PS3, Xbox 360 game review: Bayonetta

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L’iter evolutivo degli action game trova connotazione nella duplice deriva contrapposta delle sue potenzialità espressive. Ad un’estremo dello spettro si trova il tentativo di coinvolgimento diretto del giocatore, attraverso la piena ed immediata riconoscibilità delle situazioni proposte.
In questi casi è opportuno che il protagonista del racconto sia incolore e facilmente riconducibile all’uomo comune. Dovrà indossare una divisa, uniforme o armatura, non verrà inquadrato a meno che abbia un casco sulla testa, è di poche parole e si relaziona di preferenza attraverso l’uso indiscriminato di armi. Non porta gli occhiali da vista, non ha la barba o altri segni di riconoscimento. Non dispone di risorse in aggiunta al suo addestramento militare o alla preparazione fisica individuale, e viene attentamente motivato a combattere nemici della collettività come il terrorismo, i soldati tedeschi, gli alieni, i demoni fiammeggianti non-morti, i robot pieni di astio verso i loro creatori o le bestie selvagge preistoriche.
Bayonetta invece è una strega immateriale che uccide schiere di angeli dorati e consegna le loro aureole al signore dell’inferno. I suoi tacchi sono pistole, salta con ali di farfalla,  cammina sui muri e ferma il tempo. Evoca strumenti di tortura, brandisce serpenti vivi, si trasforma in pantera, pipistrello o corvo ed avvia le motociclette infilandoci due dita della mano e girandole di 90 gradi. Il suo sangue è fatto di petali di rose, e quando viene ferita si riprende succhiando caramelle a bastoncino. I suoi capelli formano in un qualche modo imperscrutabile il tessuto dell’abito aderente che indossa, ma spesso prendono vita come draghi o mostri colossali. Non fanno le due cose allo stesso tempo.

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