Per anni quel ritratto mi ha fissato dall’angolo ombreggiato del salone, di un inquisitivo terrier a pelo lungo con gli occhi cerchiati di nero. Già presente dal momento in cui mi sono trasferito, per qualche ragione abbandonato dal precedente inquilino. Misterioso cane frutto di perizia imprescindibile con ago e filo: chi ti avrà creato, e perché? Mi chiedevo. Venne dunque il giorno in cui, armato di piumino per togliere la polvere, mi avventurai con passo cadenzato attorno, a lato e sopra la credenza in legno di pino. Spinto a lato quel barattolo, spostato il gancio per appendere panni & presine, cedetti al singolo pensiero intrusivo. “Si, è tempo di pulire la cornice a giorno. Invero, passerò l’oggetto produttore di attrazione statica nell’intercapedine tra quadro e muro! E giusto mentre avvicinavo la mia mano al quadretto, percepii una vibrazione. Come un acuto e distante latrato, accompagnato dal sinistro chiacchiericcio di una truppa tra le cime di alberi nella foresta pluviale. La mia mano sembrò muoversi da sola, preso quel rettangolo, lo feci piroettare tra le dita e lei era lì, a fissarmi. Neanche fosse la più semplice e normale delle cose… Dietro al cane, un tipico trachipiteco. Scimmia delle foglie dal manto rossiccio risiedente giù nella penisola malese. La cui sagoma è del tutto speculare sulla superficie di una stoffa diafana e quasi del tutto trasparente. Se non fosse del tutto impossibile, in effetti, sarei pronto a garantirlo: il retrostante canide soggetto del ricamo, e figlio dello stesso filo. Ma quando nulla è impossibile, tutto diventa lecito. Benvenuti, ancora una volta, in Cina.
Dalle parti del centro urbano di Suzhou, presso la foce del Fiume Azzurro nella provincia orientale dello Jiangsu, lo chiamano shuāng miàn xiù (双面绣) o “Ricamo su entrambi i lati” essendo ciò la coerente deriva, di una delle quattro scuole tradizionali tutelate dal sapere familiare di una popolazione dedita alla creazione di manufatti tessili dalla celebrità secolare. Fin dalla remota epoca delle dinastie Tang (618-907) e Song (960-1279) sebbene questa particolare dimostrazione di abilità sia databile principalmente a partire dagli ultimi due secoli e dunque l’ultimo periodo del Celeste Impero, cronologicamente coincidente con il regno dei Qing. I cui sovrani erano soliti indossare per le giuste occasioni degli abiti, dal riconoscibile color giallo senape, letteralmente ricoperti di magnifiche composizioni simmetriche di draghi, fenici, piume di pavone sovrapposte come scaglie di un’armatura. La cui matrice culturale, per chi aveva conoscenze tecniche in materia, sarebbe stata facilmente ricondotta alla preziosa eredità artigianale di quel centro urbano dalle molte amenità, il clima piacevole ed i vasti giardini. La cui stessa splendida natura, possibilmente, fu l’ispirazione per generazioni successivi di simili possessori della fiamma vivida dell’arte della stoffa e del filo…
Un solo gesto che assomiglia, per naturalezza e semplicità procedurale, ad una partita del moderno gioco della battaglia navale. Proprio questo il punto problematico della faccenda per come viene tipicamente presentata, soprattutto su Internet, dove le opere di ricamo bi-facciale cinesi vengono sempre mostrate prossime al completamento, mentre due ricamatrici o ricamatori si passano il filo da una parte all’altra del sottile velo divisorio, con la telecamera che gira attorno per mostrare i due soggetti totalmente diversi. Laddove il ricamo shuāng miàn xiù prevede, in effetti, tre livelli successivi di difficoltà: primo, la stessa immagine raffigurata da ambo i lati. Secondo, soggetto uguale ma colori diversi. E terzo, quello almeno in apparenza preferito nei reportage dell’era digitale, ciò che vede contrapposti due animali, frutta e fiori, un cavallo con l’antilocapra e via così a seguire. Tanto che diventa difficile, a quel punto, conciliare la semplicità e spontaneità con cui costoro sembrano operare, ad un qualcosa che dovrebbe risultare quanto meno complicato in ogni singolo passaggio della sua pratica realizzazione. Aggiungete a questo lo stereotipo della Cina contemporanea tipicamente incline a voli pindarici di propaganda, per comprendere lo scetticismo che permea la moltitudine dei commenti che accompagnano quest’arte ereditata dagli antenati. Com’è mai possibile, tanto per cominciare, che lo stesso filo sia bianco da una parte, nero dall’altra? Ecco, nel tentativo di raggiungere il nocciolo della questione, che comunque non viene spiegata estensivamente online a beneficio della comunità internazionale (segreto…D’ufficio?) andiamo con ordine: considerate come, in primo luogo, ogni opera di ricamo sia il prodotto di una serie di strati. Due al minimo, rappresentati dal fondale della stoffa di appoggio e il soggetto della trama ivi applicata dal sapiente creatore. E non è in effetti raro, anche nella pratica occidentale di quel settore, che immagini più complesse richiedano multipli passaggi, in cui segmenti di colori vengono ripassati e scontornati, meglio definiti ad esempio nella creazione di un volto o più piccoli dettagli di un remoto paesaggio. Ecco spiegata, dunque, la duplicità cromatica della scimmia/cane: là dove un colore è assente da un lato dell’immagine, quest’ultimo vedrà l’impiego di punti corti mentre l’altro riceverà una corrispondente serie di passaggi dall’ampiezza esponenzialmente maggiore, così da massimizzarne l’entità nel comparto estetico del soggetto finale. Se un rosso o marrone si presenta in entrambe le immagini invece (naso ed occhi dei due animali, ad esempio) l’importante sarà riportare l’ago all’altro lato preparandosi al passaggio in corrispondenza delle rispettive zone d’interesse. Il che non viene, comunque, mai mostrato nei tipici video sull’argomento, in cui gli addetti sembrano piuttosto stare sempre lavorando al semplice contorno bianco, identico in entrambe le figure. Ed è paradossalmente proprio da questo modo di semplificare in modo eccessivo l’evidenza, che nasce la legittima propensione ad essere sospettosi.
Ogni continente, in ultima analisi, possiede le sue lunghe linee tecnologiche ed artistiche che traggono nutrimento dal pregresso ciclo generazionale intercorso. Tanto che al famoso detto, amato dallo scrittore speculativo Arthur C. Clarke: “Ogni forma di tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia” se ne potrebbe affiancare un secondo: “Se una tecnica è abbastanza antica o geograficamente distante, potremmo facilmente relegarla a quella stessa misteriosa biblioteca.” Giacché non c’è limite o ragione che possa determinare la portata di chi voglia dare vita a qualche cosa d’inusitato. Ogni volta egualmente degno di venire posto sopra un piedistallo, per quanto realizzato in modo analogo da mille o più persone prima di lei/lui. E non è forse proprio questo il più profondo, mistico significato dell’arte? La realtà che tende a riecheggiare, nella sovrapposizione dei modelli che s’intrecciano entro il profilo dell’inconfondibile scimmia/cane.