Costruisce ciotole con l’energia del Sole

Solar Sinter

Ninnoli e trastulli, piccole, curiose bagatelle. Perché assemblare faticosamente i propri oggetti del divertimento, oppure utili strumenti, col sudore della propria fronte! Meglio sarebbe, grondare copiosamente, ma non per la fatica. A causa del calore di quell’astro che ci dà sostentamento, il gusto della luce per vedere oltre ad almeno (1) un’alba al giorno. Sole, a chi soltanto il giusto, a chi davvero troppo: nel deserto occidentale egiziano, oltre le alte torri della cittadella sopra il Cairo, ben oltre l’ombra di piramidi tentatrici, il di bianco vestuto Markus Kayser scarica dall’auto il suo bagaglio. Dentro ad esso c’è un sistema, all’apparenza non dissimile da un velivolo spaziale. Per una questione di pannelli.
Pare un po’ un prestigiatore, intento a preparare il palco del suo favoloso exploit, dinnanzi a un pubblico che è già sparito; soffia solo il vento del silenzio, mentre osserva, solitario, l’occhio della videocamera. Lui orienta il meccanismo, appronta l’implemento di concentrazione della luce. Si tratta, niente meno, che di una lente di Fresnel, invenzione ottocentesca dell’omonimo fisico francese (Augustin-Jean). Costruita con una zigrinatura che permette di ottenere un potere diottrico elevato, oltre a una distanza focale assai ridotta in uno spazio relativamente contenuto; meno della metà dello spessore, rispetto a soluzioni tradizionali. Serviva originariamente, non per i cannocchiali, poiché la chiarezza delle immagini sarebbe stata troppo bassa, bensì per potenziare a dismisura i fari delle navi. Amplificava la luce, come adesso la riceve. Assieme ad un sistema semovente automatico, nonché alla Missione di trovare la risposta. Per un quesito pregno e significativo: che faremo, di qui a poco? Esauriti i carburanti fossili, finito il mondo delle fabbriche o catene di montaggio, senza l’energia utile a plasmare i materiali della ciotolina del bisogno, dove potremo mai mangiare, questi automatici, nutritivi, giornalieri e mistici corn flakes? In quale astruso recipiente…
È un bel problema. Perché se un tempo esistevano dei metodi, davvero accessibili, per far girare sopra un tornio dell’argilla, traendone perfette cose tondeggianti e concave, adesso mancano, nell’ordine: la voglia, i torni e pure l’argilla. Enter, him: l’artista. A dirci di non rinunciare. La soluzione, tu potrai trovare – “basta” assemblare l’equivalente costruttivo dello specchio di Archimede. Portarlo in automobile 4×4 fino ai confini della civiltà, dove si trovano delle polveri speciali, composte in maggioranza dall’ossigeno e il silicio. Orientare il tutto, accendere il motore ad energia solare. Per lasciare che sinapsi positroniche, oppur la loro equivalenza, facciano il resto e tirino la FORMA, fuori dalla SABBIA. Del resto, biente cucchiaio per i disperati…

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L’arte ipnotica dei vortici di sabbia

Krugovorot

L’artefice, l’esecutore: spiriti affini sul sentiero di Nettuno, alchemico pianeta degli artisti. Il primo lo ritrovi, facilmente, nello studio di pittura, fra la polvere di marmo in un laboratorio; circondato dalla luce mattutina, nato sotto l’astro Sole, riproduce ciò che vede, i propri gusti e sentimenti. Sua è l’arte statica, immanente purché meriti il soverchiamento dell’oblio. L’altro, verso il vespro, recita sul palco e danza, canta o rende voce all’illusione di un teatro, nella notte oscura e misteriosa. Saturnino, puoi chiamarlo se lo vuoi. La sua tela in poche ore si dissolve, volentieri, purché il giorno dopo ricompaia, dietro gli occhi luminosi della gente. Ed è una lotta senza vinti, questo suo trionfo ripetuto, possibilmente in grandi prime, soirée agognate, infine sospirate repliche, purché ci sia la voglia di partecipare. Esserci, vedere o fare l’esperienza…Dell’invisibile meraviglioso. Lasciare un segno, nella sabbia? Due figure che raccontano la stessa storia, divergendo, possono incontrarsi raramente.
Ma nel caso dell’artista russo KRUGOVOROT, sul quale Internet sa dirci molto poco, convivono i due aspetti, attraverso un certo tipo di esclusiva esibizione: tracciare cerchi, con le dita e una spugnetta, poi virgole, arcuate lingue fiammeggianti, fiori ed altre cose ricorsive, su di un grosso piatto turbinante grazie a un tornio. Come un tavolino naufragato, perso tra le acque di un potente mulinello. C’è parecchia tecnica, nel suo lavoro. Ci sono pure le conchiglie. Guardando il lungo video d’apertura, che parrebbe quasi terminare in un momento, s’intuisce la presenza di un motore: troppo fluido e regolare appare il corso dell’illuminata giostra, per essere venuto da un pedale. Questa precisione di una macchina, di un meccanismo elettrico, ben lascia libere le mani umane, di produrre molte cose. Sono tre le tracce utilizzate, musicali e tematiche allo stesso tempo.
Il primo piatto, del colore giallo-spento del Sahara, è metodico, misticheggiante. In un rapido rincorrersi dei mesi, vi appaiono i fulmini piovosi dell’autunno, circondati dalle nubi, seguiti dalla rigida struttura dei cristalli dell’inverno. Neve, poi lo sboccio di una rosa e il fuoco, il mare ondoso: wow, che magnifiche stagioni!

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