Il passatempo vecchio stile delle folli moto-bighe australiane

L’auriga bianco e quello nero, rappresentanti rispettivamente il bene e il male, che provano vicendevolmente a sorpassarsi, nell’equivalenza erbosa di quello che parrebbe voler richiamare, a tutti gli effetti, il Circo Massimo dell’epoca moderna. Questo per l’assenza letterale di cavalli, fatta eccezione per quelli erogati dai motori di quattro rombanti motociclette Harley Davidson, accoppiate ed abbinate ai carri romani da competizione, sostanziali monoposto in prestito dal Mondo Antico. Il che riporta con la mente ai personaggi dell’allora famoso romanzo e film di Hollywood del 1925 (si trattava già in effetti del secondo ma non quello maggiormente celebre con Charlton Heston, destinato ad essere prodotto almeno un ventennio dopo) scritto in origine dal generale unionista della guerra civile americana Lew Wallace, culminante col confronto finale in pista tra il principe imprigionato Ben Hur e la nemesi della sua famiglia, il crudele comandante romano Messala. Qui proposto tramite un’estetica rivisitata, che potremmo definire steam– (o, per essere ancor più precisi, diesel-) punk, oltre a connessioni neuronali e tecniche che ritroviamo alla base di opere cinematografiche ben più recenti, come Mad Max e per inferenza, lo stesso prequel citazionista della serie Star Wars.
Tutto (ri)comincia da una foto in bianco e nero, fatta circolare per anni su Internet e intitolata “Gara tra carri tirati da motociclette, 1936 NSW” Dove le tre lettere finali stanno ad indicare, per nota convenzione geografica, il New South Wales d’Australia, ovvero il Nuovo Galles del Sud. Regione questa, una delle poche “densamente” popolate, dove è situata la grande città di Sydney, tanto spesso considerata per un diffuso errore la capitale di quella nazione oltre il vasto oceano che nasconde la verità. E questo non soltanto per la sua popolazione complessiva superiore di oltre 12 volte all’effettivo centro politico di Canberra, bensì soprattutto per la rilevanza culturale, folkloristica e di costume di un così fondamentale porto d’Oceania, diventato negli ultimi anni una delle città più costose e, almeno convenzionalmente, desiderabili dal punto di vista della qualità e lo stile di vita nel mondo. Portando a un vasto afflusso di popolazione dalle campagne, esemplificato almeno in parte dalla lunga serie di eventi organizzati a partire dall’inizio del secolo scorso, dalla prestigiosa Royal Agricultural Society of NSW, in occasione della Pasqua, il Natale e tutte le altre ricorrenze considerate in qualche modo universalmente significative. Veri e propri raduni, fiere, concorsi per gli animali e in taluni casi addirittura una sorta d’Olimpiadi con particolari discipline dall’alto grado di originalità, organizzate in appositi spazi pubblici dell’agglomerato urbano da una così notevole importanza turistica, capaci di ospitare decine di migliaia di ospiti allo stesso tempo. Da una rapida consultazione dell’annuario rilevante, tuttavia, è possibile venire a conoscenza di un particolare ciclo di raduni, tenuto a partire dagli anni immediatamente successivi al 1930, che piuttosto che coinvolgere gli agricoltori, era mirato a far conoscere l’alto grado di addestramento, e competenza fisica, di due forze in uniforme particolarmente importanti per il benessere dei cittadini: i pompieri e la polizia. E le cronache narrano per l’appunto, nel remoto 1936, di un’edizione particolarmente riuscita di questo raduno, capace di attrarre a quanto pare almeno 50.000 spettatori, ansiosi di assistere ai molti episodi spettacolari previsti dal programma di un così pregno evento…

L’atmosfera di simili eventi risultava sempre spensierata e festosa, benché il messaggio implicito fosse sempre quello di dimostrare la preparazione delle forze pubbliche al servizio dei cittadini. Rassicurandoli ed, almeno si sperava, scoraggiando chiunque avesse predisposizione a disturbare la preziosa quiete pubblica d’Australia.

Il NSW Police Carnival (pare che in quell’anno fosse dedicato soprattutto, o quasi esclusivamente, agli uomini con l’uniforme blu) fu dunque graziato da episodi come marce sincronizzate, equilibrismo e vere e proprie acrobazie da circo, come quella consistente nel costruire una piramide di agenti, vicendevolmente in equilibrio sulle spalle dei compagni, posti in bilico sopra la sella di altre due possenti due-ruote della Harley. Fino all’atteso ingresso dell’unità cinofila, particolarmente famosa in quegli anni per una serie di crimini efferati risolti grazie al fiuto dei loro fedeli ed abbaianti assistenti, qui pronti a dimostrarsi abili nel salto all’interno del cerchio di fuoco, la scalata di ripide scale e in almeno un caso, citato ma purtroppo mai mostrato, “guidare” l’autoblindo anti-sommossa del dipartimento, per fortuna mai schierato nelle strade della più tranquilla metropoli dell’emisfero meridionale. Ma un momento particolarmente apprezzato, a quanto pare, sarebbe stato quello organizzato e autogestito dai due agenti J. T. Riley e Langham (ne parla il numero coévo del quotidiano The Sun, datato al 30 gennaio 1936) i quali ispirati dalla loro evidente passione per le pellicole ad ambientazione storica, avevano ben pensato di organizzare la saliente ed originale competizione. A bordo delle moto fornite convenzionalmente al Corpo, un paio di Harley-Davidson VL del 1934/35 con motore V2 da 80 di cilindrata, capaci di raggiungere ed in condizioni ideali superare abbondantemente le 60 miglia orarie. I due veicoli quindi, prodotti dalla casa di Milwaukee durante gli anni all’apice della grande depressione e dimostratosi capaci, proprio grazie all’alto grado di affidabilità e le alte prestazioni, di traghettarla in salvo fino agli anni della ripresa economica, erano stati accoppiati mediante l’impiego di una barra di metallo che ne univa i manubri, collegata a sua volta ad un paio di “briglie” tenute in mano dai cocchieri. Per quanto concerne l’acceleratore e i freni, nel frattempo, pare fosse stata scelta la soluzione di lunghi cavi di controllo, connessi direttamente a due pedali dallo stile chiaramente automobilistico, così come dallo stesso mondo derivavano le ruote del carro propriamente detto, con tanto di pneumatici, rigorosamente ad aria. Del sistema usato per cambiare marcia, si sa ben poco: possibile che usassero semplicemente la seconda? Mentre la struttura del carro propriamente detto, almeno stando a un precedente articolo della rivista americana Popular Mechanics risalente addirittura al 1922, poteva essere creato a partire dalla parte inferiore di un grosso barile per il vino, tagliato ad arte da artigiani dediti a una tanto eclettica follia. Sembra quindi, alquanto sorprendentemente, che una simile tradizione non fosse affatto “nuova” e certamente niente affatto priva di emulazioni successive: lo stesso video mostrato in apertura, di una successiva edizione del raduno della polizia è stato girato durante un evento simile ma risalente ai primi anni ’40, come esemplificato dalla battuta del commentatore, che arriva a riferirsi all’Antica Roma come “Musso’s capital” (la capitale di Mussolini) e dice dei partecipanti che “[…] Almeno riescono ad avanzare!” a differenza dei soldati di quest’ultimo, impegnati nei problematici propositi (volendo usare un’eufemismo) delle sue gloriose conquiste africane.

Un altro evento di gara tra bighe motorizzate è presente in questo filmato di repertorio girato presso il Crystal Palace londinese nel 1925. La presenza di abili motociclisti a bordo di ciascun “cavallo” con il controllo diretto di sterzo ed acceleratore tuttavia, lo priva di molto del fascino dell’evento australiano, trasformandolo sostanzialmente in una gara tra rimorchi con zavorra umana.

Taluni eventi del ‘900, e non soltanto quelli in bilico tra l’inizio e la fine delle due tragiche guerre che hanno caratterizzato lo scorso secolo, tendono a stupire e catturare la mentalità contemporanea, poco incline ad attribuire tali eccessi ai propri nonni e trisavoli presenti nelle foto di famiglia. Questo perché in un certo senso, negli anni immediatamente precedenti all’invenzione delle scienze informatiche e la conseguente acquisizione dell’assoluta unione globalizzata di contesti e concetti, ciò che avvicinava i popoli del mondo era soltanto lo spostamento fisico attraverso lo spazio, mediante l’impiego di una grande varietà di motori.
Aeroplani, automobili, potenti & ponderosi vascelli dei Sette Mari, tutte valide espressioni di quello che potesse fare il carburante di derivazione fossile, una volta instradato all’interno di operosi e sferraglianti meccanismi. Niente di così strano, dunque, se all’altro capo degli Oceani qualcuno, per svago oppure estrema convinzione filosofica e caratteriale, volesse celebrare il superamento funzionale di quegli stessi cavalli, che per tanti secoli e millenni avevano servito fedelmente l’umanità. E farlo, niente meno, grazie al linguaggio comunicativo che di lì a poco avrebbe trovato l’impiego da parte di terribili ed inusitati totalitarismi: la proiezione luminosa dei cinegiornali. Attraverso quel Ben Hur di cellulosa degli anni ’20 che in qualche modo, ricordava più il protagonista vendicativo del Conte di Montecristo di Dumas, piuttosto che mostrare il sentimento di perdono e accettazione alla base del romanzo originario, scaturito dall’incontro accidentale e momentaneo con il figlio di Dio. Ma proprio questo, se vogliamo, va inserito nello schema tipico di un certo tipo d’intrattenimento, continuativo dal genere storico sino a quello fantascientifico e per non parlare degli spettacoli popolari, che non conosce limiti logici, né di contesto.

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