Oh, magnifico ed ornato insetto, larva di creatura nata sulle piante che ho raccolto lungo le terrose aiuole di Watling Street. Verde, giallo, bluastro bruco lungo tre quarti di spanna, destinato a diventare la falena dei presagi, che ricorda e invoca la figura di un teschio scarnificato. Oh, morte! Che ho causato alla tua schiatta, in questo giorno infausto, per la svista di una digressione di memoria, il tempo speso a coltivare il mio giardino londinese. Avendo posto sullo sfondo l’altro inutile progetto messo sotto vetro in un’ampolla, così poetico, tanto interconnesso alla filosofia dei giorni, di nutrirti ed accudirti fin all’ora della metamorfosi desiderata. Cos’è, in fondo, il rimorso… E soprattutto che cos’è… Quello? Erbetta verde sulla terra che doveva essere il sostrato? Della tua dimora chiusa e trasparente, racchiuso mausoleo che torna ad ospitare una timida speranza del suo domani? E se adesso lasciassi tutto questo nella stessa strana condizione? Saresti ancora lì a sbocciar tra un giorno, una settimana, un mese?
Raccontano i diari di Nathaniel Bashaw Ward, affermato medico della Londa vittoriana che aveva appena raggiunto i suoi 38 anni nel 1829, che il fortuito esperimento avrebbe avuto una longevità insperata: ben quattro anni di un’ininterrotta vita vegetale, per quanto umile, racchiusa nella tomba trasparente e sigillata dell’irrealizzabile falena, avendo nutrimento unicamente dalla decomposizione, la luce e quella limitata quantità d’acqua ripetutamente assorbita, liberata in forma di condensazione e poi caduta nuovamente alle mura trasparenti fino al fondo della piccola prigione in vetro. Un risultato tanto inaspettato quanto ricco di un profondo potenziale, giacché il praticante non per scelta del mestiere paterno tanto a lungo aveva desiderato di girare il mondo come marinaio, avendo anche vissuto l’esperienza in gioventù di giungere fino alla Giamaica, nel corso del suo primo e unico viaggio al di là del vasto mare. E adesso che questa possibilità gli era preclusa, per le ovvie e universali ragioni dell’età adulta, vaste soddisfazioni avrebbe ricevuto dalla successiva migliore possibilità: ricevere dai suoi colleghi appassionati di botanica, in giro per le colonie e il resto del globo, ogni sorta di magnifica creatura vegetale. Da inserire nella propria collezione precedentemente composta soprattutto da qualche orchidea e felce, inevitabilmente deperite a causa dell’aria inquinata della city surriscaldata l’effetto della febbre più terribile, la prima e inarrestabile Rivoluzione Industriale. Fu così che il medico, dopo un rapido sopralluogo all’ufficio brevetti, decise entro il 1833 a passare a vie di fatto. Facendo costruire una coppia di versioni sovradimensionate del suo speciale contenitore, da inviare fino all’altro capo di un lungo viaggio in Australia con alcune felci britanniche rare all’interno. Di certo non poteva immaginare, all’epoca, di aver creato il primo terrarium della Storia…
Giardini a vela erano le navi, a partire dall’epoca delle grandi esplorazioni, che ricevevano il mandato di custodire per ragioni scientifiche o economiche particolari campioni o concentrate moltitudini di piante durante il corso di lunghe traversate marine. Operazione spesso complicata al punto da richiedere la presenza di un giardiniere a bordo, nonché soggetta a ostacoli climatici e meteorologici del tutto fuori dal controllo dell’uomo. Così da richiedere ampie quantità di esemplari all’interno della stiva, gelosamente custoditi dalla problematica acqua salmastra, dei quali sopravviveva unicamente una percentuale numericamente limitata, per quanto importante. Ed invero sussistevano notevoli opportunità di guadagno, nel trapiantare una presenza erbacea da un continente a un altro, come ben sapevano gli amministratori della Compagnia delle Indie, da lungo tempo impegnati nel difficile rapporto diplomatico con la terra d’origine della Camellia sinensis, o preziosissima pianta del tè cinese. Fatto sta che il primo esperimento pratico della cosiddetta Cassa di Ward fu un successo strepitoso, tanto che non soltanto le felci del suddetto raggiunsero con successo le banchine del continente meridionale, ma le stesse scatole, riempite ad hoc dai botanici contattati preventivamente (tra cui niente meno che William Jackson Hooker, futuro direttore degli Orti Botanici di Kew) tornarono con successo al mittente, ricolme di copiose meraviglie botaniche che le isole britanniche non avevano mai conosciuto prima di quella fatidica ora. Incoraggiato dal suo successo, il dottore scrisse dunque un libro sull’argomento che venne pubblicato nel 1842, “Sulla crescita delle piante all’interno di contenitori in vetro” che ebbe ampia circolazione negli ambienti accademici. Ben presto, la risonanza mediatica fu notevole e molte officine si dedicarono alla costruzione dei suoi contenitori. Erano questi, in effetti, gli anni della celebre pteridomania, moda vittoriana per la collezione di felci ed altre piante da parte di esponenti di ogni classe sociale, una tendenza che i sociologi collegano al desiderio in quel periodo di riuscire a dominare e possedere la natura. E nelle case di chi poteva permetterselo, eleganti e distintive casse di Ward entrarono a pieno titolo a far parte dell’arredamento, fornendo l’opportunità di esporre interessanti esemplari botanici che altrimenti non avrebbero potuto sopravvivere nell’aria avvelenata dai fumi delle fabbriche e degli opifici della drammatica società moderna.
Ma l’effetto dal punto di vista economico e nel campo dei commerci internazionali, a partire dalla metà del secolo, fu ancora più profondo. Epocale resta la missione compiuta dall’eroico Robert Fortune, che nel 1851 portò alla nascita lungamente auspicata del tè indiano, mediante trasporto in casse di Ward della camelia assieme ad esperti di coltivazione reclutati presso il territorio del Celeste Impero. Per non parlare del trapianto in tutta l’Asia sudorientale della Cinchona officinalis da parte di Clements Markham a partire dal 1860, ponendo le basi per la produzione estensiva di quinina che si sarebbe resa indispensabile per la colonizzazione europea del continente africano. E così per Henry Wickham, il botanico che riportò l’albero della gomma dal Brasile all’Inghilterra nel 1870, infrangendo il decennale monopolio brasiliano nella produzione di quell’importantissimo materiale. Orchidee rare cominciavano nel frattempo a fiorire nelle case della classe media inglese, mentre prodotti e piante un tempo simbolo del lusso più sfrenato diventavano presenze comuni grazie all’uso dell’ingegnosa invenzione del buon dottore.
Il Mondo aveva compiuto un significativo passo, in altri termini, verso l’ormai acclarata unità del commercio globale. Ed ancor meno risultava condizionata la disponibilità dei beni e tesori della Terra, dal ciclo inarrestabile ed incontrollabile delle stagioni. Tutto grazie a un bruco morto prima di poter formare il proprio bozzolo! Sacrificio stranamente simbolico di ciò che avrebbe potuto essere. E d’altra parte chissà quale appuntito corvo degli oscuri distretti cittadini, altrimenti, l’avrebbe fagocitato…