzionale sullo zoccolo pietroso sopraelevato, che nella Preistoria aveva costituito l’argine naturale del fiume Dambovita. Una scelta simbolica oltre che funzionale, vista l’esistenza pregressa di ben cinque chiese entro i confini della piazza, sistematicamente demoliti per far posto agli edifici amministrativi del regime. Esattamente là dove la scorsa domenica svariate decine di migliaia di persone, fornite di maxi-schermi per assistere alla cerimonia propriamente detta, hanno preso parte ad uno dei rituali più importanti nel processo d’inaugurazione di una chiesa ortodossa: la consacrazione delle icone successiva a quella delle mura e dell’altare, ultima in ordine di tempo proprio perché apre al pubblico la possibilità di assistere alle funzioni che dovranno tenersi all’interno. Sotto molti punti di vista, un punto di svolta storico nella storia di questo paese…

Architettonicamente imponente grazie a misure pantagrueliche che la rendono paragonabile alla basilica di San Pietro, con i suoi 120 metri di altezza e 126 di lunghezza, la chiesa è dunque detentrice di svariati record del mondo. La più alta cattedrale non-gotica, la più alta cupola all’esterno esclusa la lanterna, la maggiore collezione di mosaici con i suoi 25.000 metri quadri di figure e la più ampia navata al mondo. Essa costituisce, inoltre, un assoluto unicum nel panorama ortodosso, con la maggiore iconostasi nonché le proporzioni di gran lunga superiori a qualsiasi altro edificio dedicato a tale confessione. Si tratta, in altri termini, di un mega progetto lungamente al di sopra degli obiettivi infrastrutturali normalmente perseguiti dallo Stato Rumeno, reso possibile soltanto dalle considerevoli risorse clericali nonché la donazione di molti privati e istituzioni sia nazionali che stranieri. Sebbene in che misura l’erario pubblico si sia effettivamente sobbarcato il costo di una tale meraviglia, per un totale stimato di circa 270 milioni di euro, non sia stato dichiarato in modo sempre trasparente, con conseguente e comprensibile protesta delle fasce meno religiose della popolazione. Laborioso, d’altra parte, anche il processo di approvazione ed implementazione dei lavori, destinati a richiedere ben 15 anni dall’inizio dello scavo delle fondamenta, a seguito di un concorso d’appalto vinto nel 2009 dallo studio architettonico Vanel Exim di Bacau. Con un disegno che potremmo definire tradizionalista, piuttosto che rivoluzionario, conforme allo stile Neo-Bizantino dell’ultimo secolo con elementi mutuati da molti celebri edifici ecclesiastici del territorio rumeno, oltre a caratteristiche fuori contesto come le torri in stile Transilvano e le nicchie tipiche della Moldavia. Di grande rilievo estetico la cupola principale circondata da 16 archi, e le sei torri ottagonali perimetrali a loro volta sormontate da ulteriori cupole dorate, con un’altra dalle proporzioni intermedie adibita ad alloggiamento per la campana, orpello gigantesco dal peso di oltre 25 tonnellate. Ma è soltanto facendo il proprio ingresso dal portone principale, posizionato sotto l’ornato rosone con intelaiatura cruciforme, che i visitatori potranno apprezzare a pieno titolo il tratto distintivo principale della chiesa. I multipli mosaici policromi creati sotto la supervisione dell’iconografo Daniel Codrescu, suddivisi in base alle tre “epoche” nella storia della confessione Ortodossa da una prospettiva rumena: Apostolica, Patristica e Slava. Abbondanti lungo le pareti le immagini dei Santi e dei Patriarchi, mentre spostando verso l’alto lo sguardo si potranno scorgere cherubini, serafini e arcangeli, fino alle vicende bibliche e scene della vita di Gesù. Il quale compare in una gigantografia, nel suo aspetto di Pantocratore (Onnipotente) sul soffitto della cupola, mentre sembra benedire i fino a 5.000 occupanti della vasta navata sottostante. Sull’iconostasi o tramezzo propriamente detto, la parete che divide tale spazio dal bema, dove viene celebrata l’Eucaristia, Codrescu ha fatto invece rappresentare le scene conviviali dei 13 banchetti in base alla tradizione Ortodossa, dominati come di consueto dall’Ultima Cena. Molto interessante anche lo spazio sotterraneo della cattedrale, chiamato Caverna di Sant’Andrea come patrono della nazione, che raggiunge l’ampiezza della chiesa soprastante ed include, oltre ad ampi spazi per la celebrazione di eventi, una necropoli dedicata alla sepoltura dei futuri patriarchi ispirata direttamente a quella di San Pietro a Roma. Nonché, per buona misura, un quantità non specificata di bunker anti-nucleari per proteggere i fedeli dall’eventuale verificarsi del conflitto finale. Accorgimento che la dice lunga sulla resilienza di un paese che ha conosciuto l’intero spettro drammatico dei conflitti umani del Novecento.

Evento lieto, dunque, in un’Europa che ormai da tempo sembra poco incline a grandi opere senza un ritorno pratico delle cifre investite. A meno di voler cedere alla tentazione di parallelismi oggettivamente acclarati, in merito al grande numero di ospedali o opere caritatevoli che sarebbe stato possibile realizzare con le cifre investite in quello che costituisce a tutti gli effetti una dimostrazione a credito di potere economico che il paese, nel suo complesso, potrebbe non possedere. C’è anche da dire in conclusione come la costruzione della cattedrale fosse pianificata ormai da più di un secolo, essendo giunta a costituire non soltanto un’opportunità mancata di crescita dell’identità nazionale, ma anche la dolorosa percezione, a danno di tutti, dell’incapacità da parte di una classe dirigente di dare concretezza alla visione dei propri stimati predecessori. E dove vogliamo mettere la risorsa, sempre più redditizia in quest’epoca di condivisione digitalizzata quasi obbligatoria, del turismo da parte degli amanti dell’arte e dei pellegrini? Forse la ritrovata priorità esteriore di Bucarest, nell’attuale contesto geopolitico, ha un valore che esula dalle considerazioni in merito alla spiritualità religiosa propriamente detta. Rappresentando un’alta piattaforma panoramica, da cui scrutare la città e le prospettive delle ambizioni future.

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