Tagliente skidgine, il distruttore d’alberi che abbatte la foresta per salvarla dal fuoco

Significative evoluzioni possono verificarsi in campi lungamente acclarati nel momento della verità e derive sistematiche collaterali, utili in particolari circostanze, svelarsi all’opinione pubblica con tutto il potenziale che, indipendentemente dal contesto di applicazione, avevano in realtà da lungo tempo saputo manifestare. Così nell’ambito dall’elevato grado di urgenza del controllo degli incendi boschivi, poco adatto alla sperimentazione per il fattore rischio, nel corso dell’estate del 2021 quando, per una grave contingenza di fattori, la contea di Klamath nel rurale Oregon venne per sei settimane ricoperta da un fitto manto di fumo, derivante dai 413.000 acri coinvolti in uno dei più vasti e distruttivi incendi nella storia degli Stati Uniti. Nebbia della guerra in più di un senso ed accezioni convergenti, stando alla narrazione degli addetti alle ardue operazioni, visto il coinvolgimento doveroso di squadre molteplici prestate da dipartimenti privi d’esperienza particolare nelle operazioni extra-urbane, oltre a completi neofiti in ruoli di supporto. Eppure nonostante le oltre 70 case e 100 edifici di vario tipo rimasti coinvolti, nessuno perse la vita in quello che sarebbe passato alla storia come il Bootleg Fire, grazie all’abile coordinamento dell’USDA Forest Service che si dimostrò capace di sfruttare, su una scala quasi del tutto priva di precedenti, tattiche e contromisure dall’impatto estremamente significativo. Tra questi, tra tutto, l’impiego esperto delle squadre HE (Heavy Equipment) ovvero dotate di mezzi pesanti non necessariamente forniti da tipiche caserme dei pompieri. Ma che più che altro parevano emersi in maniera pressoché diretta da un documentario sul disboscamento della foresta amazzonica. Famoso è il detto universale “Violenza chiama violenza” considerato negativo nei rapporti umani, poiché all’origine di tragedie epocali come la guerra tra nazioni distinte. Ma mai superfluo nel riuscire contrastare forze impersonali e distruttive come il fuoco stesso. E fu così che a Klamath, dimenticando ogni tipico riguardo per la salvaguardia della natura, dinosauri di metallo comparivano lungo le linee di contenimento, schiacciando rami ed alberi o arrivando sradicare quelli più imponenti. Mentre benne o vomeri di simili bulldozer facevano ciò per cui erano stati costruiti: oltrepassare la materia, come se non fosse mai effettivamente esistita. Affinché nel momento della verità finale, l’equipaggio sulla macchina potesse impugnare la pompa integrata. Liberando scrosci di salvezza sulle braci dell’Apocalisse infernale…

Il termine gergale è skidgine da un portmanteau (o parola macedonia) tra skidder e (fire) engine. Laddove il secondo ispiratore etimologico altro non sarebbe che il tipico camion dei pompieri, mentre per il primo termine una breve nota storica potrebbe rivelarsi d’uopo. Essendo lo skidding o “scivolamento” nel campo della foresteria quel tipico processo consistente nello spostare e accatastare i tronchi recentemente abbattuti, prima che si possa passare a caricarli sul letto di trasporto collegato ad una vera e propria motrice. Compito portato a compimento prima dell’epoca contemporanea soprattutto da pesanti buoi o cavalli da tiro, prima dell’introduzione dei cosiddetti asini di ferro o macchine da spostamento a vapore. Successivamente sostituiti da marchingegni sempre più imponenti dotati di motore a combustione interna, sebbene la semplice energia muscolare, nel caso dei tronchi più piccoli, non sarebbe mai del tutto passata di moda. Laddove il tipo di mezzo fatto evolvere nella versione antincendio statunitense o canadese, soprattutto a partire dalla metà degli anni ’70 attraverso la personalizzazione autogestita, avrebbe tratto le origini da una particolare accezione di quel marchingegno meccanizzato, più simile dal punto di vista pratico ad un veicolo da demolizione architettonica, vista la presenza della ponderosa benna tagliente, pensata per creare strade in corso d’opera analogamente all’esploratore nella giungla con il suo machete. Facendo partire l’adattamento dall’inclusione, niente meno che fondamentale, di un serbatoio incorporato tra i 2.000 e 4.000 litri, usato non soltanto per lo spegnimento diretto tramite manicotto o lancia a pressione ma anche come riserva per le squadre a terra facilmente raggiunte, là dove un altro tipo di veicolo avrebbe dovuto rimanere a distanza. Potendo svolgere, nel contempo, operazioni di soccorso dei feriti, illuminazione in circostanze notturne, sgombero delle vie di fuga o luoghi d’atterraggio per gli elicotteri con varie funzioni di supporto. Ragion per cui può risultare totalmente ragionevole che il Forest Service abbia incorporato linee guida standardizzate nella progettazione e realizzazione di questi veicoli a partire dagli anni ’90, incoraggiando la loro diffusione nell’intero spazio pratico dei loro campi d’impiego. Fino al caso dell’incendio di Bootleg, quando una quantità stimabile attorno ai 30-40 skidgine schierati in un determinato momento offrirono il proprio contributo dovunque nell’ardua e stratificata campagna, dall’approfondimento dei filari d’alberi soggetti a pulizia totale fino allo spegnimento delle ceppaie periferiche, possibili punti di rinnovata diffusione delle fiamme. Ciò senza tralasciare le incursioni salvifiche nella media linea del fronte, sebbene gli HE in generale non vengano comunemente utilizzati come mezzi di punta, dato lo spostamento relativamente lento e conseguente pericolo di venire circondati dall’incendio.

Principalmente collegati, come dicevamo, ad un contesto d’utilizzo situato nel Nuovo Mondo, gli skidgine hanno iniziato nel corso delle ultime due decadi a varcare l’Oceano Atlantico, trovando un limitato impiego soprattutto in Spagna ed Italia. Con modelli meno imponenti e realizzati in serie da compagnie specializzate, piuttosto che i metaforici mostri di Frankestein frequentemente messi in campo dai dipartimenti americani, quali mini-skid con 400-600 litri di acqua presente a bordo, generalmente riempiti più volte tramite l’impiego di autopompe di appoggio situate a distanza di sicurezza. Altrettanto popolare, in determinate regioni, lo sfruttamento di sistemi modulari integrati a corredo di bulldozer o mezzi fuoristrada pre-esistenti, casistica nella quale si parla convenzionalmente di mere “unità skid”, in un’ulteriore slittamento semantico di un significato collegato al sopracitato, e non più applicabile, scivolamento dei tronchi abbattuti.
Nessuna prassi operativa può, d’altronde, liberarsi della propria origine ancestrale anche quando la finalità può trasformarsi in qualcosa di diametralmente opposto. Come portare a termine il salvataggio di molti acri d’insostituibili pini gialli (P. ponderosa) delle foreste oregoniane circostanti il bacino idrico di Bootleg, alberi con fino a 700 anni di età, ma non per questo meno vulnerabili al potere di una singola scintilla devastatrice in quel fatidico luglio di cinque anni fa. Per il taglio della pala meccanica con la missione, totalmente contraria alle apparenze, di estendere lo status quo di una natura che ancora non accetta di essere annientata. Almeno nella misura in cui gli è concesso farlo, grazie all’intervento di chi è disposto a prestare ascolto alle sue silenziose grida d’aiuto.

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