Suoni e movimenti, rapidi colori che dardeggiano nella foresta: avventurarsi tra le alture della Papua può essere un’iniziativa che conduce, nelle appropriate circostanze, allo stato mentale che viene chiamato sinestesia. Questa l’esperienza di chi ama scrutare i volatili, là dove le piume sono il simbolo di quel principio artistico che anticipa le scelte dell’evoluzione, l’intrinseca creatività che ha dato vita ad alcune delle specie più notevoli e diverse da ogni altra forma di vita terrestre. Prendete, ad esempio, gli uccelli del Paradiso. Una famiglia di passeriformi, concentrati primariamente in Asia meridionale, fatto salvo per talune varietà australiane, che paiono voler testimoniare ad ogni osservatore la quantità di modi in cui è possibile riflettere la luce tramite l’impiego delle proprie piume, incorporate in magnifiche strutture anatomiche pensate per stupire, affascinare, trasportare verso un tipo di emozioni che trascendono la mera specie di appartenenza. Così come senz’altro ebbe metodo e ragione di sperimentare il celebre naturalista d’Oceania Fred Shaw Mayer, quando nel 1938 si trovò ad annotare nei propri diari l’avvistamento di un qualcosa che nessuno, in precedenza, sembrava aver trovato il modo di testimoniare di fronte al pubblico accademico del mondo della scienza. Come una lunga freccia scagliata da invisibili giganti, verde, nera e bianca, la cui forma oblunga possedeva le caratteristiche di un moto ondulatorio apparente. Incline a piegarsi ed oscillare libera nel vento, finché giunta presso un posatoio (poiché essa possedeva, contrariamente all’ingenua presunzione di precedenti studiosi, le zampe) diventava un’asta longilinea in posizione perpendicolare al suolo. Permettendo al possessore di tal mitico implemento di guardarsi agevolmente intorno, la vistosa piuma sferica sopra il suo capo dalle tonalità metalliche ad accentuare l’ornata magnificenza di un impatto finale del tutto privo di precedenti. Fu perciò automatico inserire, così tardivamente, l’uccello avvistato e caratterizzato con lo stesso nome del suo scopritore (Mayeri) nel genere risalente al 1816 dei cosiddetti Astrapia, dal termine greco ἀστραπή (astrapē) che significa “lampo” o “fulmine”. E benché nessuno degli esemplari categorizzati fino a quel momento vantasse l’aspetto complessivo dell’impareggiabile A. Festonata, nessuno si sarebbe trovato a dubitare della loro capacità di non sfigurare in un’eventuale sfilata di moda tra gli elevati rami della foresta. Giacché molte possono essere le strade per poter raggiungere la vetta ignota dell’eleganza. Tante quante le tonalità capaci di riflettersi, in un caleidoscopio sostanziale, dentro le iridi di chi guarda questi eroi dal basso…

Tassonomicamente parlando il genere degli Astrapia si suddivide dunque ad oggi in cinque specie, ciascuna associata ad un diverso sistema di rilievi o montagne della Papua o Nuova Guinea. L’altitudine di appartenenza per questi uccelli può effettivamente variare, ma non risulta mai essere inferiore ai 1.400 metri, con particolare riferimento in questo caso all’A. di Huon o uccello di Rothschild il cui corpo misura 69 cm coda inclusa, tra i più studiati e meglio conosciuti a partire dal 1906. Incline a nutrirsi primariamente d’insetti e semi, come gli altri appartenenti al suo gruppo biologico, costituendo un importante contributore alla dispersione delle specie vegetali nel sostrato vegetativo della foresta. Proseguono la nostra carrellata, spostandoci verso l’alto e nell’entroterra, le due specie lievemente più grandi e di colore tendenzialmente cupo A. nigra (anche detto di Arfak, dal nome dei rilievi dove esso risiede) il cui disegno marrone sulla lunga coda giunge a costituire il principale tratto distintivo nei confronti della femmina, che risulta invece essere completamente di quel colore con apparenti finalità di mimetismo. Con una marginale attenzione al passare inosservati ancora presente nel già più vivace A. Stephaniae vagamente simile all’uccello Quetzal (Pharomachrus mocinno) per l’iridescenza dei colori e la forma della testa arrotondata. Considerazioni che passano del tutto in secondo piano, quando si prende in considerazione l’A. splendidissima delle montagne centrali, 39 cm di azzurro iridescente cangiante verso il verde, le lunghe piume caudali dalla striscia bianca simile a quella di una tuta da ginnastica, che si agita nel vento durante i propri complicati e memorabili rituali di corteggiamento. E quindi, per finire in bellezza, il già citato A. Mayeri, con fino a 1,2 metri di piume caudali, pari ad oltre tre volte la lunghezza dei 30 cm occupati dal restante corpo dell’animale. Una dotazione chiaramente poco funzionale all’efficienza e la sopravvivenza quotidiana, che per di più “costa” considerevoli risorse in termini di energia al fine di allungarsi nuovamente al sopraggiungere di ciascuna stagione degli amori. Una prerogativa che può essere inserita a pieno titolo nella teoria secondo cui i maschi di determinate specie di uccelli, mostrandosi capaci di mantenere il proprio aspetto eccezionale anche a discapito della praticità e convenienza, garantiscano il possesso nei confronti delle femmine di una prestanza fisica superiore a quella dei loro simili non altrettanto appariscenti. Il che tende a richiedere, come di consueto, una particolare serie di accorgimenti e straordinarie movenze…

Contrariamente a quanto fatto con altri uccelli del Paradiso, gli specifici rituali posseduti dalle diverse specie di Astrapia rimasero dunque privi di approfondimento fino all’epoca contemporanea ed in modo particolare l’articolato studio del 2017 di Edwin Scholes et al. Un diversificato catalogo di saltelli sopra il trespolo, volteggi, oscillazioni ritmiche dei nastri caudali e nei casi più spettacolari, grazie al contributo eccezionale dell’uccello di Huon, inversioni a testa in giù, durante cui la coda aperta a ventaglio viene fatta muovere come uno specchio in grado di catturare e ridirezionare la luce del sole di mezzogiorno.
Difficile immaginare attori più notevoli al fine di offrire di una testimonianza di quei luoghi ameni a tanto intonsi dalla civilizzazione di noialtri moderni, da essersi meritati l’appellativo generazionale tratto dall’aldilà dei probi nella tradizione religiosa della cristianità millenaria. Un Paradiso delle circostanze se non dal punto di vista delle prospettive, visto l’impatto del continuativo sfruttamento dei territori, che già vede non a caso quest’ultima specie, nella popolosa e omonima penisola di Huon, rivisitata dallo IUCN verso lo stato di conservazione Near Threatened (quasi minacciata). Un anticipo del domani che potrebbe aspettarci. In cui l’esperienza individuale di Fred S. Mayer potrebbe diventare leggendaria al pari di quella di un cacciatore d’unicorni dei bestiari del Medioevo. Sostituendo con placida malinconia il senso prototipico che tanto a lungo aveva reso incomparabile l’intreccio di questi rami distanti.