New York ’93: l’impossibile videocassetta in HD

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La città era gremita, le persone si parlavano l’una sull’altra. Dall’Ottava Avenue a Gran Street, da Broadway a Times Square, non c’era un singolo luogo in cui sarebbe stato possibile individuare il suono del vento. Gente semplice, gente elegante, uomini e donne di mondo, eroi emarginati. Ciascuno estremamente cosciente, così come lo è immancabilmente la natura umana, del preciso istante e della condizione in cui stava vivendo, al termine di un secolo di duri sacrifici, lotte, ardue tribolazioni; sulla cima del periodo economicamente più elevato degli ultimi 100 anni. Alla Casa Bianca faceva il suo ingresso proprio in quell’anno Bill Clinton, con un futuro ancora da decidere, forse un passato nebuloso, ma una leadership di partito solida e una visione politica del mondo a cui il popolo americano, fin da subito, si dichiarò abbonato. Altre scelte, meno degne dei libri di storia eppure a loro modo non prive d’importanza, influenzavano il mondo del commercio in modo significativo. I dischi giravano nei vorticosi meccanismi.
I Kennedy, i Rockfeller. Chi sono i Taft, gli Udall? Di certo non potremmo sollevare alcun dubbio, neanche da ignoramuses europei, in merito all’importanza rivestita nella storia del contemporaneo dai due presidenti Bush. Le dinastie al potere della classe dirigente americana, la cui storia pregressa porta molti a pensare che persino dopo queste elezioni del 2016, i Clinton possano tornare in lizza con l’ingresso nell’arena della figlia Chelsea. C’è una tendenza fondamentale, universalmente nota, che porta il potere politico a scorrere dentro alle vene con il sangue, e per questo trasferirsi intonso lungo il flusso delle sue generazioni. Mentre se c’è un ambito in cui questo non poteva mai succedere, questo era senz’altro la tecnologia. Un mondo le cui regole sono dettate necessariamente dal senso pratico, e il ritmo è scandito dalle innovazioni ingegneristiche e la sperimentazione. Giusto? Allora spiegatemi un po’ questo documento: una ripresa della Grande Mela in cui la folla, presa da lontano, non è soltanto una massa indistinta di colori, ma presenta nasi, bocche, addirittura singoli capelli. La cui inquadratura si compone, se volessimo contarli, di esattamente 1980 x 1080 pixel a scansione interlacciata. Gli stessi di un moderno film in Blu Ray. E a scanso d’equivoci: non siamo assolutamente di fronte a una creazione avveniristica, creata per un pubblico di tecnici nelle candide sale. Queste scene, create con piglio registico neutrale ma piuttosto accattivante, facevano parte originariamente di un disco demo giapponese, impiegato per dimostrare nei negozi le straordinarie potenzialità del Laserdisc MUSE della Pioneer. Un qualcosa che avrebbe immediatamente ricordato, agli occhi dei giovani d’oggi, un CD grosso come un 33 giri.
Eppure, non è ancora questa la ragione degna del nostro supremo senso di sorpresa: perché il video in questione, per come lo stiamo guardando attraverso l’upload dell’utente YouTube Pedant, è stato in effetti catturato tramite l’uscita component dispositivo differente, per il grande pubblico letteralmente sconosciuto. Un videoregistratore… In alta definizione. Si, è così! La suprema contraddizione in termini, come un pesce che cammina sulla terra, o un cubo di ghiaccio che va a fuoco, un verme che mette le ali come una farfalla. C’è stata un’epoca, tutt’altro che lontana, in cui lo storage ottico del disco laser ci sembrava vecchio e superato. Ed il futuro era chiaro  e limpido, come una scatola di plastica col nastro magnetico all’interno. La sublime, indimenticabile invenzione del VHS di JVC: torneremo mai a quell’epoca gloriosa? Aah, la nostalgia. Il fatto, sostanzialmente, è come segue. Nell’opinione comune, si tende a pensare che l’immagazzinamento dei dati in formato digitale non possa che derivare da specifiche tipologie di supporti. Che i dati codificati, in maniera totalmente scollegata dalla loro fisica natura, siano un appannaggio del “mondo nuovo” nato successivamente all’invenzione del transistor, e che la conoscenza, come qualsiasi altra forma di energia, non possa comprimersi al di sotto di un peso specifico determinato. 74 minuti di musica, ad esempio, per un CD Audio; ma ora provate a registrarli in formato MP3, o ancora meglio in FLAC. Ora avete 650 megabytes, ed in funzione della qualità scelta, molto, MOLTO spazio di manovra…

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Il carro armato che sfidò Mad Max

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200 milioni di dollari. Potevi (quasi) usarli per lanciare un razzo in orbita geostazionaria. Ci sono volte, nel mondo cinematografico, in cui l’alto costo di produzione di una pellicola non è immediatamente palese al pubblico in sala. Ad esempio ogni qualvolta c’è un impiego del computer, non tanto finalizzato alla creazione di esplosioni più grandi o improbabili creature aliene, bensì per trasformare un borgo dei nostri tempi nell’antica capitale di un regno, oppure posizionare le notevoli mura di un castello antico proprio lì sulla collina artificiale, dove ti servono per la determinata scena. Ovvero tutti effetti di quel tipo che “non si deve notare” ma che sono in grado di richiedere comunque un alto grado di perizia, e quindi la partecipazione al progetto di un’intera equipe specializzata. In altri casi, il fenomenale rischio finanziario in cui lo studio ha scelto d’imbarcarsi non potrebbe essere più chiaro, arrivando in effetti a connotare molti dei valori estetici di questa o quella scena. E quando ciò si verifica, generalmente, c’è di mezzo un qualche inseguimento su ruote! Dopo tutto, l’industria dell’entertainment di Hollywood ha una lunga tradizione in materia, con un intero mestiere, quello dello stuntman, dedicato proprio al perfezionamento della guida “da film” nonché un vasto ventaglio di fornitori in grado di realizzare senza indugio qualsiasi mezzo semovente che l’umana fantasia possa riuscire a concepire. Il che ha portato sugli schermi di proiezione, nei anni precedenti all’invenzione del CG, un repertorio talmente vasto di corse spericolate, tamponamenti e slalom tra il traffico e i pedoni cittadini, che ormai persino l’uomo senza patente non avrebbe alcun problema ad individuare eventuali imprecisioni nello svolgersi dell’ennesima carneficina (non)stradale. Il che lascia facilmente intendere come sia stato possibile raggiungere una tale cifra spropositata, nella realizzazione di quel film dell’anno scorso che la cui totale durata fu praticamente un solo lungo, caotico inseguimento.
Fu evidente quasi subito, dal momento dell’uscita, che Mad Max: Fury Road sarebbe presto entrato nella storia dei cult movies. Ecco una creazione appassionata dal ritmo serrato, straordinariamente curata dal punto di vista estetico, e forse quel che è ancora meglio nel suo genere, sostanzialmente priva di uno sviluppo narrativo che rallenti il ritmo, escluse un paio di momenti in cui si espongono i lunghi e travagliati trascorsi dei protagonisti più o meno umani del racconto. Il che non è facile, visto come a rubargli la scena e i primi piani, per ciascun singolo minuto dell’adrenalinica vicenda, ci fossero alcuni dei veicoli più straordinari che siano mai stati guidati innanzi ad una videocamera, come la spropositata Macchina da Guerra di Furiosa, ovvero l’autotreno della Tatra cecoslovacca migliorato per l’occasione con l’applicazione di teschi umani, la pala di uno spazzaneve, pannelli corazzati e due pezzi di Volkswagen Beetle sopra il rimorchio, usati come posizioni di tiro per i cecchini. O le Plymuth Sedan rugginose trasformate in dei mostruosi porcospini, grazie all’applicazione di un numero di aculei simili a spade, del tutto casualmente pari a quelli di un formichiere africano… Ma il pezzo forse più incredibile di questa assurda collezione dovrà rimanere il Pacificatore del capo di Bullet Farm, rabbiosamente interpretato da un Richard Carter incoronato di bossoli trasformati in copricapo, e costituito per la parte superiore di una Chrysler Valiant Charger degli anni ’70, mentre sotto c’era…Un… Qualcosa di cingolato. Ed assolutamente fuori dal comune, forse più di ogni altro singolo aspetto del film.

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Immagini fantastiche dal festival dei droni di New York

New York Drone Film Festival

Si dice che alcuni particolari individui, appartenenti al culto geograficamente trasversale dello Sciamanesimo, possano sperimentare l’esperienza di separazione tra corpo e coscienza, lasciando dietro le proprie mortali spoglie per avventurarsi, come un soffio d’anima, tra i venti e le correnti del mondo per osservare, non visti né percepiti, gli eventi e le situazioni. Ed è proprio questa capacità di concentrarsi, tanto simile alla meditazione dei buddhisti, a dimostrare che una simile esperienza non è un sogno. La mente umana: uno strumento che seleziona e suddivide, cataloga, costruisce; si, da sveglia. Mentre nel momento stesso della cessazione della coscienza, e questo lo sa bene chi si sveglia all’improvviso, si scatena una tempesta d’immagini più simile a una carrellata di momenti, ciascuno totalmente scollegato a quelli precedenti. Ed è soltanto nel momento in suona la sveglia, dopo un’intera notte trascorsa involontariamente a cogitàre, che nel sollevarsi delle palpebre si attiva il meccanismo, molto antico ed altrettanto ben oliato, che s’impegna a dare un senso alla sequela dei ricordi immateriali. Così, nel mondo odierno tecnologico, possiamo simulare questo stato. Così facendo, con un dispositivo di radiocomando remoto ben stretto tra le proprie mani, e il cielo immenso che proietta il suo richiamo. Sempre verso il basso e poi di nuovo, inevitabilmente all’indirizzo di chi scruta verso il Sole ed ha il coraggio di premere GO.
Un drone può essere davvero molte cose: telecamera volante, veicolo da corsa, compagno poco loquace ma tutt’altro che silenzioso di mille o più avventure. Ma di sperimentarle tutte assieme… Nel corso di appena tre minuti che ci portano dalla caldera di un vulcano, alle profondità marine, dal gran tempio di Balor (con tanto di Tyrion Lannister ripreso di spalle) al resort sciistico di Golden Alpine nella Columbia Inglese (Canada) ove sciatori illuminati corrono come altrettante code di cometa…Non ci era, di sicuro, mai capitato. Questo video è talmente bello ed in qualche maniera appassionante che innumerevoli siti, dal recente evento della sua pubblicazione, l’hanno ripreso senza preoccuparsi eccessivamente di qualificarne la provenienza ed entrare nel merito dei contenuti. Il che è un peccato, perché simili elementi sono assolutamente primari per comprenderne la rilevanza notevole nella storia della videografia. Siamo ad un punto di svolta, precario e significativo, di ciò che costituisce il nostro documento  per i posteri più articolato e significativo, la registrazione degli eventi a mezzo telecamera e questa intera sequenza costituisce, indubbiamente, un importante mattone dell’intero edificio. Forse persino, la chiave di una volta d’ingresso per intere nuove generazioni d’appassionati potenziali. Questo perché il New York Drone Film Festival, talmente nuovo da non avere neppure un articolo di Wikipedia (um, qualcuno dovrebbe provvedere…) nasce sulla carta nel 2014, si trova attualmente alla sua seconda edizione ed è non soltanto il primo evento del suo tipo al mondo, ma anche un happening dalla notevole risonanza mediatica e l’alto numero di visitatori. Avvalendosi dell’avveniristico Liberty Science Center di Jersey City, edificio equipaggiato con la più grande cupola per proiezioni IMAX mai costruita. Che tuttavia quest’anno ha visto esauriti i posti disponibili per il pubblico nel giro di sole 6 ore, con oltre 5.000 persone accorse per assistere ai migliori tra i 350 film provenienti da 45 paesi, con l’obiettivo di determinare un vincitore per ciascuna delle 13 categorie in concorso. Un’interesse la cui origine, prendendone in esame anche soltanto alcuni, diventa più che ampiamente giustificato…

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Google porta il suo migliore alieno “virtuale” su YouTube

Google Help

Conseguire risultati tangibili in un tempo ragionevole, quindi cambiare il proprio target, l’obiettivo. È questo un metodo operativo che, per quanto possa sembrare all’opposto di un tipico iter creativo, non può che essere alla base di qualunque impresa commerciale del contemporaneo. Che poi vorrebbe dire, il gesto proficuo o la missione di qualsiasi grande compagnia, sia questa operativa nell’ambiente tecnologico, ludico oppure cinematografico. Ed era quindi naturale e inevitabile, ad esattamente un anno dal suo rilascio in esclusiva per alcuni cellulari Motorola poi allargato all’intera area degli Android, che il cortometraggio interattivo ad alto tasso di effetti speciali HELP giungesse infine presso la più celebre ed aperta piattaforma di distribuzione video, usata fianco a fianco dalle major dell’entertainment e dai proprietari di… Micetti, che fanno cose carine. Proprio così: c’è qualcosa di nuovo su YouTube, che non è un felino, e che potreste anche non avere visto. Ed è un kolossal nel suo settore, dei video di effetti speciali lunghi poco più di tre minuti, un vero genere creatosi negli ultimi anni per dare soddisfazione alla curva d’attenzione dei moderni, che sempre più spesso incorpora una gobba brusca come quella di un cammello; sarebbe a dire, irrimediabile entusiasmo, seguito da immediata noia e un cambio di canale. Ma vi sfido, io, a guardare soltanto una parte di questa vicenda a 360 gradi! Definibile in tal modo, non tanto nel modo in cui disanima la familiare questione della bestiolina aliena, un tema che comunque affronta con stile, quanto per la maniera in cui lo spettatore era chiamato, per lo meno nella sua versione originale, a riorientare l’inquadratura grazie a bruschi movimenti del suo smartphone, tanto per, nell’idea pubblicamente nota della sua istigatrice a capo del dipartimento Google ATAP (Advanced Technology and Projects) “Sfruttare finalmente il processore video e gli accelerometri fin troppo spesso trascurati” Beh, si. Da chi non gioca affatto ai videogame, aggiungerei. Ora, nella versione proposta al pubblico dell’ormai vecchio web cliccabile col mouse, questo particolare aspetto funzionale è ovviamente venuto a mancare. [Per] ora, si controlla con il mouse. E forse è anche meglio così! Una tale meraviglia visuale, ridotta alla grandezza di 7, al massimo 10 pollici di schermo, magari posizionati dinnanzi agli occhi grazie all’uso di una scatoletta di cartone? Quale indubbia crudeltà. Soprattutto con l’incombente tecnologia dei nuovi splendidi visori virtuali all’orizzonte, vedi Oculus, HTC Vive e tutto il resto della compagnia.
Definito brevemente l’interessante fenomeno, passiamo ora al corto propriamente detto. Che è l’opera per una volta, va notato, di comprovati professionisti di Hollywood, tra i quali spicca niente meno che il regista di Fast & Furious 4, 5, e 6, nonché del prossimo film in uscita appartenente all’interminabile serie di Star Trek. Il quale, accogliendo con gioia la proposta e la sfida del colosso delle ricerche online verso l’inizio del 2014, ha affrontato l’occasione creativa come una sorta di sfida, cercando un piglio emozionale che potremmo definire quasi Spielberg-iano. È dopotutto innegabile che la breve vicenda di HELP, infarcita d’azione ultra-moderna nello stile del franchise Man in Black, presenti anche degli evidenti richiami ai due classici del maestro Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) ed E.T. l’extra-terrestre (1982) sopratutto nei momenti d’apertura e nel suo epilogo, in qualche maniera, positivo. Anche la scelta del luogo dell’azione è significativa: niente meno che Los Angeles, la vasta città simbolo dell’industria cinematografica occidentale, tra le cui strade, e nei cui canali di drenaggio, si sono svolti alcuni dei più fantastici e memorabili inseguimenti nella storia della cellulosa narrativa. Ma forse mai prima d’ora, con questa specifica metodologia stilistica…

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