Invero sopravvalutata risulta essere, tra tutti i mezzi di trasporto aerei, la forma fluttuante della mongolfiera simbolo della Cappadocia. Utile certamente nei trascorsi, per osservare il mondo con flemma di un altro tempo, meditando sul vero significato del volo. Laddove nell’odierno mondo dei viaggi ogni cosa dev’essere rapida, sintetica, dritta al punto! Giacché non è forse vero che, tra tutti gli obiettivi di chi visita un luogo, dovrebbe figurare al primo posto lo spazio ricavato in seguito su Instagram, Facebook, Twitter e le altre montagne cave del Web? Senza ulteriori indugi, per questo, vi presento un esempio: Beautiful Destinations, canale iterativo del Tubo, che spedisce un rapido velivolo negli azzurri cieli della Cappadocia e perché… Se non allo scopo di farci conoscere i singolari paesaggi dall’alto, attraverso il tenore divulgativo che nasce da un’approccio acrobatico e ultraveloce, grazie all’approccio dell’FPV. Ecco un’idea intrigante, per quanto discutibile (almeno) in determinati ambienti. Che consiste, una volta raggiunta la destinazione dei propri desideri, nell’indossare il pratico visore che copre completamente gli occhi, per trasformarsi attraverso lo sguardo in qualcosa di totalmente diverso: l’araba fenice, l’uccello del fulmine, la bestia rotativa dei venti che prende il nome, non propriamente descrittivo, di un drone. Il cui volo in prima persona, come certamente saprete, presenta numerosi vantaggi, primo dei quali rappresentato dall’opportunità di compiere evoluzioni al limite, senza il timore di schiantarsi contro antiche formazioni rocciose e monumenti. Il che, unito a un certo lassismo delle normative vigenti (o poco rispetto delle stesse da parte dell’operatore) può qui permetterci di dare un significato diverso alla descrizione presentata sull’UNESCO del parco nazionale di Göreme in Turchia.
Patrimonio di nome e di fatto, come reso evidente dalla notevole struttura paesaggistica, frutto dei molti millenni di corrosione del territorio ad opera del vento, della pioggia e del ghiaccio, che penetrando negli spazi vuoti, si espande e disgrega la roccia neanche il friabile raccolto di una piantagione di caffè. Risultato, o per meglio dire risultati: questa pluralità di escrescenze o veri e propri pinnacoli, chiamati in geologia “camini delle fate”, attorno ai quali, sin dai tempi degli Ittiti, venne fatta fiorire e costruita l’intera locale civiltà. Che sembra invitarci a conoscerla, tra una vite in picchiata e un drammatico giro della morte, dalle molte finestre artificiali aperte nella roccia, attraverso le quali anticamente scrutavano l’avanzata di eventuali nemici gli abitanti del posto, prima di chiudere porte nascoste e rendersi formalmente irraggiungibili ai più. Mentre oramai, in questi luoghi, abitano soltanto gli uccelli, all’interno di apposite colombaie utilizzate, originariamente, per raccogliere il prezioso guano da usare come concime per l’agricoltura. Ma è al profilarsi di una riconoscibile torre, minareto della moschea di Uçhisar, che la carta di credito inizia ad avvicinarsi ai nostri pensieri, mentre pensiamo di prenotare un viaggio in Turchia…
