Salendo sopra il ponte più pauroso del Giappone

Eshima Ohashi

Comparve per la prima volta su scala globale nel 2013, a seguito di una celebre pubblicità realizzata dalla più antica casa automobilistica del paese, la Daihatsu, per uno dei suoi caratteristici modelli che noi occidentali saremmo pronti a definire, non senza una certa simpatia, il perfetto cubo con le ruote. Ora nella breve sequenza, girata con tutta la verve quasi-comica di uno sketch televisivo, l’editore capo della rivista CAR & More si trova a bordo di un veicolo da recensire, per l’appunto questa fiammante TANTO Custom dotata di porta scorrevole sul lato passeggero, assieme al suo aiutante. I due osservano la strada che li aspetta più avanti, poi si scambiano uno sguardo contrito. Forse, dopo tutto, questa non è stata un’ottima idea. Ma ormai non si può più tornare indietro: in cima al ripido Eshima Ohashi del lago Nakaumi li aspetta la fotografa incaricata di catturare una fantastica immagine di loro due che si stagliano, a bordo della super-compatta, contro la sagoma  maestosa del monte di Daisen, da quello che potrebbe definirsi il suo punto panoramico migliore in assoluto. Già, ma come mai? Ecco…Presto detto. La struttura che i due avventurieri motoristici si apprestano a scalare risulta essere, dal momento del suo completamento nel 2004, uno dei tratti di strada più singolari al mondo e proprio per questo perfettamente adeguato a mettere alla prova le prestazioni in salita dell’automobilina, più volte messe in dubbio dai suoi detrattori. Una lunghezza di 1,7 Km. Un’altezza, nel punto centrale, di 44 metri, giustificati dal bisogno di permettere il passaggio delle navi da trasporto dirette verso il porto di Matsue, città di primaria importanza nello scenario dei commerci dell’Estremo Oriente. E stiamo parlando, sia chiaro, di natanti in grado di raggiungere facilmente anche le 5.000 tonnellate. Dati, questi, che comportano il raggiungimento da parte dell’avveniristica struttura soprastante dell’impressionante pendenza di 6,1% da un lato, 5,1% da quello contrapposto. Per di più il ponte, a causa di esigenze strutturali e di posizionamento, ha l’ulteriore caratteristica di apparire lievemente curvo, dote che gli è valsa la nomina, infinitamente ripetuta online, di “montagne russe di cemento e asfalto”. È perfettamente naturale dunque che simili dislivelli, anche in condizioni maggiormente convenzionali, inducano in certo senso d’ansia nell’automobilista medio, e si capisce facilmente come la situazione possa soltanto peggiorare quando ci si trovi ad affrontarli su una carreggiata di due corsie divise da una linea di vernice, larghe appena 11,4 metri contando anche i passaggi pedonali ai lati. Paure moderne per uomini moderni, alle prese con un mezzo di trasporto di cui si fidano ma solo fino a un certo punto, e un cui eventuale dimostrarsi inadeguato potrebbe dare luogo a situazioni altamente problematiche, per non dire (forse l’ipotesi peggiore presso questi lidi) Socialmente Imbarazzanti! Quindi nella narrazione pubblicitaria, è praticamente inutile sottolinearlo, tutto si risolve per il meglio, con i giornalisti motoristici che riconoscono colpiti le inaspettate doti della buffa quattro-ruote nazionale. Ma il timore situazionale che potrebbe suscitare questa struttura, un fondamentale tratto di collegamento tra Matsue e l’aeroporto di Yonago, continua a ripresentarsi nell’animo di chi lo varca per la prima volta, perché soltanto di passaggio, oppure ha preso di recente la patente. Forse accentuato da una casuale corrispondenza geografica, che vede la sponda est del ponte poggiare le sue basi proprio presso la fiorente cittadina di Sakaiminato ritenuta, niente affatto casualmente, la capitale dei fantasmi e mostri giapponesi, gli yōkai.
Potrebbe quindi capitare, dirigendosi verso l’imbocco di questo svettante ponte che per fortuna non richiede il pagamento di un pedaggio, di passare per la strada che l’amministrazione comunale ha scelto di dedicare ad uno dei suoi più insigni cittadini, il grande autore di manga Shigeru Mizuki (purtroppo recentemente deceduto all’età di 93 anni). Un viale costellato di numerose statue in bronzo delle creature più diverse tra di loro, da gatti con la testa appuntita a scheletri, buffe pantofole con gambe e braccia, numerosi occhi scrutatori senza traccia di una testa attorno e naturalmente, il personaggio più famoso dell’autore, Kitaro dei Cimiteri, un ragazzo monocolo che fu per molti anni l’ultimo esponente della tribù dei fantasmi (yūrei zoku) nonché figlio giustappunto di uno di quei bulbi oculari ambulanti (non chiedete). La connessione potrebbe apparire labile, quando non si considera come nel folklore giapponese, analogamente a quanto capiti nella maggior parte delle culture popolari, l’attraversamento di un ponte sia considerato latore di potenziale sventura, proprio per l’offesa arrecata agli spiriti del fiume sottostante, offesi dalla sempre notevole arroganza della razza umana. Perché non citarne, dunque, qualcuno?

L’odierna prefettura di Tottori, sita nella regione Chūgoku a nord-ovest dello Honshu (l’isola maggiore del Giappone) ne presenta una vasta selezione, tra cui almeno un paio restano legati a specifici attraversamenti, geograficamente non così lontani dal moderno ponte di Eshima. Il più famoso del dinamico duo, spesso citato perché rappresenta uno dei simboli della città omonima di quasi 200.000 abitanti, è il pilastro fantasma del Matsue Ohashi, che collega due quartieri nella parte meridionale del centro storico cittadino. Si narra infatti che nel XIII secolo, durante l’era Keicho, i costruttori della struttura temessero particolarmente un eventuale crollo causato dai frequenti terremoti locali. Così decisero, con piglio decisamente drastico, che sarebbe stato necessario sacrificare un essere umano all’edificazione del pilastro centrale, affinché gli spiriti del fiume fossero sazi per l’eternità. Ma poiché costoro non sapevano decidere, nei fatti, chi meritasse di morire a vantaggio del loro progetto, si accordarono per condannare, assistiti dal caso, la prima persona che fosse passata di lì dotata di un particolare tipo di pantaloni. E quell’individuo molto sfortunato, a quanto pare, fu un uomo di nome Gensuke, a cui ancora oggi è dedicato un memoriale nel vicino parco cittadino. La vicenda è tra l’altro collegata all’usanza tipica della città di Matsue, secondo cui non si dovrebbe mai bere una sola tazza di té. Sembra infatti che prima di uscire di casa, Gensuke avesse rifiutato una seconda dose della bevanda, offerta premurosamente dalla moglie, poiché riteneva di doversi affrettare per andare al lavoro. Se costui si fosse invece fermato, molto probabilmente avrebbe avuto salva la vita. Ma cosa potranno valere pochi anni prima della prossima reincarnazione, rispetto all’immortalità letteraria per apoteosi come spirito vendicativo di un varco fluviale? O almeno così potrebbero pensare alcuni, prima di considerare quanto sia letteralmente faticosa la giornata del tipico yōkai.

Eshima Ohashi 2
WAORYU, l’autore del simpatico canale di costume e società nipponiche ONLYinJAPAN, affronta il ponte di Eshima in bicicletta. L’esperienza si rivela particolarmente terrificante, soprattutto per l’impossibilità di usare le corsie separate dalla carreggiata, riservate nei fatti al solo traffico pedonale.

Considerate ad esempio l’altro ponte, per così dire, dannato, della regione di Tottori, l’Azukitogi del tempio di Fumon-In. La vicenda relativa, famosamente alla base di un racconto dello scrittore statunitense naturalizzato giapponese Patrick Lafcadio Hearn (1850-1904) contenuto nel suo Glimpses of Unfamiliar Japan (1894) è legato alla tipica questione problematica di una donna le cui aspettative sono state tradite, condannata ad aspettare in eterno il suo amato che non tornerà mai più. È una tipica tragedia, alla base di molte apparizioni e spettri locali, fondata come spesso avviene nell’etica shinto-buddhista da una macchia indelebile del karma, che prende forma dando materializzazione ad ogni sorta di orribile creatura o conseguenza. Tale misteriosa figura evanescente, definita in molte versioni del racconto Hashihime (la fanciulla del ponte) aveva una lunga veste bianca, capelli neri e spettinati e in testa un particolare copricapo del teatro Noh, definito Kanawa, consistente in una struttura metallica con tre candele accese. Non è impossibile che l’abbiate visto in qualche manga o cartone animato moderno, come attributo occasionalmente posto in evidenza del personaggio tipico di una tsundere, donna astiosa e/o gelosa. Ora, secondo la versione tradizionale della storia, in effetti questo fantasma non era del tipo più pericoloso: tutto ciò che si limitava a fare, da mattina a sera, era soggiornare all’ombra dei pilastri del ponte, lavando instancabilmente dei fagioli rossi della tipologia azuki (da cui probabilmente il nome del ponte) un passaggio verso la creazione dell’impasto relativo, ingrediente fondamentale di molti piatti giapponesi. Girava tuttavia la voce che, se qualcuno avesse dovuto attraversare il ponte di Azukitogi cantando la canzone del fiore kaki-tsubata, probabilmente amata in vita dal fantasma, costei avrebbe messo in opera una maledizione particolarmente orribile ai danni del viaggiatore, portando a conseguenze nefaste per lui e la sua famiglia. Nel racconto di Lafcadio Hearn, oscuro e dannato come una novella di Edgar Allan Poe, l’episodio fu vissuto da un samurai arrogante, che proprio in funzione di questa sua caratteristica non riteneva di dover temere nulla. Così costui attraversò, scandendo bene le parole del canto proibito, mentre ritornava a casa a tarda sera. Soltanto per trovare, con suo massimo orrore, l’uscio spalancato, sangue ovunque e la testa del suo primogenito sul tokonoma, al posto di decorazioni più consuete al tipico arredo di una casa giapponese. In versioni alternative del racconto, a scatenare l’ira di Hashihime bastava invece molto meno, come parlare casualmente, mentre si attraversava il luogo della sua residenza, della bellezza e/o praticità di un altro ponte. Realizzando, in effetti, il tipico rapporto causa-effetto di chi si trovi, nella finzione narrativa nipponica, a gestire il difficile rapporto con una tsundere.

Akashi Kaikyo
L’Akashi Kaikyō, con i suoi 3991 metri d’estensione, è il più lungo ponte sospeso più lungo del mondo. Potrebbe essere teoricamente superato di poco, nei prossimi decenni o secoli, dal nostro ipotetico ponte sullo Stretto di Messina.

Il che non è poi tanto facile da fare, considerato come il Giappone, paese arcipelago per definizione, sia molto fiero dei suoi ponti migliori, e tenga in alta considerazione questa particolare classe di opere civili. L’insolito Eshima Ohashi, con la sua struttura svettante, rappresenta già un notevole primato globale, quando si considera che è il terzo maggiore rappresentante al mondo di un particolare tipo di soluzione costruttiva, definita del ponte rahmen o a struttura rigida, in cui sostanzialmente non c’è stacco tra i piloni e gli elementi orizzontali di supporto, ma l’intera struttura è costituita da un unico gigantesco elemento, che sostiene e scarica tutto il suo peso contemporaneamente. Una soluzione considerata particolarmente desiderabile nei casi, come questo, in cui è necessario preservare lo spazio della luce sottostante, poiché permette di ottenere un valico centrale molto più sottile, e quindi in grado di lasciar passare traffico di autoveicoli o navi. Il ponte inoltre, grazie al suo sviluppo verticale, pone alla massima evidenza l’elemento principale del ponte romano, ovvero l’arco, che qui trova forse una delle sue più celebri e imponenti rappresentazioni nell’Estremo Oriente. Nonostante tali caratteristiche eccezionali, l’Eshima non è il ponte più spesso citato nel suo paese, visto soprattutto come sia ben lontano da essere il più impressionante. Un simile primato, forse, spetta invece all’Akashi Kaikyō, la principale via stradale che collega l’isola di Honshu a quella sottostante e più piccola dello Shikoku, comunque una delle quattro principali del Giappone. Tale impressionante struttura, parte del progetto più che decennale per collegare le due importanti terre emerse in tre punti ben distinti, fu completato nel 1998 e rimane, ad oggi, il singolo ponte con struttura sospesa con il maggior spazio/luce fra i suoi piloni centrali, con due sole torri di sostegno, alte 297 metri sul livello del mare, che si occupano di sostenere la sua sterminata vastità. È stato recentemente fatto notare in effetti come il 90% della resistenza strutturale del ponte serva a sostenere il suo stesso peso, mentre soltanto il restante 10% resta a disposizione dei circa 23.000 veicoli che lo percorrono ogni giorno. Sono numeri, per citare un certo ingegnere dal caschetto giallo: “…che fanno girare la testa!”
Soltanto adesso, se doveste per caso passare dalla regione di Tottori e il ponte di Ohashi, non tenete troppo a mente le doti del suo più vasto cugino meridionale. Come si può desumere dall’insegnamento dei grandi autori letterari del passato (Hearn, Mizuki e chi per loro) non tutti gli spiriti sono benevoli. E anche l’ingegneria moderna, dopo tutto, non è che un ramo del grande tronco, le cui radici affondano in mezzo al sostrato di incomprensibili mitologie. Il motore di un’auto-cubo della Dahiatsu, per quanto affidabile, può sempre smettere di funzionare. L’unica variabile è il QUANDO….

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