Lo strano carro-anatra creato per mimetizzarsi nei campi di battaglia degli anni ’50

La Rheem di Richmond, California, compagnia nata nel 1925 dalla fusione delle imprese commerciali di due fratelli, rispettivamente specializzati nella produzione e galvanizzazione di barili per il petrolio, è nota per l’estrema capacità di diversificare la sua offerta. Operativi nel campo dei bollitori a partire dagli anni ’30, quindi lampade, batterie e persino una tecnologia di scuotimento per i camion minerari successivamente alla propria apertura nel 1935 di una sede Australiana, i loro impiegati si sarebbero in seguito occupati anche di attrezzatura audio-video e strumenti musicali negli anni ’50. Per poi specializzarsi, all’inizio dell’epoca contemporanea, nel campo dei condizionatori e termostati intelligenti. Ciò che la storia aziendale pubblicata sul loro sito, per qualche ragione, non ama particolarmente ricordare è tuttavia il periodo in cui, durante e successivamente alla seconda guerra mondiale, le fabbriche del marchio sarebbero state incorporate a pieno titolo nello sforzo bellico nazionale, il che ha perfettamente senso viste le migliaia di operai specializzati, le installazioni metalmeccaniche e fonderie di metalli sottoposti a complicate lavorazioni. Portando a uno sviluppo di competenze, ed il coinvolgimento di figure specializzate, tali da sfociare alla metà nel secolo a una partecipazione diretta in uno dei programmi reputati più importanti dalla Difesa statunitense: la sostituzione dell’ormai obsoleto (e mai eccezionalmente valido) carro armato M4 Sherman che in tanti campi di battaglia aveva dato il massimo, risultando ormai oggettivamente superato dagli ultimi veicoli creati dall’Unione Sovietica nel contesto della serie IS o JS, in modo particolare il JS-4 da 45 tonnellate, con 120 mm di armatura frontale ed il suo potente cannone da 122 mm. Il che sembrava imporre lo schieramento di nuove macchine da guerra, che fossero almeno altrettanto resilienti e se possibile, dotate di una maggiore agilità di movimento. La prima risultanza di tale filosofia sarebbe stato il prototipo del massiccio T-42, progettato “in casa” dall’esercito ma capace di coinvolgere direttamente la Rheem per la produzione della torretta con il cannone a carica automatica T119 da 90mm, dotata di un ingegnoso quanto innovativo sistema basculante, capace di garantire un arco di tiro, soprattutto verso il basso, inerentemente superiore ai metodi tradizionali. Ciò per garantire la possibilità di far fuoco dal ciglio di una collina o declivio, esponendosi in tal modo il meno possibile al contrattacco nemico. Ulteriori versioni del carro armato, nessuna delle quali venne mai prodotta in serie, sarebbero state il T-54 ed il T-69, entrambe abbastanza famose da figurare nel nutrito catalogo del popolare videogame World of Tanks. Ciò che in molti non sanno, perché viene menzionato unicamente nel misterioso testo del 1988 “Firepower – Una storia del carro armato pesante americano” di R. P. Hunnicutt, è che la Rheem aveva portato fino al tavolo da disegno una versione ancor più estrema dei suoi lavori. Un carro armato che se fosse giunto fino in Corea o nel Vietnam al posto del Pershing o del Patton, avrebbe senza dubbio modificato sensibilmente il paradigma dei rispettivi contesti di guerra…

L’idea centrale alla base del Rheem Hunter, creato dal “Lavoro congiunto della fabbrica di Philadelphia e l’Arsenale di Detroit” era di un tipo che poteva derivare unicamente dai trascorsi di una compagnia specializzata nel settore metalmeccanico, e soprattutto la realizzazione di grandi fusioni monoscocca, come quelle utilizzate per i serbatoi degli impianti di riscaldamento dei grattacieli. E tralasciando l’implicito gioco di parole (il termine tank, impiegato come nome in codice britannico ai tempi della grande guerra, significa per l’appunto sia “serbatoio” che “carro armato”) la loro diligente opera si sarebbe concretizzata in un corpo principale misurante 5,9 metri per 3,1, dall’insolita forma bombata che sarebbe risultata l’ideale nel deviare i colpi perforanti del potente cannone sovietico in un ipotetico scontro ravvicinato. Ma il punto geniale dell’impostazione, capace di prevedere uno spessore di ben 152 mm della corazza frontale, era l’aver incorporato al suo interno uno strato di silicio vetroso, giudicato l’ideale al fine di arrestare l’energia dei colpi ad alto potenziale esplosivo di tipo HEAT, considerati all’epoca la principale minaccia per i carri armati. I documenti di riferimento reperiti dall’autore del libro, inoltre, parlano di una non meglio definita “rete balistica” per l’abitacolo, che avrebbe protetto (in condizioni ideali) i quattro membri dalle schegge dovute ai colpi che sarebbero riusciti a penetrare all’interno. La linea stessa del veicolo, d’altronde, era concepita per mantenersi il più possibile vicino al suolo, con un altezza di 81 cm contro i 243 dello IS-3, notevole risultato conseguito grazie all’idea di posizionare la piccola torretta, anch’essa basculante, in un incavo dello scafo riducendone il movimento trasversale a soli 180 gradi. Un compromesso giudicato almeno in questa fase accettabile, fondato sull’impiego di un sistema d’arma principale non meno lontano dalla normalità: il misterioso doppio cannone “a razzo” da 105 mm, presumibilmente una versione preliminare e non guidata di quello che sarebbe diventato in seguito l’MGM-51 Shillelagh in uso sui carri Sheridan a partire dalla metà degli anni ’60. Un’implemento bellico potente e compatto, che vantava un rateo di fuoco grazie al sistema di auto-carica dell’Hunter pari a 120 colpi al minuto, benché tale ritmo calasse in proporzione a quanto l’arma veniva puntata verso i lati, per ragioni ad oggi totalmente ignote. Un sistema straordinariamente avanti per l’epoca il quale, tuttavia, avrebbe costituito il punto debole principale del carro: sembra infatti che la portata dei razzi in questione, prima di una perdita significativa di precisione, fosse di appena 450 metri, oltre i quali nessun dato prestazionale viene indicato nei documenti a supporto. Riducendo di molto l’usabilità dell’Hunter in ipotetiche reali situazioni di guerra. Ancor più problematico, d’altronde, venne giudicato il suo comparto di mobilità, con un insolito motore a benzina ragionevolmente veloce sulla carta, ma dai consumi elevati e coadiuvato da un complesso apparato di trasmissione idraulica che avrebbe permesso alle ruote di funzionare anche dopo l’eventuale rottura del cingolo in gomma. Ma la cui rottura, sul campo, avrebbe sostanzialmente costretto l’equipaggio ad abbandonare il veicolo senza possibilità di recupero in tempi efficienti.

Singolare anche la grande botola di apertura sul retro, con struttura simile a quella dell’elitra di un coleottero capace di sollevarsi verso l’alto, potendo offrire un valido scudo durante l’evacuazione del carro e nascondendo le operazioni agli occhi della controparte, nel caso in cui fossero riusciti ad avere la meglio contro gli americani.
Mai portato allo stadio di prototipo a causa delle sue limitazioni giudicate troppo restrittive, l’Hunter non è d’altra parte privo di qualità insolite, principalmente riassumibili nell’idea che un carro armato di 40 tonnellate possa anche soltanto immaginare di avere un profilo tondeggiante ed organico utile a mimetizzarsi nel paesaggio, mentre contribuisce a deviare gli attacchi dei cannoni avversari. Un po’ come teorizzato dal precedente progetto francese per il Char de Bataille AMX 40 modèle 1940, anch’esso mai costruito ma ben noto ai giocatori di World of Tanks, per il caratteristico profilo tondeggiante che gli è valso il soprannome di Duck – Anatra. Laddove chissà come saremmo finiti a definire il mezzo Rheem, se fosse mai stato introdotto in un simile pool di veicoli digitalizzati, destinati a un uso ben più frequente di quanto i loro progettisti avessero mai potuto pensare d’immaginare. Là nel mondo della fantasia pseudo-simulativa, dove i meriti esteriori vengono posti allo stesso livello delle dotazioni prestazionali. E nessuno deve mai sperimentare sulla propria pelle, fortunatamente, le conseguenze di una corazzatura insufficiente alla “Continuazione della politica con altri mezzi”. E chissà cosa avrebbe fatto o detto Clausewitz in persona, trovandosi a dover dirigere le formazioni di una moderna cavalleria di anatre contro le lunghissime trincee del Blocco Orientale…

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